Paparelli Vincenzo
Vincenzo Paparelli, tifoso laziale, perse la vita allo stadio Olimpico il 28 ottobre 1979, ucciso da un razzo sparato dalla curva Sud occupata dalla tifoseria giallorossa prima dell'inizio della stracittadina della settima giornata del campionato di Serie A.
Era seduto in Curva Nord, nella nona fila, lato Monte Mario, nei pressi dell'ingresso numero 57. In attesa di assistere al derby, Vincenzo stava mangiando un panino mentre osservava il cielo plumbeo che minacciava pioggia. Due razzi di segnalazione, partiti dalla Curva Sud, erano appena finiti fuori dagli spalti dopo una traiettoria a zig-zag. Ad un certo punto, erano circa le 13,20, sempre dalla curva Sud parte un terzo razzo che compie una linea retta di quasi 150 metri. Vincenzo viene colpito in pieno volto, il razzo si va a conficcare dentro un occhio. Racconta un testimone di una lunga scia nera e schizzi di sangue ovunque.
Paparelli si accascia su se stesso e la moglie Vanda, che era seduta accanto a lui, comincia ad urlare e chiedere aiuto. Molti tifosi fuggono in preda al terrore, un ragazzo cerca di intervenire cercando di rimuovere il petardo dall'occhio di Paparelli, ma ci riesce solo in parte e dal foro sul viso e da dietro la testa esce del fumo. Arrivano i medici ed una barella che trasporta Vincenzo nell'antistadio della Curva Nord, dove c'è un'ambulanza che, a sirene spiegate, cerca di raggiungere l'Ospedale Santo Spirito, dove però il povero Paparelli, alle 14,20, giunge cadavere. Il decesso è constatato dal medico di servizio, il Dottor Alberto Travostini.
Vincenzo aveva 33 anni. Lascia la moglie Vanda, ventinove anni, e due figli, Marco di 14 anni e Gabriele di 8. Era nato a Roma il 1 maggio 1946, abitava a Mazzalupo, vicino a Casalotti, ed esercitava la professione di meccanico, gestendo un'officina con il fratello Angelo. Erano molto legati, nonostante li dividesse la passione sportiva. Angelo era tesserato per le partite della squadra giallorossa, ma quella domenica, triste fatalità, diede la sua tessera a Vincenzo per assistere all'atteso derby.
In Curva Nord, ormai ridotta a poche migliaia di persone, scoppiano disordini e tentativi d'invasione. Nessuno vuole che si giochi e solo il capitano biancoceleste Pino Wilson riesce ad avvicinarsi ai ragazzi laziali inferociti. Per non creare altri disordini, si decide di giocare. In un clima surreale, con la Nord e la Tevere biancoceleste vuote ed il resto dello stadio pieno.
Le forze dell'ordine si mettono subito alla caccia degli assassini e, dopo una breve indagine, viene indicato in Giovanni Fiorillo l'autore materiale del gesto criminale. Fiorillo ha 18 anni ed è un pittore edile disoccupato. Già la sera dell'omicidio si dà alla latitanza, fuggendo senza una meta ben precisa in giro per l'Italia e riuscendo anche ad espatriare in Svizzera.
Dopo quattordici mesi si costituirà. Verrà condannato, con sentenza della Cassazione del 1987, a sei anni e dieci mesi di reclusione per omicidio preterintenzionale. Morirà il 24 marzo 1993 a causa di un male incurabile. Durante il periodo di latitanza aveva chiamato quasi ogni giorno Angelo Paparelli, fratello dello sfortunato Vincenzo, per scusarsi e giurare che il 28 ottobre non voleva uccidere nessuno.
Il 29 ottobre 2001, a ventidue anni dal tragico episodio, viene posta una targa in memoria di Vincenzo allo stadio Olimpico, lato curva nord.
Il 13 giugno 2011 Vanda del Pinto, vedova di Vincenzo, si spegne all'età di 61 anni.
Articoli sulla vicenda[modifica | modifica sorgente]
► Il Messaggero del 29 ottobre 1979 titola: "Sanno chi ha ucciso, ma nessuno ha visto". Delitto allo stadio. Un'ora prima del derby dalla curva sud vengono sparati, a distanza di secondi, tre razzi antigrandine. Dopo una traiettoria di 200 metri uno degli ordigni raggiunge al viso Vincenzo Paparelli. Decine di tifosi che affollavano l'infuocato settore dell'Olimpico hanno sicuramente notato il teppista-assassino mentre lanciava il micidiale proiettile. La vittima è stata soccorsa dalla moglie.E' stata lei ad estrarre da un occhio del marito il razzo. Paparelli è spirato durante il trasporto all'ospedale S. Spirito. "Vincenzo non morire" - gridava la donna - "abbiamo due figli".
Il velo della morte è calato ieri sull'Olimpico. Un uomo di 33 anni, Vincenzo Paparelli, sposato, padre di due figli, è stato ucciso. Barbaramente. Un uomo che era andato, come migliaia di altri, allo stadio per gustare insieme con la moglie uno spettacolo, per assistere a una festa che ieri aveva un motivo particolare: quello della sfida cittadina tra due schiere di tifosi che tutto l'anno aspettano con ansia questo giorno. Un giorno che, comunque vadano le cose, è occasione per far baldoria, per stuzzicarsi vicendevolmente ma allegramente, e che invece è diventato giorno di lutto. Un uomo è stato ucciso senza nessun motivo. Chi lo ha ucciso fino a ieri non sapeva neppure che esistesse, come si chiamasse, ma la sua incoscienza lucida lo ha spinto a uccidere. Poco importa che non ci fosse l'intenzione specifica. Chi ha sparato il razzo non lo ha fatto per festeggiare l'avvenimento, dal momento che l'ha diretto, intenzionalmente, dalla parte dove si trovavano i tifosi dell'opposta fazione. Chi lo ha fatto è andato è andato allo stadio col "cannone", con l'intenzione chiara, netta, di creare quel clima di tensione dal quale il calcio dovrebbe invece rifuggire. Parlare di teppismo è troppo poco, ma trovare un termine preciso, che possa definire chi ha scambiato uno stadio di calcio per un vero e proprio campo di battaglia, non è affatto facile. L'unico coraggio che l'assassino ha avuto è stato quello della vigliaccheria: ha sparato nella convinzione di rimanere in ogni modo impunito perché mescolato ad una marea di persone nella quale gli è stato facile nascondersi. Ma nella marea qualcuno, molti, hanno visto. E solo se questo qualcuno, sia come cittadino che come sportivo, avrà la forza e il coraggio di non starsene zitto, i romani potranno forse tornare all'Olimpico tranquillamente, per gustarsi quello che è e deve rimanere uno spettacolo, dal quale certamente molti si allontaneranno.
Vincenzo Paparelli era un tifoso laziale. Seguiva la sua squadra, quella per cui faceva il tifo da tanti anni, tutte le domeniche, spesso anche in trasferta. Allo stadio, proprio perché per lui era soltanto un divertimento, ci portava anche la moglie. Un modo come un altro per trascorrere la domenica, aggiungendoci, di tanto in tanto anche la gitarella. Ieri all'Olimpico c'era andato con un certo anticipo, per trovare il posto a sedere, ma la pioggia che cadeva abbondantemente sin dal mattino aveva fatto sì che lo stadio non registrasse il pienone degli altri derby. Anche lui era stato indeciso fino all'ultimo, ma poi aveva optato per il sì. A dargli la tessera per l'ingresso, anzi, era stato proprio il fratello Angelo, romanista, che ai derby non era mai andato. "Anch'io vado alla partita tutte le domeniche - ha detto dopo, tra le lacrime, all'ospedale S. Spirito - ma ho sempre evitato di andare a vedere Roma-Lazio. Così quando mi ha chiesto il mio abbonamento (in casa, infatti, giocava la Roma) gliel'ho dato". La tragedia è avvenuta alle 13,30. A quell'ora la curva sud, solitamente occupata dai tifosi giallorossi, era già colma di persone e la nord, dove prendono posto quelli laziali, si stava riempendo. Pochi minuti prima, anzi, nella parte centrale della curva nord era stato messo in bella vista uno striscione biancoazzurro, con la scritta "Rocca bavoso, i morti non risuscitano". Forse è stato questo - ma è assolutamente un'ipotesi - a scatenare le ire dei tifosi dell'opposta fazione. Fatto è che quasi contemporaneamente dalla curva sud sono partiti due razzi uno dei quali, dopo aver attraversato tutto il terreno di gioco, è andato a finire nella curva opposta, cadendo sei o sette metri sotto lo striscione "incriminato". L'altro, invece, ha oltrepassato tutto lo stadio ed è finito fuori. Si è vista, nel punto in cui il razzo è caduto, una colonna di fumo e, contemporaneamente, un fuggi fuggi generale. "C'è qualcuno per terra" ha gridato qualcuno. Poi il caos. Wanda Del Pinto, 29 anni, moglie di Vincenzo Paparelli, si è vista cadere il marito improvvisamente davanti agli occhi. Stava tranquillamente parlando con lui quando l'uomo è stato colpito ad un occhio e si è accasciato a terra in un lago di sangue. Quando l'ordigno ha raggiunto il bersaglio è anche scoppiato.
