Wilson Giuseppe

Da LazioWiki.

Giuseppe "Pino" Wilson
Una figurina di Giuseppe Wilson
Uno scorcio di Darlington, città natale del calciatore biancoceleste
Il Corriere annuncia il suo trasferimento
Con la maglia dell'Internapoli assieme a Chinaglia
In una pausa dell'allenamento
Il giorno del trionfo
La pubblicità della sua agenzia di assicurazioni nel 1974
Giuseppe Wilson
Mentre alza la coppa dello Scudetto insieme al Presidente biancoceleste Umberto Lenzini
Con la maglia dello Scudetto
Wilson cerca di calmare i tifosi nel derby in cui è stato ucciso Vincenzo Paparelli il 28/10/1979
Lo scandalo scommesse del 1980
Giuseppe Wilson
Giuseppe Wilson (1974)
Wilson sulla copertina della rivista Intrepido
Wilson festeggia un gol della sua squadra
Wilson in nazionale
Tweet del CT Roberto Mancini

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Biografia[modifica | modifica sorgente]

Giuseppe Wilson, detto Pino, nasce a Darlington (Gran Bretagna) il 27 ottobre 1945. Scompare improvvisamente a Roma nella tarda serata del 5 marzo 2022 a causa di una gravissima infezione. Figlio di un militare inglese, Denis Wilson, di stanza alla NATO, e di madre italiana, Rachele, che il padre conosce nel capoluogo campano durante la Seconda Guerra Mondiale. Ben presto si trasferiscono tutti a Napoli dove Giuseppe inizia a dare i primi calci al pallone, nelle strade del Vomero. Vive in una famiglia agiata, studia e fa sport in un'infanzia spensierata.


I primi passi[modifica | modifica sorgente]

Dopo aver militato nella Juvenapoli, squadra di un quartiere partenopeo, nel 1964 viene tesserato per la CRAL Cirio squadra dell'omonima azienda di pomodori e manifatture agricole militante in Serie D, dove gioca nella stagione 1964/65 come jolly difensivo. Un anno prima aveva rifiutato un'offerta della Lazio di giocare e crescere nelle file delle giovanili perché si sentiva troppo giovane per affrontare quell'impegno lontano da casa e soprattutto perché ci teneva a studiare e a completare il liceo classico.

Terminata quell'esperienza con 18 presenze, viene assorbito dall'Internapoli, squadra appena creata con la vana speranza di contrapporsi al più quotato Napoli. Con la nuova casacca, nel torneo di IV serie nel campionato 1965/66, gioca 32 gare con ottime prestazioni. A fine stagione, nel giugno 1966, indossa per la prima volta la maglia della Lazio, prendendo parte in prestito-prova alla VII edizione del Torneo Umberto Nistri. Viene schierato con il numero 2 nell'incontro Lazio-Sampdoria 1-1 del 26 giugno 1966 e con il numero 6 due giorni dopo in Lazio-Bettini Quadraro 4-0. Nella stagione successiva contribuisce alla promozione in Serie C, grazie alle sue prestazioni in difesa dove ricopre tutti i ruoli, eccellendo in quello di libero. L'anno successivo, il 1967/68, viene raggiunto da un nuovo compagno di squadra appena giunto dalla Massese e con il quale stringerà subito amicizia: Giorgio Chinaglia. Grazie a lui in difesa e alle reti del ragazzone toscano, ottengono il 9° posto in classifica, con una squadra di esordienti per quella categoria.

Ma è nel 1968/69 che Wilson si fa finalmente notare con la sua squadra, con cui ottiene un clamoroso 3° posto sfiorando la Serie B. Durante alcune gare dell'Internapoli in tribuna è presente Flamini, emissario della Lazio per conto di Lorenzo, che annota il suo nome e quello di Chinaglia. E' Lenzini a imbastire le trattative con Carlo De Gaudio, allora vicepresidente del club partenopeo, ed a portare lui e Chinaglia alla Lazio nell'estate 1969, sfilandoli ad altre squadre che volevano inserirsi nella trattativa. Sei anni dopo il primo approccio, la Lazio tornava prepotentemente a incrociarsi con la vita di Wilson.