La donna ha avuto, in quel momento, una forza d'animo unica, sicuramente irripetibile. Visto il marito a terra e con il razzo in un occhio, istintivamente glielo ha estratto, proprio nel momento in cui c'è stata la piccola esplosione, bruciacchiandosi le mani. La parte sinistra del volto dell'uomo era completamente devastata. Poi gli ha urlato: "Non morire, non morire, abbiamo due figli". Vincenzo Paparelli è stato soccorso e trasportato al S. Spirito. Inutilmente. Le conseguenze del gesto barbarico sono state irreparabili. Quando è giunto all'ospedale l'uomo era già morto. Il razzo col quale Vincenzo Paparelli è stato ucciso è stato poi recuperato da uno spettatore e consegnato alla polizia. L'altro, quello finito al di là della curva nord, ha ferito un giovane di 20 anni, colpendolo fortunatamente di striscio. Il giovane è stato poi medicato dal medico sociale della Roma dott. Alicicco. Un terzo razzo, lanciato a qualche secondo di distanza dai primi due, ha avuto fortunatamente un tragitto più breve ed è caduto nello spazio che sta dietro la porta di gioco, prima di raggiungere le tribune. Tre razzi con i quali non si voleva certamente far festa. Come sono potuti entrare? E' difficile dirlo. Il dottor Marinelli, che dirige il secondo distretto, ha detto che anche ieri, come tutte le altre domeniche, gli agenti dislocati alle varie entrate hanno effettuato i soliti controlli, sequestrando una cinquantina di razzi di vario tipo, tra cui alcuni di grosse dimensioni, come quello che ha ucciso Vincenzo Paparelli. Un razzo antigrandine, che può essere lanciato senza l'ausilio di una pistola ma tramite un tubo incorporato che poi resta in mano a chi lo lancia. Ognuno di questi aggeggi, tanto per rendere l'idea dei criminosi vertici ai quali il fanatismo può arrivare, costa dalle 10 alle 15.000 lire. Quello che ha ucciso l'uomo aveva la punta completamente schiacciata, tanto è stato forte l'impatto con il suo volto. Il corpo di Vincezo Paparelli è stato posto a disposizione dell'autorità giudiziaria. La moglie, che ha dimostrato una grande forza d'animo e un grande coraggio, è crollata all'ospedale, dopo aver fatto la sua deposizione in Questura.
Al S. Spirito, dopo che la notizia della morte del Paparelli si era diffusa, c'è stato un drammatico epilogo. In poco tempo parenti e amici dell'uomo assassinato hanno cominciato ad affollare l'ingresso dell'ospedale. Il padre di Wanda Del Pinto, Marcello, 60 anni, suocero della vittima, ad un certo punto è stato colto da collasso ed è stato ricoverato. La polizia ha cominciato le indagini a tappeto, vista l'estrema gravità del fatto. Oltre venti persone sono state identificate e denunciate perché trovate in possesso di armi improprie. Già prima della partita, oltre ai razzi di cui abbiamo parlato sopra, gli agenti avevano sequestrato bastoni, bilie e altri "attrezzi" che purtroppo da un po' di tempo a questa parte fanno parte del corredo di alcuni tifosi. Ma evidentemente l'operazione controllo delle forze dell'ordine non è bastata, visto che per essere lanciati, hanno bisogno di un tubo di lancio la cui lunghezza supera abbondantemente i 50 centimetri. In serata ci sono stati anche dei fermi. Due giovani sono stati fermati dalla mobile e altri due dai carabinieri, ma nella tarda serata sono stati rilasciati in quanto non sono emersi elementi che potessero coinvolgerli nell'omicidio.
► Un altro articolo tratto da Il Messaggero del 29 ottobre 1979 racconta Vincenzo Paparelli:
"Vincenzo Paparelli era padre di due figli: uno di 14 e l'altro di 8 anni. Viveva nei pressi di Casalotti e gestiva con il fratello un'officina meccanica all'Aurelio. Lavoratore esemplare aveva un'unica passione: il calcio. Scene drammatiche al S. Spirito. Il presidente del Coni Carraro: "Per lo sport italiano la giornata più triste". La moglie della vittima racconta. "Volevamo restarcene a casa ma lui è riuscito a convincermi".
"Per lui andare alla partita la domenica era l'unico svago. Quando la Lazio giocava in trasferta la seguiva, oppure se rimaneva a Roma, andava a lavorare". Angelo Paparelli, fratello di Vincenzo, ancora non si rende conto di come il tragico fatto possa essere accaduto. "E pensare - continua - che la tessera per la partita gliel'ho data proprio io. Sono romanista e anch'io vado allo stadio tutte le domeniche, ma ai derby non ho voluto mai andarci. Così quando stamattina Vincenzo mi ha detto che lui, nonostante piovesse, alla partita non voleva mancare, gli ho dato il mio abbonamento". L'ingresso del S. Spirito è affollato. Parenti, amici di Vincenzo Paparelli, ma anche gente che aveva saputo la notizia dalla radio o dalla televisione e che ancora si domandava se sia possibile morire andando a una partita di calcio. Wanda Del Pinto, la moglie, si guarda attorno inebetita. Ha avuto un'estrema freddezza quando lo ha soccorso, quando lo ha accompagnato all'ospedale, quando l'hanno portata in questura per la deposizione. Poi, alla fine, è crollata. Accanto a lei ci sono il padre, il fratello, il cognato che le chiedono come sia successo. Tra le lacrime riesce solo a dire: "Non volevo andarci, non volevo andarci. Avevamo deciso di starcene a casa, perché pioveva. Poi quando ha visto che è uscito il sole mi ha convinta ad andare". Marco e Gabriele, i due figli di Vincenzo Paparelli e Wanda Del Pinto, non ci sono. Stanno a casa e solo in serata verranno informati della tragica morte del padre. Hanno il primo 14 anni, il secondo appena 8. Di Vincenzo tutti parlano bene. Trentatré anni, una vita tranquilla, da onesto lavoratore, una casa all'estrema periferia di Roma in via Dronero, alla borgata Mazzalupo, e un'officina da meccanico sulla via Cornelia, gestita insieme al fratello Angelo. Una vita fatta soprattutto di lavoro, con pochi divertimenti.
"Non erano rare - dice un suo amico intimo - le volte che si fermava in officina anche il sabato o la domenica. Quando era libero, però, gli piaceva andare allo stadio a vedere la Lazio, di cui era sempre stato tifoso. Ma non tanto da mettersi nei guai per la squadra. Diceva sempre: "Mi metto vicino all'uscita, così se succede qualcosa faccio in tempo ad andarmene subito". Quando c'era qualche scazzottata era il primo ad allontanarsi per cercare un posto più tranquillo". E proprio il fatto che spesse si faceva accompagnare dalla moglie dimostrava che non aveva alcuna velleità di fanatismo sportivo. Il calcio, però, gli era sempre piaciuto. Lo ricorda un suo vicino di casa: "Vincenzo e Angelo giocavano tutti e due nella squadretta della borgata quando erano ragazzi. Entrambi erano bravini e Vincenzo si destreggiava in diversi ruoli. Poi, con l'avanzare dell'età e il sorgere di altre preoccupazioni, avevano smesso, ma la passione per il calcio è rimasta in tutti e due. Era l'unica cosa, anzi, di cui Vincenzo si interessava al di fuori del lavoro. Col fratello, che è romanista, si beccavano spesso, ma tutto è sempre rimasto nei limito degli sfottò bonari e che finiscono con una risata". Otello Del Pinto, fratello di Wanda, ancora non crede che il cognato sia morto. "Ho saputo la notizia dalla televisione, ma lì per lì non ci ho fatto caso. Cioè non pensavo che potesse trattarsi proprio di Vincenzo. Di Paparelli, ho pensato, ce ne sono tanti. Possibile che sia proprio lui? Invece, quando il telecronista ha ripetuto nome e cognome e ha detto che faceva il meccanico non ho avuto più dubbi e allora sono corso all'ospedale". Il dramma della famiglia ha un'appendice. Marcello Del Pinto, padre di Wanda, sta seduto nella saletta d'attesa all'ingresso del S. Spirito. Vedendo la figlia disperata non regge e si accascia al suolo. Immediatamente viene soccorso mentre altre grida strazianti si levano all'ingresso dell'ospedale. Fortunatamente dopo qualche minuto le sue condizioni migliorano.