Dalla Serie C alla Lazio[modifica | modifica sorgente]

La notizia del suo acquisto fu comunicata alla stampa durante la festa per la promozione in Serie A a Villa Miani, ma passò praticamente inosservata in quanto Pino era ancora uno sconosciuto nel tempio del calcio. Ma poco importa, perché su di lui punta ciecamente Lorenzo che lo fa allenare nel ritiro assieme ai titolari e lo fa esordire già alla prima di Campionato, il 14 settembre 1969 in Lazio-Torino 1-1. Saltando solo una partita in tutto il campionato, colleziona 28 presenze e gioca sempre a buoni livelli, anche quando la squadra esce sconfitta, e si attira così le simpatie di numerosi direttori sportivi che lo segnalano alle loro società.

Intanto la sua amicizia con Chinaglia si salda sempre di più ed i due cominciano ad avere voce in capitolo. Anche lui è coinvolto nel naufragio della squadra di Lorenzo che arriva penultima e retrocede in Serie B, ma le sue colpe sono minime, ed in ogni ruolo in cui viene impiegato è sempre oltre la sufficienza. Qualche detrattore obietta che la sua miopia è un limite e che non riesce a focalizzare bene i palloni che provengono dai cross, ma sono concordi tutti nel dire che sull'anticipo è veramente forte. Malgrado qualche offerta da parte di buone squadre di Serie A, Lenzini, su indicazione del neo allenatore Maestrelli, non lo cede. Wilson affronta per la prima volta la serie cadetta con la smania di chi vuol subito risalire nell'olimpo del calcio.


Maestrelli lo vuole capitano[modifica | modifica sorgente]

Con Maestrelli è subito feeling a prima vista, i due s'intendono subito e l'allenatore lo promuove capitano della squadra, capendo le sue doti di leader. Wilson è laureando in legge, eccezione rara fra i giocatori del suo tempo, è colto e apre un'attività di assicurazioni. Certamente fare il capitano non è facile in quella squadra dove le personalità sono molto forti e i contrasti sono all'ordine del giorno. Di ciò si ha la riprova prima della trasferta a Terni, in programma per Domenica 3 ottobre1971.

La squadra, in contrasto con la Società per delle pendenze non pagate, si rifiuta di andare in ritiro a Sangemini e raggiunge il capoluogo umbro solo poche ore prima della gara, in cui viene sconfitta per 1-0. Wilson, non riuscendo a mediare tra la Società e i compagni, riconsegna la fascia di capitano a Maestrelli, ma questi rifiuta di accettarla e lo riconferma, confidando nel suo carisma per dirimere la questione. La situazione si tranquillizza, ma il campionato dei biancazzurri è altalenante e solo a primavera i giocatori trovano lo sprint per centrare la promozione in Serie A. Ormai il carisma di Wilson è forte e il giocatore (che viene convocato nella Nazionale Militare allenata da Alzani dove gioca una partita) viene notato dal C.T. Valcareggi, Chinaglia intanto parte con la Nazionale dove all'esordio segnerà una rete contro la Bulgaria. L'appuntamento con la maglia azzurra è però solo rimandato e Wilson si consola in ritiro a Pievepelago pensando che l'anno prossimo rigiocherà di nuovo nella massima serie. Intanto studia e dà esami all'università.


Dal pianto di Napoli alla gioia del tricolore[modifica | modifica sorgente]

Il campionato 1972/73 è preceduto da polemiche roventi provocate dall'andamento deludente in Coppa Italia. La squadra è rinnovata profondamente e i nuovi non si amalgano con i vecchi titolari. E' solo una questione di forma atletica e in campionato tutto si trasforma, i biancazzurri diventano una potente macchina da guerra e la difesa, comandata dal suo capitano, subisce poche reti. Wilson dietro a tutti, Facco a destra, Martini a sinistra, Oddi a copertura centrale e Nanni mediano con licenza di avanzare. Praticamente un muro che subisce solo 16 reti in tutto un Campionato dove la Lazio stupisce per qualità di gioco e per forza fisica.

E' una squadra di teste calde e bizzarre, spaccata in tre clan, dove Chinaglia e Wilson ne capeggiano uno contrapposto a quello di Martini e Re Cecconi, mentre nel terzo ci sono i "neutri", capeggiati da Garlaschelli, che non vogliono immischiarsi ma che alla fine sono presi dal fuoco incrociato degli altri. A Tor Di Quinto ogni allenamento è una sfida, ogni partita è un modo per affrontarsi a viso aperto perché nessuno ci sta a perdere e Wilson è perfettamente a suo agio in questo ambiente. Quando un giorno un ragazzino della primavera osa fargli un tunnel beffeggiandolo, lui lo ripaga con un'entrata che lo costringe a uscire anzitempo dal campo, beccandosi i rimbrotti di Maestrelli sempre preoccupato che qualcuno si possa fare "troppo" male.

Wilson non crede ai suoi occhi pensando che appena l'anno prima lottava nei polverosi campi della serie cadetta mentre ora è a un passo dallo Scudetto. Ma tra il raggiungimento del sogno c'è, a 90 minuti dalla fine, l'ostacolo Napoli, la sua Napoli. Durante la partita di andata c'era stato un alterco abbastanza vivace con il difensore partenopeo Vavassori e con Rimbano ed erano volati schiaffi e minacce. Wilson sapeva che nella sua città, in qualche modo, gliel'avrebbero fatta pagare cara. E così fu. A nulla valsero, durante l'intervallo, dei tentativi, mai provati ma dopo tanti anni ammessi, fatti da alcuni giocatori per ammorbidire gli avversari: la Lazio perse 1-0 lasciando sfumare i sogni di gloria.

Tornando negli spogliatoi, Wilson cercò di sfogare la rabbia con chiunque gli capitasse a tiro per poi scoppiare in un pianto dirotto, che nessuno riuscì a placare. Poco gli importò di finire sui giornali perché criticato dalla dirigenza napoletana per le sue intemperanze dopo la gara, tanta fu la rabbia e l'amarezza per il traguardo sfumato. Lo Scudetto è il suo chiodo fisso ormai e niente e nessuno può levarglielo dalla testa. Arriva anche la convocazione in Nazionale, in occasione delle gare contro il Brasile e l'Inghilterra per i festeggiamenti per il 75° anniversario della F.I.G.C., e anche se non giocò fu un'importante riconoscimento alla sua forza e alla sua classe ormai riconosciuta da tutti. Affronta la stagione 1973/74 con la rabbia in corpo e si toglie lo sfizio di segnare la rete decisiva contro la Sampdoria il 14 ottobre 1973, primo gol della sua carriera da professionista.

In campo è un leone, amato da tutti e rispettato. Arriva l'esordio da titolare in Nazionale il 26 febbraio 1974 durante l'amichevole tra Italia e Germania Ovest finita a reti bianche. Agli allenamenti non manca di venire alle mani con Frustalupi e di andare in ritiro con una calibro 38, come anche i suoi compagni, per sparare a bottiglie, lampioni, tanto per ammazzare il tempo. Una notte, in ritiro prima di un Derby di ritorno, qualcuno fa una soffiata avvisando che alcuni tifosi avversari sarebbero andati a disturbare il sonno dei giocatori per innervosirli. Wilson e soci non si perdono d'animo e attendono i "visitatori" appostandosi e imbracciando pistole e fucili, come guerriglieri prima di un'imboscata. La scena è di quelle comico grottesche, con i tifosi avversari in fuga disperata sotto una gragnola di colpi, veri, sparati da tutti i giocatori.

E' talmente forte, quella Lazio, che dovunque va raccoglie applausi a scena aperta. Sotto la pressione dei biancazzurri cadono la Juventus, il Milan, la Roma (2 volte), il Napoli. Stavolta nessuno ferma la Lazio. Contro il Verona deve cedere la fascia di capitano a Pulici per non essere squalificato, a seguito di un ritardo di alcuni minuti indetto per protesta dalla A.I.C.. Arriva così il fatidico giorno, quel 12 maggio 1974, quando in un oceano biancazzurro la Lazio batte il Foggia e vince il suo primo Campionato.