In mezzo alla folla, anche i curiosi, che con la loro presenza vogliono dimostrare solidarietà alla famiglia della vittima. Tra le personalità del mondo sportivo il primo ad accorrere al S. Spirito è stato il presidente del CONI Franco Carraro. Si avvicina alla moglie del Paparelli e le porge le sue condoglianze. Non ha molta voglia di parlare con i giornalisti. Dice soltanto: "Ho sentito la notizia alla radio e sono subito accorso qui". A chi gli chiede un commento sull'episodio risponde: "Cosa volete che vi dica. Posso solo aggiungere che questa è la giornata più triste per lo sport italiano". La processione davanti all'ospedale è durata per tutto il pomeriggio. Quando verso le 17 sono cominciati a sfilare gli autobus che portavano i tifosi, non c'è stata la consueta "gazzarra" che accompagna in genere i dopo-partita. Tutti sono passati in silenzio consapevoli che la tragedia è andata molto più in là di qualsiasi antagonismo sportivo.
► In un altro articolo sono riportate le reazioni dei tifosi e lettori al tragico evento.
"Ormai agli stadi si ripete in scala ridotta quello che avviene nel paese - ha commentato un giovane bancario all'uscita del derby Roma-Lazio - Una minoranza di fanatici teppisti si scatena per creare disordini, sfasciare tutto, impaurire e scalzare le basi della civile convivenza. Le autorità dirigenti (parlo di quelle sportive negli stadi e di quelle politiche nel paese) e quelle preposte all'ordine pubblico non sanno come comportarsi, hanno paura di far rispettare le leggi e di tutelare l'incolumità dei cittadini ed i violenti si sentono forti, godono dell'impunità e purtroppo trovano nuovi proseliti. Lo abbiamo visto oggi all'Olimpico. Dopo quello che è successo all'1,30 ci aspettavano che la partita fosse sospesa ed invece, forse per paura di maggiori disordini, l'hanno fatta svolgere lo stesso ed in questo modo hanno dato ragione agli assassini della curva sud". "Ho visto chiaramente il razzo partire dai "parterre" della curva sud, feudo abituale dei più scalmanati tifosi romanisti - ha raccontato un lettore che ha telefonato al nostro giornale poche ore dopo la tragedia - e finire circa dieci metri sotto a me nella curva nord, nel fitto della gente. Il finimondo è aumentato ed in parecchi ce ne siamo andati convinti che la partita sarebbe stata sospesa, ma quando sono tornato a casa ed ho acceso la radio sono rimasto trasecolato: la partita era cominciata regolarmente. I signori del CONI e delle società sportive e la polizia non avevano battuto ciglio. La perdita di una vita umana innocente non era servita a nulla. Ho deciso che non andrò più allo stadio. Se qualcun'altro se la sente di mescolarsi con quegli scalmanati vada pure, io cedo il mio abbonamento pagato centocinquantamila lire a sole cinquemila lire".
"La mia proposta vi sembrerà assurda, ma dovrebbe invece essere presa in considerazione - ci ha telefonato la madre di un giovane tifoso che aveva appreso la notizia della morte di Vincenzo Paparelli ed era in ansia per il ritardo del figlio - Noi mamme vogliamo stare tranquille e lo stesso le mogli e le fidanzate di tutte le persone civili che vanno allo stadio. Da questo momento i derby dovrebbero farli in un'altra città, non più a Roma. Se nessuno è capace di far rispettare la legge e tutelare i lavoratori che la domenica si concedono un meritato svago prendiamo almeno questo elementare provvedimento perché è dimostrato che i guai maggiori avvengono proprio nelle giornate in cui gli animi sono più accesi". Questo sono alcuni dei commenti più significativi raccolti "a caldo" dopo la morte, così tragica e assurda, del giovane operaio fulminato da un razzo mentre aspettava l'inizio della partita accanto allo sgomento e addirittura la paura delle persone che abbiano avvicinato o che ci hanno telefonato, a decine, in redazione.
►Tratto da L'Unità, il racconto di quella giornata:
"La violenza negli stadi ha provocato una vittima. Ammazzato all'Olimpico. Spettatore colpito in pieno viso dal razzo sparato da un teppista. Vincenzo Paparelli, un meccanico di 32 anni, è crollato sotto gli occhi della moglie. La tragedia un'ora prima dell'inizio del derby. Si è discussa l'eventualità di non effettuare l'incontro. Numerose persone fermate".
L'articolo così prosegue: Doveva essere una giornata di sport. Il derby Roma-Lazio è appuntamento di gran richiamo per gli sportivi della capitale. Invece s'è trasformata in una assurda tragedia, che non trova spiegazione alcuna e che è costata la vita a Vincenzo Paparelli, un meccanico di 33 anni. Erano circa le 13,20 e già migliaia di spettatori avevano preso posto sulle gradinate dell'Olimpico. Nella curva sud si erano sistemati come sempre i tifosi della Roma, nella nord quelli della Lazio. Nonostante mancasse ancora più di un'ora all'inizio della partita il clima era teso come da tempo non accadeva. I tifosi di opposta fazione avevano preparato cartelli, striscioni, come negli altri derby insomma. Proprio uno striscione innalzato improvvisamente dalla curva dei tifosi laziali ha provocato la scintilla; c'era scritto: "Rocca bavoso, i cadaveri non risuscitano". Il giocatore Rocca è un terzino che più volte ha dovuto interrompere l'attività per un infortunio e sottoporsi a interventi chirurgici. La prima reazione dei tifosi romanisti è stata quella di tentare un'invasione di campo per portarsi nell'altra curva. Le forze dell'ordine sono subito intervenute, riuscendo a bloccare gli invasori. Sembrava che tutto dovesse ritornare alla normalità. Invece qualche minuto dopo il drammatico episodio. Dalla curva dei romanisti, dalla parte della tribuna Tevere all'altezza dello striscione Roma club Somalia, è stato sparato un razzo autoesplodente anti-grandine. Poi si saprà che non era un razzo qualsiasi, ma un vero e proprio proiettile. Si tratta di un cilindro lungo 20 centimetri e con un diametro di 4, che può percorrere traiettorie anche di 200-250 metri.
Nello stadio si è sentito un sibilo, sinistro, il proiettile ha disegnato una lunga scia fumosa e ha colpito Vincenzo Paparelli in pieno viso, nell'occhio sinistro. L'uomo era seduto nell'ultima fila di panchine nel versante della tribuna M. Mario, dietro una delle uscite del settore. Era in compagnia della moglie Wanda Del Pinto e stava aspettando l'inizio della partita, mangiando il panino che si era portato da casa. Era il suo pranzo. La moglie ha visto arrivare il razzo, ha cercato di avvertire il marito, ma non ha fatto in tempo. Vincenzo Paparelli, colpito in pieno viso, nella parte della regione temporale sinistra, s'è subito portato le mani sul viso diventato una maschera di sangue. I primi soccorsi gli sono stati portati dalla moglie, che gli ha subito estratto il razzo. Poi, non ha resistito, è svenuta. Sono intervenute le forze dell'ordine, Paparelli è stato subito trasportato al pronto soccorso e di lì in ambulanza all'ospedale Santo Spirito, dove però è giunto cadavere. Intanto nello stadio si vivevano attimi di grande tensione, di paura. Dopo cinque minuti altri due razzi, di identico tipo sparati sempre dallo stesso settore per fortuna sono esplosi fuori dello stadio. Nella curva nord, anche fra le poche centinaia di spettatori rimasti, si diffondeva il panico, con la gente alla ricerca disperata di una via di uscita. Ma non tutti lasciano le gradinate. Un gruppo di tifosi si scatenava contro i cristalli divisori, per crearsi un varco. "Gridavano come ossessi - racconta un brigadiere di pubblica sicurezza - erano fuori di sé. "Toglietevi" ci strillavano. "Dobbiamo andare ad ammazzare gli assassini romanisti". La fermezza degli agenti ha bloccato sul nascere ogni ulteriore reazione sconsiderata. Nel frattempo negli spogliatoi si stava decidendo se giocare o no la partita.