Al fischio finale, Wilson viene spogliato dai tifosi e solo dopo l'intervento dei Carabinieri riesce a conquistare nudo gli spogliatoi, piangendo come un bambino per la gioia. La sua Lazio ha vinto lo Scudetto e per lui arriva la convocazione per la Coppa del Mondo 1974, assieme a Re Cecconi e all'inseparabile Chinaglia, mentre Martini è out per la frattura alla clavicola rimediata proprio quel pomeriggio glorioso contro il Foggia. Quell'esperienza non sarà delle più felici perché la Nazionale è spaccata tra nordisti e sudisti, tra anziani e nuovi e farà una pessima figura, eliminata al primo turno. Wilson ha l'opportunità di sostituire Morini durante Argentina-Italia 1-1 e Burgnich infortunato nella partita contro la Polonia 2-1, in quella che sarà l'ultima sua apparizione in Nazionale ed in quel mondiale, dove deve consolare Chinaglia assediato dalla stampa e vilipeso da tutti dopo un gesto di disappunto rivolto verso Valcareggi, al cui soccorso va anche Maestrelli arrivato dalla Capitale.


Condottiero in anni difficili[modifica | modifica sorgente]

Finalmente Wilson si laurea in Legge, e affronta il nuovo Campionato con la voglia di bissare il risultato dell'anno precedente, ma La lazio ad un certo punto comincia a perdere colpi e progressivamente s'allontana dalla vetta della classifica, mentre Maestrelli comincia ad accusare dei gravi disturbi dovuti al palesarsi di un male incurabile. La malattia del suo amato allenatore prostra Wilson a tal punto che in campo piange per la rabbia e non riesce più ad essere tranquillo. La stagione 1975/76 è infatti un calvario. Non lega con Corsini, nuovo allenatore biancazzurro, e difende l'amico Chinaglia ogni volta che il mister lo attacca. C'è anche lui, nell'intervallo del Derby di andata, nella rissa causata da un battibecco tra Corsini e Chinaglia, dove tutta la squadra si schiera con Long John.

Fortunatamente, dopo un periodo di cura, torna Maestrelli, apparentemente guarito e la Lazio riesce a salvarsi all'ultima giornata dopo un drammatico pareggio a Como. Maestrelli ha però i giorni contati e Wilson lo sa. Gli dedica il Derby vinto il 29 novembre1976 e tre giorni dopo apprende della sua prematura morte tra lo sconforto di tutti. Poche settimane dopo viene avvisato che anche il suo compagno di squadra e nazionale Re Cecconi è rimasto ucciso da un gioielliere che lo ha scambiato per rapinatore. Il mondo gli crolla addosso, ma da buon capitano, conduce la lazio di Vinicio ad un ottimo 5° posto.

Il 1977/78 scorre via tra alti e bassi, e in estate è invitato dall'amico Chinaglia, ormai da 2 anni ai Cosmos di New York per giocare con i New York Cosmos della North American Soccer League. Wilson accetta e si reca negli States, e con i Cosmos vince il Soccer Bowl 1978, vincendo il premio di miglior giocatore nella finale contro i Tampa Bay Rowdies. Ma anche in America il suo temperamento lo porta a polemizzare in campo con l'arbitro italiano Menegali durante una gara amichevole col Vancouver. Chinaglia lo vorrebbe trattenere in America ma lui rifiuta e torna in Patria per affrontare un'altra stagione con la Lazio. Gli anni scorrono tranquilli, con la squadra che si piazza a centro classifica. Ormai ha 34 anni, ma lo spirito è quello di un ragazzino quando affronta quella che sarà la sua ultima stagione, la 1979/80, di calcio giocato.


Una carriera finita male[modifica | modifica sorgente]

La stagione 1979/80 si preannunciava come una delle tante, con la Lazio che al massimo avrebbe potuto competere per la zona UEFA. Lenzini non aveva più disponibilità liquida e non poteva fare acquisti che fossero in grado migliorare la qualtà della squadra. Wilson questo lo sapeva ma non se ne faceva un cruccio: la sua voglia di giocare era immutata come il primo giorno. Il primo colpo duro avviene però prima del Derby del 28 ottobre 1979, quando a causa di un razzo di segnalazione nautica partito dalla curva giallorossa, un giovane tifoso laziale Vincenzo Paparelli perde la vita. I giocatori vengono avvisati che dentro e fuori lo stadio si sta scatenando il caos, con i tifosi biancazzurri che non vogliono far iniziare la gara. E' lo stesso Wilson che va a parlamentare con loro, tra i lacrimogeni e le cariche della Polizia, per cercare di calmarli e riuscendo così a far iniziare la gara.

Ammetterà in una intervista: Ero a conoscenza del ferimento del tifoso e non della sua morte, ma forse è stato meglio giocare, perché altrimenti chissà cos'altro sarebbe successo. La gara finisce 1-1 in un clima di violenza e con mezzo stadio vuoto in quanto la maggior parte dei tifosi laziali anche con le famiglie e con bimbi al seguito, erano scappati inorriditi di fronte a cotanta tragedia. Ma questa stagione riserva ancora l'amaro calice, quello più grave ed umiliante: lo scandalo delle scommesse clandestine.

Wilson viene arrestato a Pescara il 23 marzo 1980 assieme ad altri tre compagni di squadra: Cacciatori, Manfredonia e Giordano e condotto al carcere di Regina Coeli, dove rimarrà detenuto per 10 giorni assieme a carcerati comuni, con l'accusa di truffa e di aver truccato le partite. Wilson era responsabie di aver detto sì ad una spartizione di punti con il Milan. Due punti ai rossoneri all'andata, due alla Lazio al ritorno, uno scambio di favori, insomma, o almeno era quello che gli avevano fatto credere. Ed invece sotto c'era qualcosa di più marcio che Wilson, ancora oggi, dice di non conoscere e di cui all'epoca era all'oscuro. Aveva 35 anni e forse qualcuno lo volle sacrificare come capro espiatorio, e se così fosse Wilson non lo direbbe neanche oggi a tanti anni di distanza dal fatto.

La sua carriera finisce con una condanna a 3 anni di squalifica. Dopo 324 presenze e 6 reti in Campionato. L'amnistia dell'agosto 1982 per lui sarà inutile perché non ne approfitterà. Rinuncerà ad un contratto da dirigente che aveva già in mano e non andrà più allo stadio. Solo una volta lo convincono ad andare a vedere la Lazio. Nel 1994 viene indagato per riciclaggio di dollari falsi, secondo quanto riportato dai giornali dell'epoca. Poi la sera del 9 gennaio 2000, in occasione della Festa del Centenario, rimette la maglia n. 4 per una esibizione con i compagni del 1974, accolto dall'ovazione dei suoi tifosi che hanno capito e probabilmente lo hanno perdonato per quella vicenda. Lo accolgono come il capitano del primo Scudetto laziale e in un modo tale che neanche lui se lo sarebbe aspettato ma in cuor suo forse sperava.


► Scrive La Gazzetta dello Sport del 7 marzo 2022 all'indomani della scomparsa di Pino Wilson:

Pazza Lazio hai perso il Capitano. Wilson, se ne va il libero scudetto e una storia d'amore infinita. Arrivò da sconosciuto, poi diventò il capitano "sapiente" del titolo. Sarà sepolto insieme a Maestrelli e Chinaglia.

All’inizio sembrava che non si trovasse bene, rimpiangeva un calcio meno stressato, la serie C, l’Internapoli, la stessa squadra da dove era arrivato Giorgio Chinaglia. Tanto che per debuttare si accontentò di un secondo tempo, Lazio-Torino, campionato 1969/70. Poi, però, tutto cambiò. Pino Wilson diventò un pezzo dell’Olimpico laziale, per quattro anni di fila la maglia numero 4 fu sempre sua, una specie di proprietà privata. Il suo inizio da comparsa cedette il posto a un ruolo da protagonista in una squadra che somigliava a un film. Wilson divenne un calciatore simbolo dell’identità laziale, giocò 324 partite con quella maglia, divenne il capitano, una parola che gli è rimasta addosso fino all’ultimo e che è stata la più usata ieri, quando si è saputo della sua morte per un ictus all’età di 76 anni. L’ha citata il tweet di ieri del club biancoceleste ricordando il suo libero: "Ciao Pino, nostro Capitano, la storia che ci lega è eterna". Il presidente Claudio Lotito parla di un "ricordo che unisce intere generazioni di tifosi biancocelesti". Per decisione del sindaco Roberto Gualtieri la camera ardente sarà aperta oggi in Campidoglio dalle 10 alle 18.