Il presidente del centro di coordinamento dei club biancazzurri chiedeva il rinvio della partita per timore di nuovi gravi incidenti. L'arbitro decideva alla fine che si dovesse giocare. Nella curva nord l'atmosfera non si placava. Gruppi di tifosi laziali continuavano a lanciare oggetti di ogni genere in campo. Urlavano verso i giocatori della loro squadra "Fuori, fuori". Un invito a abbandonare il campo in segno di protesta. Si avvicinavano allora i giocatori Wilson e Giordano per calmare gli animi, mentre numerosi agenti si schieravano ai bordi del campo. La partita ha avuto così inizio in un clima che non prometteva nulla di buono. Ma fortunatamente non accadeva più nulla di grave. Soltanto proteste verbali dei laziali verso i romanisti e più di un pallone sequestrato dai tifosi biancazzurri, quando arrivava dalle loro parti. La partita è sembrata interminabile. Si sono temuti incidenti, scontri fra i tifosi, durante lo sfollamento dallo stadio, ma sono giunti rinforzi di polizia e carabinieri. Un enorme dispiegamento di forze dell'ordine ha presidiato i punti nevralgici dei viali dello stadio. "Non ho mai visto un derby più terribile di questo - ha commentato il vice-questore Marinelli, che sovraintende il servizio d'ordine all'Olimpico - Una cosa incredibile. Stamane quando abbiamo fatto l'abituale giro di perlustrazione abbiamo trovato di tutto, nascosto nei posti più impensati. Abbiamo riempito un camioncino di mazze, spranghe di ferro, pistole giocattolo, sassi, mattoni, e anche 50 razzi dello stesso tipo che hanno ucciso il Paparelli. Abbiamo fermato quattro persone". Due dei fermati sono sospettati di fare parte del gruppo di teppisti che stava sulla curva sud, nel punto da dove è stato esploso il micidiale razzo. Altri fermi sono stati effettuati poi in città: giovani provenienti dallo stadio sono stati trovati armati di spranghe, coltelli e altre armi.
► La Stampa del 29 ottobre 1979 titola: "Ucciso allo stadio da un razzo lanciato da una curva all'altra". "L'assurda violenza dei tifosi ha provocato una tragedia. La vittima è un meccanico di 33 anni, padre di due figli, tifoso della Lazio. - Il proiettile, dopo aver percorso oltre 250 metri, lo ha colpito al viso. - Un secondo razzo è addirittura uscito dallo stadio dopo averlo attraversato tutto. Fermati due giovani. - Inutili le perquisizioni all'ingresso anche se è stato sequestrato un "arsenale" impressionante".
Il derby Roma-Lazio passerà tragicamente alla storia. Uno spettatore di 33 anni, Vincenzo Paparelli, sposato, padre di due figli, è stato ucciso sulle gradinate della curva Nord quasi al limite con la tribuna Monte Mario, da un razzo esploso dalla curva Sud che si trova al lato opposto dello stadio. Era un tifoso della Lazio. Ieri è andato alla partita con la tessera del fratello, tifoso della Roma, con il quale manda avanti una piccola officina nel quartiere di Primavalle. E' la prima volta in Italia, che un incontro di football viene funestato da un delitto. L'episodio è accaduto verso le ore 13 quando già gli spalti dell'Olimpico erano gremiti di folla. Sulla curva Sud si trovavano, secondo un'antica consuetudine, i tifosi romanisti, mentre il lato Nord era riservato ai sostenitori laziali. Le due fazioni stavano scambiandosi i soliti slogan sfottenti. La scintilla è scattata quando nel settore laziale e apparso un grosso striscione sul quale era scritto a lettere cubitali: "Rocca bavoso, i morti non resuscitano". I romanisti replicavano con bordate di fischi. Improvvisamente dal punto dove giganteggiava un grosso drappo con scritto "commando ultra curva Sud", è partito un grosso razzo, che dopo aver attraversato sibilando tutto il campo, andava a colpire in pieno volto il Paparelli che si accasciava sanguinante al suolo. In un baleno dilagava il panico. La folla si precipitava verso le uscite mentre un altro proiettile, scagliato dallo stesso punto, oltrepassava addirittura il settore Sud, andando a finire su un albero fuori dello stadio. Intanto accanto al Paparelli era rimasta soltanto la moglie Wanda del Pinto, che gridava disperatamente.
E' trascorso qualche minuto prima che ci si rendesse conto della gravità dell'episodio. Poi sono arrivati i barellieri. L'ambulanza si faceva largo con la sirena spiegata, diretta verso l'ospedale di S. Spirito. Purtroppo il poveretto ha cessato di vivere lungo il tragitto. Uno spettatore ha raccolto il piccolo razzo insanguinato, che aveva ucciso il giovane e lo ha consegnato alla polizia. Solo dopo un quarto d'ora si spargeva fra il pubblico la notizia della morte del Paparelli. I sostenitori biancoazzurri si abbandonavano ad una reazione rabbiosa. Saltavano fuori bastoni, spranghe di ferro, biglie. Venivano infranti i vetri che dividono i settori delle tribune Tevere e Monte Mario. Alcuni esponenti dei circoli biancoazzurri si portavano davanti agli spogliatoi chiedendo la sospensione della partita. Il presidente della Roma, ing. Viola, pallido in volto, replicava con aria affranta che non si sentiva di assumersi la responsabilità di una decisione che avrebbe rischiato di creare incidenti ancora più gravi. Anche le autorità hanno ritenuto opportuno evitare di prendere iniziative con il pericolo di far precipitare la già precaria situazione. Quando le squadre sono entrate sul terreno di gioco, dalla curva Sud si è levato il coro di "assassini, assassini". La curva Nord presentava larghi vuoti. Molti avevano lasciato lo stadio per paura e altri in segno di protesta aderendo all'invito lanciato dai capo-tifosi. Alcuni scalmanati si sono avvicinati al fossato e hanno cominciato a lanciare oggetti in campo mentre le forze dell'ordine si schieravano con i fucili lanciarazzi puntati.
Il capitano della Lazio Wilson e Giordano, si avvicinavano agli spalti cercando di placare l'ira della folla. L'arbitro D'Elia si guardava intorno disorientato. Partiva un razzo di color rosso che lo sfiorava ad una spalla. Nel trambusto generale, il direttore di gara decideva di fischiare l'inizio della partita. Continuava il lancio di proiettili di ogni genere. Il comandante dei carabinieri decideva di far entrare nel recinto della curva Nord drappelli di militi. Si accendeva qualche scontro. Ma fortunatamente non accadevano altri episodi gravi. Più tardi il capo del secondo distretto di polizia, dott. Marinelli, ha dichiarato che era stato effettuato il fermo di quattro giovani. Si sospetta che due di essi abbiano a che fare con l'episodio delittuoso. "Non sappiamo con esattezza quale tipo di arma abbia usato il teppista che ha sparato — ha aggiunto il funzionario — riteniamo che debba trattarsi di un lanciarazzi dotato di una carica di notevole potenza".