"Sapiente". Come ogni laziale, aveva attraversato nella sua storia orgoglio e sofferenza, altissima fedeltà e dolore. Gianni Brera lo definì "regista sapiente" e sottolineava proprio i suoi disimpegni con "ricercata eleganza". Giocò pure tre partite in Nazionale nell’epoca dell’"Azzurro tenebra" dei Mondiali ’74. Sapeva essere duro e talentuoso, mischiava il cielo grigio dell’Inghilterra del nord dov’era nato a Darlington casa del papà Denis, e le partitelle per le strade del Vomero, la città di mamma Rachele. Fu anche uno dei primi calciatori laureati, dedicando la sua tesi a Giurisprudenza a un argomento oggi attualissimo: "Relazioni tra ordinamento sportivo e giustizia ordinaria".

Il capitano. Guy Chiappaventi, che con il suo "Pistole e palloni" ha dedicato un libro alla pazza Lazio del primo scudetto, per descriverlo aveva cominciato con le strofe di De Gregori: "Guarda i muscoli del capitano tutti di plastica e di metano. Guardalo nella notte che viene quanto sangue ha nelle vene". La nave di Wilson disegna strane rotte: il venerdì ci si sbrana in partitelle assatanate con un clan contro l’altro, la domenica si rema tutti insieme. Dopo i trionfi, le tempeste. La banda perde il suo condottiero con la scomparsa di Maestrelli, poco dopo c’è l’incredibile fine di Luciano Re Cecconi, morto "per scherzo" in una gioielleria. Wilson è in campo anche il giorno della morte di Vincenzo Paparelli, il tifoso della Lazio colpito da un razzo lanciato dalla curva romanista in un derby. Il suo attaccamento alla Lazio è più forte di tutto e così quando raggiunge Chinaglia alla corte dei Cosmos a New York, e "costringe" persino Beckenbauer a giocare più avanti, dice no a chi gli propone di restare: la Lazio ha bisogno di me.

Il buio. Nel 1980 Wilson è ingoiato dal vortice del calcio scommesse: lo arrestano negli spogliatoi, piange, viene condannato, poi sparisce come se non gli bastasse la squalifica per espiare. Solo più tardi tornerà su quei momenti drammatici e negherà il "tradimento": nessuna scommessa, nessun guadagno illecito, solo un reciproco via libera con il Milan per aiutarsi a vicenda. Fatto sta che Wilson decide di andare via, lontano, chiude la carriera a Montreal, resta attaccato alla Lazio, ma lo fa sempre dall’esterno, anche negli ultimi anni, commentando con equilibrio le vicende della squadra. Intanto anche il figlio James tocca la Serie A con il Cagliari di Mazzone. Un passaggio generazionale di consegne che diventerà lo slogan per un evento di successo, "Di padre in figlio", per trasmettere ai più giovani la storia della banda di Maestrelli. Arriva la sua biografia: nel 2013 esce "Pino Wilson capitano d’altri tempi" scritto con Vincenzo Di Michele. Il ricordo della "nave" si allontana, eppure resta vivissimo. Lo capisci dai morsi della nostalgia di quando si salutano i troppi compagni che se ne vanno. Il "regista sapiente" ora fa forza a chi rimane. Un legame indissolubile, che non è finito ieri. Wilson, il capitano, è stato sepolto l'8 marzo 2022 nella cappella della famiglia Maestrelli a Prima Porta, la stessa dove c’è già Giorgio Chinaglia. Insieme, per sempre.


In un altro articolo della "rosea":

I clan, le pistole e Maestrelli. Squadra unica e inimitabile. Wilson era il leader di un gruppo diviso in due fazioni. I giocatori vivevano sempre all’eccesso, ma poi una volta in campo facevano vedere un calcio spettacolare e vincente.