► Gli aspetti tecnici del derby hanno trovato scarsa eco negli spogliatoi dell'Olimpico. Su allenatori, giocatori, dirigenti, giornalisti, gravava l'atmosfera pesante della tragedia avvenuta prima della partita in curva Nord. Il primo a raggiungere la sala stampa è stato Liedholm che aveva un'aria mesta e sconcertata. Ha cercato all'inizio di sviare il discorso dal luttuoso episodio affermando che secondo lui la partita aveva avuto uno svolgimento regolare. "Sulla triste vicenda accaduta sugli spalti — ha dichiarato lo svedese — non avevamo notizie sicure. Si parlava di un ferito grave. Rocca era molto agitato per quel cartello pieno di insulti. Ha giocato male, come del resto tutta la mia squadra. Non avevamo la mente serena per sviluppare un gioco normale. Ognuno cercava l'iniziativa personale". Pensa che possa aver influito la notizia della morte di uno spettatore? "Abbiamo iniziato la gara quasi inconsciamente — ha replicato Liedholm — ma con il trascorrere dei minuti i giocatori sono riusciti a concentrarsi sulla partita. L'episodio è inconcepibile. E' la prima volta, nella mia lunga carriera prima di calciatore e poi di allenatore, che mi capita di assistere ad un fatto così grave". Poi il trainer, anche per sdrammatizzare un po' il clima, ha ripreso a commentare l'incontro con parole piuttosto dure nei confronti dei suoi giocatori: "Tancredi è stato il migliore in campo, non ha potuto far nulla sulla palla del gol deviata da Rocca. Ma nello stesso tempo non esito ad affermare che siamo stati fortunati. La Lazio ha giocato meglio, specialmente nel primo tempo".
Il capitano Santarini, mentre si recava nello spogliatoio dei laziali, ha dichiarato: "Quando abbiamo appreso la notizia del gravissimo incidente, noi e i nostri avversari, siamo rimasti frastornati. In questo momento non mi vengono le parole. Siamo vicini ai familiari dello scomparso. Ma so che non basta. Purtroppo si alimenta la violenza da una parte e dall'altra con certe scritte offensive come quella su Rocca. Con questo non voglio giustificare l'accaduto. Ma vorrei dire che purtroppo da scherzi pesanti a volte scaturiscono le tragedie". Il presidente ing. Dino Viola, pallidissimo in volto, ha detto: "Ho parlato con i ragazzi prima e durante l'intervallo della partita. Li ho esortati a rimanere calmi, anche se era difficile per tutti in quei momenti. In settimana avrò dei contatti con i capo-tifosi. Cercheremo insieme di individuare i responsabili. Ciò che è accaduto è inaudito quando si pensa che si dovrebbe andare in uno stadio solo per divertimento". Negli spogliatoi biancazzurri si respirava un clima di doloroso risentimento espresso con parole assai dure. "Quando sono andato verso la curva dei nostri tifosi — ha raccontato il capitano Wilson — ho detto loro di lasciarci giocare. Era il modo migliore per onorare la memoria dello scomparso. In caso contrario penso che si sarebbe rischiata una tragedia ancora più grave anche se il nostro primo istinto è stato quello di non cominciare la gara. E' brutto quello che dico ma quello che ha ammazzato merita di morire nella stessa maniera. Finire l'esistenza in uno stadio è davvero sconvolgente".
Preso da una crisi di pianto, Wilson si è interrotto bruscamente. Giordano: "Abbiamo saputo della disgrazia poco prima dell'inizio della partita. Ho pregato i tifosi di stare calmi assicurando loro che avremmo fatto di tutto per vincere dedicando il successo alla memoria dello scomparso. Mi sono sentito rispondere: romanisti assassini". Montesi ha duramente rimproverato le autorità che "sarebbero dovute intervenire per sospendere la partita". Lovati è apparso distrutto: "E' stato un pomeriggio che non dimenticheremo presto — ha dichiarato il trainer — tuttavia non credo che abbia influito sui miei giocatori la notizia dell'accaduto. Per quanto riguarda la gara dico solo che la Lazio è stata nettamente superiore, meritavamo ampiamente di vincere".
"Ho visto il razzo arrivare dall'altra parte dello stadio. Era luminoso ed aveva una scia di fumo. Ho fatto appena in tempo a girarmi per dire a Vincenzo di stare attento, ma era già stato colpito". Annientata dal dolore Wanda Del Pinto ricostruisce fra le lacrime gli attimi che hanno preceduto la morte di Vincenzo Paparelli. Sono le 16 e la donna si trova negli uffici della squadra mobile per fornire la sua deposizione. E' lì da pochi minuti ed il funzionario di turno fa mettere a verbale il suo racconto. "Eravamo usciti di casa dopo le 12.30. Vincenzo era un patito della Lazio e non voleva mancare al derby. Per vedere la partita si era fatto prestare la tessera dal fratello". Il calcio era l'unico hobby di Vincenzo Paparelli. Romano, 33 anni, terzo di cinque fratelli, lavorava come meccanico in un'officina di Primavalle. "Stasera sarebbe dovuto venire a cena a casa mia — spiega il cognato Otello Del Pinto —. Dovevamo festeggiare il compleanno di mio figlio che ha compiuto tre anni. L'ho visto l'ultima volta sabato sera. Sono stanchissimo, mi ha detto, ma domani Roma-Lazio non voglio proprio perderla". Tutta Primavalle si stringe intorno al dolore di una famiglia provata da una tragedia assurda. La gente della borgata sfila silenziosa sotto la casa del meccanico, in via Dronero, in un pellegrinaggio spontaneo e composto. Nel tardo pomeriggio arriva l'aggiunto del sindaco Petroselli. E' accompagnato da due vigili urbani e alla sorella di Vincenzo Paparelli porta il cordoglio del primo cittadino e della giunta capitolina.
Il dott. Efisio s'informa sulle condizioni economiche della famiglia. "Domani mattina — dice — verrà una assistente sociale. E' a vostra disposizione per quanto potrà esservi utile. Oggi all'Olimpico è morto un cittadino romano e vorremmo partecipare al vostro dolore". L'aggiunto e i familiari di Vincenzo Paparelli si appartano in un angolo. Otello Del Pinto ringrazia il funzionario comunale. "Non sappiamo ancora quando potremo fare il funerale — informa —. In questura ci hanno detto che per avere il nulla osta occorre l'autorizzazione del magistrato e che questa verrà concessa dopo l'autopsia". Gli adempimenti di legge e il loro lento rituale si scontrano con il dolore di una famiglia. "Vincenzo è morto e nessuno ce lo restituirà — dice singhiozzando la sorella Carla —. Lascia due bambini, di sette e tredici anni, una moglie e quattro fratelli che lo adoravano. Lo ha ucciso quella violenza che lui detestava, la stessa che da troppo tempo segna la nostra vita di tutti i giorni. Che senso ha sapere esattamente come è morto quando i responsabili di ciò non verranno mai scoperti?". "Stiamo facendo il possibile per arrivare all'identificazione dello spettatore che ha esploso dalla curva Sud il razzo che ha ucciso Vincenzo Paparelli — affermano in questura —. Abbiamo fermato e denunciato una ventina di persone perché trovate in possesso di armi improprie. Due sono tuttora in stato di fermo al secondo distretto di polizia, mentre i carabinieri ne hanno fermati altrettanti. E' difficile dire se fra questi vi sia lo sparatore. Li stiamo interrogando a fondo, nella speranza che dalle loro deposizioni emergano elementi utili". Di più, i funzionari della squadra mobile non vogliono dire. Secondo indiscrezioni trapelate nella tarda serata, tra i quattro fermati non figurerebbero gli autori materiali del fatto. Si tratterebbe comunque di testimoni forse preziosi: tifosi che hanno assistito al derby nei pressi del luogo della curva Sud da dove è partito il proiettile. Intanto, i fedelissimi di numerosi club giallorossi e biancazzurri si sono impegnati a fornire tutta la loro collaborazione agli inquirenti per scoprire i responsabili della morte di Vincenzo Paparelli, il primo spettatore ucciso in Italia all'interno di uno stadio di calcio.
► Il Messaggero del 30 ottobre 1979 scrive:
"Delitto allo stadio. Giovanni Fiorillo, identificato dalla Mobile nel giro di 24 ore, è scomparso. Ma la polizia ha già arrestato Enrico Marcioni, altro ultrà giallorosso, che era con lui al momento dello sparo del razzo omicida. L'amico in lacrime ha confessato tutto. Avevano acquistato i 4 ordigni in un negozio di caccia e pesca pagandoli 15mila lire l'uno. Tre ne hanno lanciati, il quarto lo hanno gettato nel fossato dell'Olimpico quando hanno appreso che c'era stato il morto. Arrestato il negoziante".
Prosegue il quotidiano romano: Sono bastate 24 ore e l'incubo del killer sconosciuto è finito. Un pomeriggio e una nottata trascorse a interrogare persone e a fare perquisizioni. Il nome del teppista è venuto fuori: Giovanni Fiorillo, 18 anni, "ultrà" giallorosso forse fin dalla nascita. Un superfanatico che allo stadio ci va anche con la febbre addosso e mai senza niente. Domenica scorsa si è portato dietro addirittura un "cannone" col quale ha sparato il razzo omicida, mirando intenzionalmente tra la folla. Ora è scomparso dalla circolazione. L'altra sera, forse perché consapevole che prima o poi sarebbe stato identificato, non è tornato a casa. Ha solo telefonato al padre dicendogli: "Non sono stato io". La polizia lo sta cercando per tutta Roma e anche a Pescara, dove ha detto al padre che sarebbe andato. Intanto è stato arrestato un suo amico. Enrico Marcioni, anche lui diciottenne, studente e supertifoso giallorosso. Faceva parte della combriccola che ha coperto Fiorillo mentre sparava i tre razzi in direzione della curva nord nel tentativo di nasconderlo alla vista di eventuali testimoni. Ha confessato tutto tra le lacrime al capo della "mobile" Gabriele Ciccone che, insieme al commissario De Gennaro e al vice questore Marinelli, dirigente del II Distretto, ha diretto le indagini. In tasca gli è stata trovata una tessera con la scritta "Commando ultrà Roma" con tanto di fotografia. Enrico Marcioni è stata la chiave con cui gli investigatori hanno potuto fare piena luce sull'assassinio. A lui sono arrivati dopo un pomeriggio e un'intera nottata di interrogatori, perquisizioni, controlli senza un attimo di tregua. Le indagini sono scattate subito dopo la notizia del ferimento del meccanico laziale Vincenzo Paparelli, poco prima delle 14 di domenica. Quando, un quarto d'ora dopo, si è saputa la notizia della sua morte, sono state direttamente assunte dal capo della "mobile", Ciccone.
Mentre la partita fra Roma e Lazio era ancora in corso già i primi testimoni venivano ascoltati. In totale le persone interrogate sono state oltre cinquecento. Il primo punto di riferimento preso in considerazione è stato comunque quello del razzo. Il proietto recuperato dalla stessa moglie della vittima è stato subito esaminato con particolare attenzione. Le striature longitudinali e il suo diametro hanno fatto escludere che il razzo potesse essere stato lanciato da un comune pistola lanciarazzi. Piuttosto sono state queste stesse rigature a rendere evidente che lo sparatore per lanciare i tre ordigni a così notevole distanza si era servito di un tubo di lancio, una specie di mini-bazooka, forse costruito da se stesso in maniera artigianale. Una cosa, questa, che non poteva e difatti non è passata inosservata tra gli altri spettatori della curva sud, alcuni dei quali sono stati incuriositi dalla "novità". E proprio sfruttando anche questa curiosità le indagini hanno potuto fare un notevole passo avanti. Piano piano sono cominciati a venir fuori piccoli particolari. Il razzo è stato lanciato dal parterre della curva. Il ragazzo che aveva in mano il "tubo" è di capigliatura riccia, moro, di corporatura esile e piuttosto basso. Ha un orecchino all'orecchio sinistro. Portava un maglione vistoso a colori blu, rosso e bianco, pantaloni jeans e scarpe ginniche. Insieme a lui c'erano altri giovani che gli stavano intorno per coprirlo mentre sparava. E' soprannominato "lo tzigano". Nel corso di una notte il collage è stato completato. Quando gli agenti sono andati a casa di Giovanni Fiorillo hanno trovato il padre. L'uomo, all'oscuro di tutto, ha detto che il figlio era andato a vedere la partita con Enrico Marcioni e che poi aveva telefonato dicendo di andare a trovare la fidanzata a Pescara.
Enrico Marcioni di fronte alle pressanti contestazioni degli agenti, è scoppiato in un pianto dirotto e ha confessato tutto. Ha raccontato tutta la storia, cominciata sabato mattina, quando i due amici sono andati nel negozio di caccia e pesca di piazza dell'Emporio, a Testaccio, e hanno comperato quattro razzi, del tipo nautico per segnalazioni luminose. Costo: 15.000 lire l'uno. Romolo Piccionetti, 52 anni, gestore del negozio, è stato portato in questura per essere interrogato ed è stato arrestato. Il magistrato gli ha contestato di aver venduto congegni micidiali ed esplosivi senza la relativa licenza. L'uomo ha negato di averli mai venduti ai ragazzi. Gli inquirenti non escludono che i due giovani possano essersi serviti di un intermediario. I razzi sono stati portati a casa dal Marcioni che li ha tenuti fino a domenica mattina, quando i ragazzi si sono rivisti e sono andati allo stadio. Sono riusciti a entrare nascondendo gli ordigni sotto le giacche a vento e gli impermeabili. Una volta dentro si sono sistemati nel parterre della curva sud. Giovanni Fiorillo ha sistemato il proprio "aggeggio" appoggiandolo sul muretto che delimita il parterre. Come un cannone rivolto in direzione del nemico. Quando al centro della curva nord, quella solitamente occupata dai tifosi laziali, sono apparsi due striscioni con scritte provocatorie nei confronti della Roma e di Rocca ("Roma olocausto" e "Rocca bavoso, i morti non resuscitano") i ragazzi hanno deciso di sparare i razzi. Ne hanno lanciati tre a breve distanza di tempo l'uno dall'altro. Il primo, quello fatale per Vincenzo Paparelli, è caduto sette-otto metri sotto gli striscioni "incriminati". E che l'obiettivo da colpire fosse proprio quello è dimostrato dal fatto - confermato da numerosissime testimonianze - che nello stesso momento in cui nella curva nord si è vista la nuvola di fumo e il fuggi fuggi generale, il gruppetto ha esultato.
Gli altri due razzi, lanciati con traiettoria più alta, hanno addirittura superato tutta la curva nord e sono andati a smorzarsi nella campagna fuori lo stadio. Nessuno, tranne quelli che stavano alla "nord" si è subito reso conto di quello che era successo, ma quando, circa un'ora più tardi, è stata diffusa la notizia che Vincenzo Paparelli era morto, nei giovani è subentrata la paura. Il "tubo" è stato subito nascosto. Il quarto razzo, ancora inesploso, è stato accuratamente nascosto in un'intercapedine del parterre situata prima dell'uscita. Giovanni Fiorillo e Enrico Marcioni, insieme agli altri del gruppetto, sono usciti dallo stadio e si sono divisi. Ieri mattina, frattanto, all'Istituto di medicina legale il prof. Ronchetti ha cominciato l'autopsia del meccanico Vincenzo Paparelli. Secondo le prime risultanze il proiettile, dopo aver perforato l'occhio sinistro dell'uomo, ha sfondato la zona parietale, tranciando vasi sanguigni e ledendo irrimediabilmente il cervello. Il pubblico ministero Giacomo Paoloni, al quale è stata affidata l'inchiesta, ha già ordinato tre perizie tecniche a un gruppo di esperti. Le indagini saranno di natura medico-legale, chimica e balistica allo scopo di poter ricostruire con la massima sicurezza tutta la dinamica del fatto. Molti dubbi, nel corso della giornata, nascevano dal fatto che non si era riusciti a stabilire con certezza che tipo di ordigno avessero usato i ragazzi. Domenica si era parlato addirittura di razzi antigrandine (che peraltro non sono affatto usati nell'Italia centrale e quindi sono difficilmente reperibili), ma poi è sempre andata acquistando più credito l'ipotesi che si trattasse di razzi di tipo nautico, di quelli cioè usati per fare segnalazioni.
La conferma c'è stata solo in serata con la completa confessione di Enrico Marcioni, che ha permesso agli investigatori di recuperare anche il quarto razzo, quello abbandonato nel fossato dell'Olimpico. Che cosa rischiano ora i due ragazzi? Gli inquirenti ipotizzano, seppur con cautela, che si possa configurare nei confronti di Giovanni Fiorillo il reato di omicidio volontario. La traiettoria del proiettile, tesa e diretta inequivocabilmente contro le persone, non lascerebbe spazio a dubbi. Per Enrico Marcioni ci sarebbe invece il concorso in omicidio. Per tutti e due c'è poi l'accusa di detenzione di ordigni esplosivi.