Ogni volta che gli capitava di ricordare i protagonisti di quell’impresa che se ne erano già andati – fossero l’allenatore Maestrelli, Re Cecconi, Frustalupi, Lovati, Polentes, Facco, il dottor Ziaco, il presidente Lenzini, Pulici o Chinaglia – Pino Wilson a un certo punto doveva interrompersi, perché il groppo alla gola diventava troppo forte. Il ricordo dei giorni felici si mescolava alla malinconia degli addii, molti avvenuti precocemente o addirittura nel fiore degli anni. Ora che anche il capitano dell’incredibile Lazio del 1974 è lassù, si fa ancora più forte il rammarico per aver perso un altro pezzo di quel calcio degli Anni 70 che probabilmente è stato l’ultimo a dimensione umana. Di quella formazione, capace di salire dalla B alla A, di arrivare terza l’anno dopo, in un finale da feulleiton, e di vincere il primo scudetto del club biancoceleste appunto nel ’74, Wilson era il "libero", il regista difensivo, elegante e deciso. Una specie di mix tra Cannavaro e Bonucci, per riportarlo ai tempi attuali. Ed era soprattutto la roccia, il capitano carismatico che chiamava gli altri a raccolta, l’uomo che sin dallo scambio dei gagliardetti era capace di sfidare Beppe Furino, il guerriero della Juventus. Il giocatore aveva classe e movenze armoniose, e un atletismo innato. Durante un’amichevole Italia-Germania Ovest, al suo esordio in azzurro, da ultimo uomo fermò con una rovesciata volante Heynckes che stava involandosi verso Zoff: gli 80.000 dell’Olimpico andarono in visibilio.

Capitano e rockstar. Cosa sia stata veramente la Lazio di quegli anni è difficile da riassumere. Era una bellissima squadra, innanzitutto, che il grande Maestrelli aveva forgiato andando a pescare giocatori semisconosciuti (Wilson e Chinaglia arrivavano dall’Internapoli, Serie C) e combinandoli in modo innovativo. Quella squadra aveva terzini (Martini e anche Petrelli) che spingevano all’olandese, aveva tuttocampisti (Re Cecconi) che farebbero la fortuna degli allenatori anche oggi, aveva un centravanti (Chinaglia) che per rivederlo in Italia s’è dovuto aspettare Bobo Vieri. Ma era anche un gruppo molto particolare, figlio del periodo in cui viveva, fatto di eccessi, di generosità, di romanticismo: una squadra con le basette. Era diviso in due clan, quello di Chinaglia e Wilson e quello di Martini, che addirittura avevano spogliatoi separati. Martini entrò un giorno in quello sbagliato, perché aveva bisogno del phon, visto che il suo si era rotto: Pulici gli disse di andarsene e Martini lo minacciò con il collo di una bottiglia d’acqua minerale spaccata. Le partitelle d’allenamento diventavano battaglie, nessuno voleva perdere, spesso si andava avanti fino al tramonto. Ma la domenica tutta quella energia veniva convogliata verso un unico obiettivo: la vittoria, cercata sin dai primi minuti in modo feroce. E poi le serate insieme, i ritiri trascorsi a fare gare di tiro segno (in molti avevano la pistola), gli abiti alla moda. In quello Wilson era imbattibile: c’è una foto, memorabile, che lo ritrae con un cappottone di pelliccia lungo fin quasi alle caviglie, pantaloni a zampa, stivaletti e Ray-Ban. Una rockstar.

A mille all’ora. E poi la politica, quel dichiararsi senza mezzi di termini di destra in un periodo in cui a farlo spesso si rischiava la vita. Ragazzi ribaldi, che si lanciavano col paracadute, sempre a mille all’ora. Così, come accade alla candela che brucia da due lati, quella Lazio durò poco anche perché il destino le fu nemico. Un cancro si portò via nel 1976 Maestrelli, poi l’anno dopo ci fu la tragedia di Re Cecconi. L’epilogo fu triste, Wilson nel 1980 venne coinvolto nel primo scandalo del calcioscommesse, che pose fine alla sua carriera. Ma il capitano non uscì mai dal cuore dei tifosi: il tributo che l’Olimpico riservò a lui e agli altri eroi sopravvissuti nel 2014, a 40 anni dall’impresa, fece accapponare la pelle. E Wilson, ogni giorno di più, diventava il custode di una "lazialità" che faceva rima con unicità. Ora anche la parabola del capitano s’è compiuta: lassù lo aspettano molti amici, quaggiù riposerà accanto a Maestrelli e Chinaglia.


Tratta dal medesimo quotidiano sportivo, un'intervista a Renzo Garlaschelli che esprime il ricordo di Pino Wilson:

"Perdo un amico vero. E che giocatore era, non lo saltavi mai... Ci sentivamo spesso, l’ultima volta pochi giorni fa. Se c’era un problema lui non mancava mai".