► In un altro articolo, Il Messaggero racconta la figura di Giovanni Fiorillo:
Giovanni Fiorillo, 18 anni compiuti a maggio, operaio disoccupato, precedenti per furto, viene indicato come il killer dell'Olimpico. Numerose, precise, le testimonianze che si sono abbattute sulla sua testa. Le descrizioni fatte dai tifosi che domenica affollavano la curva sud, quella riservata ai tifosi della Roma, concordano pienamente. Il suo nome è stato fatto anche da Enrico Marcioni, uno studente diciottenne, amico del Fiorillo, arrestato per concorso in omicidio. Domenica hanno raggiunto insieme lo stadio. Quando Giovanni Fiorillo ha esploso i micidiali razzi contro la curva nord, quella occupata dai sostenitori della Lazio, Enrico Marcioni era al suo fianco. Da qui l'accusa di concorso morale in omicidio. Entrambi appartengono all'ala estremista della tifoseria giallorossa "Ultrà Roma", il club che raggruppa i più esagitati "fedelissimi" della squadra capitolina. I soci hanno tanto di tessera regolarmente timbrata "commando ultrà Roma". E' la stessa tessera che Enrico Marcioni ha mostrato al capo della squadra mobile dott. Gabriele Ciccone. Giovanni Fiorillo vive con i genitori in un appartamento di piazza Vittorio, un vecchio fabbricato che si affaccia proprio sul mercato. Ma da domenica non vi ha fatto più ritorno. Si è fatto vivo soltanto per telefono, alle 21.30 dell'altra sera, poche ore dopo la conclusione della tragica partita. "Non sono stato io", ha detto al padre. Ma la polizia non era ancora sulle sue tracce. Nessuno lo aveva accusato di aver ucciso Vincenzo Paparelli o di esserne in qualche modo coinvolto. Il padre tenta di giustificarlo: "Ha voluto rassicurarci sulla sua salute e soprattutto sulla sua estraneità al fatto".
Perché Giovanni non è tornato a casa? Dove si trova? Il padre risponde sicuro: "E' a Pescara, forse per lavoro oppure per passare qualche ora insieme alla fidanzata, una ragazza che ha conosciuto proprio allo stadio". Ma quando apprende che Enrico Marcioni, l'amico inseparabile del figlio, è stato arrestato per concorso in omicidio, l'uomo sbianca in volto. Accusa il colpo. "Sono stato io - dice - a portare la polizia a casa di Enrico. Ma non sospettavo neppure lontanamente che si arrivasse a questo. Comunque se a sparare è stato mio figlio, dovrà pagare". Nella camera da letto di Giovanni Fiorillo domina una grande bandiera giallorossa. Sulle pareti, numerose fotografie dello stadio Olimpico con le tribune e il campo avvolti dal fumo provocato dai lacrimoni e razzi. Scene di violenza. Giovanni è conosciuto in tutti gli ambienti della tifoseria della Roma con il nomignolo dello "tzigano", per la folta e riccioluta capigliatura. Quando la squadra giallorossa gioca all'Olimpico, Giovanni Fiorillo non manca mai all'appuntamento con i suoi compagni del "commando ultrà". Punto abituale di ritrovo la curva sud, nell'angolo che confina con la rete che protegge il tunnel del sottopassaggio che immette negli spogliatoi. Durante la settimana si arrangia come può, passando dal lavoro in un bar come cameriere o, più frequentemente, in un appartamento da imbiancare. Il padre, Giacomo, aiuta un commerciante di frutta al mercato di piazza Vittorio. Enrico Marcioni, l'arrestato, è il primo di tre figli di una coppia separata da cinque anni. Vive con la madre e i due fratelli in un modesto appartamento di via Buonarroti 30, a duecento metri di distanza dall'abitazione di Giovanni Fiorillo.
E' un allievo di un istituto per odontotecnici. Un viso da bambino. E' crollato dopo le prime contestazioni. E' entrato in questura poco dopo le tredici. Mezz'ora dopo un agente raccoglieva la sua deposizione. Un atto di accusa contro il suo compagno e piena ammissione delle proprie responsabilità. E' scoppiato a piangere quando gli agenti lo hanno invitato a firmare i tre fogli dattiloscritti della sua confessione. Più tardi ha guidato gli agenti nell'armeria dove insieme con il Fiorillo aveva acquistato i razzi usati domenica all'Olimpico. Un'azione premeditata dunque per ripetere quelle scene di violenza che campeggiano nella camera da letto di Giovanni Fiorillo? Ma domenica gli "ultrà" hanno alzato il tiro, puntando contro la curva "nemica". "E' stato uno striscione contro un giocatore della Roma - ha detto Marcioni agli agenti - a provocare la nostra reazione". E il "commando ultrà Roma" ha risposto uccidendo un operaio di 33 anni, padre di due figli.
► In un altro articolo il quotidiano romano chiarisce il tipo di ordigno che ha ucciso Vincenzo Paparelli:
Non è un razzo anti-grandine quello che, domenica pomeriggio, allo stadio Olimpico ha ucciso il tifoso laziale Vincenzo Paparelli. Giovanni Fiorillo, l'assassino, ha usato un razzo a paracadute, del tipo nautico, modello "Saturno" che si trova in commercio al prezzo di quindicimila lire. Li fabbrica una ditta di Bergamo. L'ordigno usato dal Fiorillo è formato da due parti: una superiore e una inferiore. Nella prima parte c'è la carica ed è quella che viene lanciata per il segnale. La parte inferiore, invece, è costituita da un tubo, ed è quella che rimane in mano a chi ne fa uso. Il razzo "Saturno" per le sue caratteristiche d'impiego lo si può paragonare a una bomba a mano. Infatti, prima del lancio si svita una specie di sicura che si trova nella parte inferiore, quindi si stacca una specie di anellino o linguetta e si conta sino a tre, tenendo il razzo rivolto verso il cielo o la zona verso cui lo si vuole indirizzare. Trascorsi i tre secondi la parte superiore vola verso l'alto, senza però lasciare alcun segno. Solo in fase di caduta il razzo, dopo un'esplosione, emette il segnale, cadendo lentamente per essere il più a lungo visibile. Questo grazie al paracadute. Nel caso dell'Olimpico il razzo non ha mandato alcun segnale perché non aveva effettuato la fase di caduta. C'è stata l'esplosione che è avvenuta quando la moglie del Paparelli lo ha strappato dalla tempia del marito. Il razzo "Saturno" si trova in commercio in una qualsiasi armeria e può essere acquistato da chiunque. Per entrarne in possesso non occorre alcuna autorizzazione. I natanti da diporto lo usano in fase di avaria o di difficoltà. Il "Saturno", comunque, non è l'unico razzo usato in mare. La maggior parte degli appassionati di nautica preferiscono servirsi di altri due tipi di segnalatori. Sono quelli a luce rossa a mano, che si consumano senza essere lanciati e quelli, sempre a mano, a stella.
► Da La Stampa del 30 ottobre 1979:
Un senso di profondo sbigottimento si è diffuso fra le tifoserie organizzate di Roma e Lazio in seguito al tragico episodio accaduto domenica allo stadio Olimpico. Abbiamo ascoltato Aldo Sbaffo, presidente del centro coordinamento dei club giallorossi e Gino Camiglieri, presidente dei club biancoazzurri, per tentare di mettere maggiormente a fuoco la triste vicenda, con persone che vivono a stretto contatto con i tifosi. I due hanno concordato su un aspetto inquietante del tifo all'Olimpico, affermano con sicurezza, attraverso dati in loro possesso, che da tempo, fra gli appassionati del calcio capitolino, si è insinuato un tipo di violenza di colorazione politica. Le due organizzazioni contano migliaia di iscritti (la Roma 130 club con 30 mila associati, la Lazio 75 club con 7500 associati). Ma come mai l'autore del delitto, nonostante la stretta opera di sorveglianza degli incaricati dei club, ha potuto agire senza che nessuno si accorgesse del suo gesto criminoso? "Noi controlliamo gran parte della curva Sud, che è la più calda — ha dichiarato Sbaffo —, ma non possiamo arrivare in ogni angolo del settore. Stiamo tuttavia collaborando con le autorità e penso che si sia già ottenuto qualche risultato concreto". Infatti, pare che si sia giunti all'identificazione del presunto responsabile, Giovanni Fiorillo, e dell'amico che lo avrebbe spalleggiato, Enrico Marcioni, attraverso testimonianze di associati alla organizzazione romanista. "Posso assicurare — ha aggiunto Sbaffo — che i due non sono iscritti in alcuno dei nostri club". Sbaffo ha tenuto anche a chiarire che certe scritte sugli striscioni, spesso offensive o macabre, non appartengono all'associazione di tifosi giallorossi.