"Una notizia tremenda e del tutto inattesa. Pino stava benissimo, ci eravamo sentiti solo qualche giorno fa. È un colpo durissimo, si fa davvero fatica ad accettarlo. Mi ha chiamato Giancarlo Oddi di primissimo mattino e ho subito pensato che fosse successo qualcosa di brutto. Ma non pensavo che potesse essere accaduto proprio a Pino...". Renzo Garlaschelli trattiene il fiato, ha un groppo in gola grande così. Fa fatica ad andare avanti. Con Pino Wilson se ne va un altro pezzo, e che pezzo, di quella Lazio scudettata del 1974 di cui Garlaschelli è stato un altro dei grandi protagonisti. La seconda punta, come diremmo oggi, della formazione che aveva in Chinaglia l’ariete centrale e in Wilson il leader della difesa e il capitano della squadra.

Garlaschelli, chi era per lei Wilson? "Eravamo grandi amici. E, paradossalmente, lo siamo diventati soprattutto negli ultimi venti anni invece che quando giocavamo assieme. Io vivo a Vidigulfo, in Lombardia, quindi non è che ci vedessimo spesso, l’ultima volta credo sia stata un paio di anni fa che ero sceso a Roma. Però telefonicamente ci sentivamo tantissimo. Non dico tutti i giorni, ma di frequente sì. Ogni volta che c’era un problema lui chiamava sempre, era presente come fanno i veri amici. Sarà difficile farsi una ragione che non ci sia più".

Che uomo era Pino Wilson? "Di una grande umanità e di notevole intelligenza. Sapeva sempre trovare le parole giuste al momento giusto. Quando giocava era un po’ più chiuso, più spigoloso, anche più taciturno. Poi, dopo aver smesso di fare il calciatore e raggiunta la piena maturità come uomo, ha smussato certi angoli del suo carattere ed è venuta fuori tutta la sua generosità e la sua grande capacità di mettersi a disposizione degli altri".

L’amico che tutti vorrebbero, insomma. "Sì, proprio così. E, ripeto, tra me e Pino l’amicizia vera ed intensa è nata negli ultimi venti anni dopo che ci siamo ritrovati da ex compagni di squadra. Quando giocavamo avevo buoni rapporti con lui, ma non particolarmente stretti. Con lui come con gli altri. Anche perché in quella squadra attraversata dai clan io mi ero sempre un po’ tenuto fuori da tutto. Quando ero a Roma, finiti gli allenamenti, avevo altri giri, non frequentavo i compagni di squadra".

Già, la Lazio del ‘74 fatta di mille divisioni, ma che poi alla domenica diventava un corpo unico. "Sì, proprio così. Quante botte ci davamo in allenamento. E non solo quando c’era la partitella infrasettimanale, ma anche negli altri giorni. Non ci risparmiavamo mai. La domenica, però, remavamo tutti dalla stessa parte".

E Wilson che tipo di difensore era quando lo affrontava in allenamento? "Molto duro, anche "cattivo", agonisticamente parlando. Davvero un cliente scomodo, era difficile metterlo in difficoltà. Al punto che per me era più complicato giocare contro di lui nelle partitelle che facevamo a Tor di Quinto che non in quelle ufficiali che giocavamo alla domenica".

In quello spogliatoio attraversato da mille tensioni Wilson che ruolo aveva? "Era il capitano, quindi un ruolo fondamentale che svolgeva con la classe che lo contraddistingueva. Lo faceva soprattutto nelle partite ufficiali, però, un po’ meno in allenamento...".

Ed era anche un punto di equilibrio tra le varie anime della squadra? "No, quel ruolo di mediatore lo svolgeva soltanto Tommaso Maestrelli. L’unico vero e insostituibile punto di equilibrio di quella squadra era l’allenatore. Solo Maestrelli aveva le capacità e l’ascendente per mettere pace tra le fazioni e farle andare d’accordo in campo".

Fu lui però a dare la fascia a Wilson. Perché? "Tommaso capì che Pino era il più intelligente tra noi, quello capace di esprimersi meglio, anche con gli arbitri, che all’epoca non facevano sconti. Una fascia che lui ha dimostrato di meritare ampiamente e che ha onorato fino in fondo".


Palmares[modifica | modifica sorgente]



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