"Abbiamo tuttavia istituito un dialogo — ha aggiunto — con le frange estremiste, che invitiamo a comportarsi in maniera civile. Li conosciamo. Lo sparatore non è uno di loro". Non avete pensato di farvi promotori per una sospensione della partita? "A caldo eravamo propensi a suggerire di non far disputare l'incontro, ma ragionando con più calma pensiamo che sia stato meglio così. Si sarebbe corso il pericolo di far entrare in contatto, prima che gli animi si stemperassero, le due fazioni, con tutti i gravissimi rischi che ne sarebbero scaturiti. Siamo tutti vicini alla famiglia dello scomparso". Sull'argomento degli striscioni provocatori (domenica uno di questi, che conteneva una scritta offensiva contro Rocca, ha fatto esplodere l'assurda violenza), è intervenuto pure il presidente dei club biancoazzurri, Camiglieri, declinando ogni responsabilità dell'organizzazione. "Noi esponiamo 75 striscioni — ha detto Camiglieri — di cui assumiamo piena responsabilità. Tutti gli altri non hanno niente in comune con i tifosi organizzati". Secondo lei quale potrebbe essere stata la molla che ha spinto il criminale a sparare? "Innanzi tutto dico che non si tratta di uno sportivo, ma di un individuo uscito da casa con uno strumento da usare per provocare qualcosa di grave". Camiglieri ha avuto espressioni durissime nei confronti delle persone che avevano l'autorità per non far disputare la gara.
"Hanno prevalso gli interessi del Totocalcio, delle società, di fronte ai quali la vita umana non vale nulla. Davanti al morto è continuato lo spettacolo come se nulla fosse accaduto. In qualsiasi manifestazione di altre discipline sportive, ci si sarebbe comportati diversamente". Sull'esistenza dei club dei tifosi, è intervenuto ieri Santarini, il capitano della Roma, il quale ha affermato che questi sono utili per togliere, ad esempio, un ragazzo dalla strada, per offrirgli la possibilità di stare insieme con la gente. "Ma se in queste organizzazioni — ha concluso il giocatore — riescono ad introdursi individui che mettono in pericolo la vita del calcio, io penso che sia opportuno procedere al loro scioglimento"
Agli stadi come in aeroporto. Uomini politici, organi d'opinione, personaggi rappresentativi dello sport sono intervenuti sul luttuoso episodio di Roma, esprimendo una corale esecrazione ed un deciso "no" alla violenza. Valerio Volpini, direttore de "L'Osservatore Romano", definisce la tragedia non accidentale "perché deriva dal diffondersi di quel sonno della ragione che produce mostruosità tanto più gravi quanto più sono futili le cause che le rendono possibili". Nelle reazioni degli uomini politici l'aspetto più significativo sta nelle dichiarazioni del ministro del Turismo e Spettacolo D'Arezzo, che si possono sintetizzare in due punti: 1) la partita Roma-Lazio andava sospesa; 2) se la violenza è un fatto strumentale e politico, sarebbero necessarie per entrare negli stadi le stesse misure di sicurezza che sono in vigore negli aeroporti. L'on. Mammì, capogruppo repubblicano e presidente della Commissione Interni della Camera, sottolinea il dovere della denuncia del responsabile senza inammissibili omertà e chiede che, attraverso severe squalifiche dei campi, gli stessi tifosi siano indotti ad isolare i teppisti. Sono intervenuti sull'argomento, con dichiarazioni più o meno analoghe, anche il presidente della Provincia di Roma Lamberto Mancini, il sindaco della Capitale Petroselli ed il deputato democristiano Pennacchini. "Il gioco del calcio è una bella cosa — dice il presidente della Lega professionisti, Renzo Righetti — e quindi cerchiamo di mantenerla tale". Righetti suggerisce che siano gli stessi spettatori a denunciare gli autori di gesta criminose negli stadi. Su questa linea sono anche il presidente del Coni Franco Carraro ("L'Italia ha nel campionato di calcio un patrimonio che va salvaguardato") e quasi tutti i presidenti delle società.
► Da La Stampa del 31 ottobre 1979:
Conclusa la prima fase delle indagini riguardanti l'omicidio dell'Olimpico che ha portato all'incriminazione dei presunti responsabili, il sostituto procuratore della Repubblica dottor Paoloni, il quale prima di emettere i tre ordini di cattura aveva ricevuto un secondo e più dettagliato rapporto d'indagine dalla Squadra Mobile, si sta occupando degli aspetti collaterali della tragica vicenda. Il magistrato deve stabilire tra l'altro se si debba procedere d'ufficio contro i componenti di gruppi di tifosi violenti, i quali nel pomeriggio di domenica scorsa allo Stadio Olimpico avevano innalzato cartelli e striscioni con i quali si provocava e si incitava alla violenza. Il magistrato, inoltre, svolgerà accertamenti per stabilire se da parte dei servizi d'ordine e di vigilanza agli ingressi dello stadio sia stata commessa qualche omissione che abbia facilitato il passaggio di strumenti o ordigni atti a offendere. Il procuratore capo della Repubblica di Roma, prima che il sostituto procuratore dottor Paoloni firmasse i tre ordini di cattura nei confronti di Fiorillo, Angelini e Marcioni per omicidio volontario in concorso tra loro, aveva affermato a proposito del reato da contestare ai tre ragazzi "tutte le ipotesi di reato sono possibili, ma quella che per il momento viene tenuta presente è quella di omicidio volontario, considerando che il presunto responsabile dell'omicidio era al corrente del potere lesivo dell'ordigno e considerando che volontariamente tale ordigno è stato adoperato. C'è stata la coscienza — ha concluso De Matteo — di adoperare un meccanismo micidiale".
Oggi intanto, si svolgerà al ministero degli Interni, convocato dal ministro Rognoni, un vertice per esaminare la situazione e l'entità del fenomeno violenza negli stadi e studiare eventuali misure da adottare. Vi parteciperanno i presidenti del Coni e delle Federazioni sportive, rappresentanti dei ministeri interessati, il comandante dei carabinieri e il capo della polizia. Ieri, infine, è stata eseguita l'autopsia di Vincenzo Paparelli. Nella cavità cerebrale della vittima è stata trovata dal perito settore della carica espulsa dal razzo sparato da Giovanni Fiorillo, nonché lembi di un paracadute delle dimensioni di centimetri 25x25. E' stato altresì recuperato materiale bruciacchiato e sono stati trovati residui di plastica. Tutti questi elementi — hanno osservato gli investigatori della Squadra mobile — confermano che l'ordigno che ha colpito Paparelli era un razzo a paracadute per segnalazioni nautiche simile a quelli sequestrati all'armiere Romolo Piccionetti, arrestato l'altra sera e accusato soltanto della vendita abusiva dei razzi.
La Questura di Pescara, impegnata da domenica sera nelle indagini sul delitto Paparelli, continua a cercare il diciottenne Giovanni Fiorillo, che secondo voci si sarebbe diretto nella città abruzzese per visitare una ragazza. Alla polizia non è stata fornita, tuttavia, alcuna indicazione circa l'identità della ragazza, che in passato sarebbe stata fidanzata del ricercato. Le indagini si sono orientate in due direzioni: gli ambienti extraparlamentari di sinistra e l'ambiente del romanisti, che sono un centinaio in città. Si è appreso che una comitiva di accesi tifosi della Roma si è recata all'Olimpico domenica, per assistere a Roma-Lazio, e che alcuni portavano degli striscioni con scritte. I tifosi sono stati visti alla stazione ferroviaria di Pescara. Le ricerche, comunque, non hanno dato finora alcun esito positivo.
► Da La Stampa del 26 gennaio 1981:
Si è costituito ieri mattina il giovane tifoso della Roma che nell'ottobre del '79 provocò, con un razzo, la morte di un altro spettatore poco prima dell'inizio del derby Roma-Lazio. Giovanni Fiorillo, 19 anni, si è consegnato nelle mani degli agenti della squadra mobile accompagnato dai genitori, Giacomo e Candida Capriotti, e da tre legali, gli avvocati Arcangeli, Vitale e Traldi. Davanti ai funzionari, che lo hanno interrogato per diverse ore, il giovane ha ricostruito la storia della sua latitanza. Per quattordici mesi, ha raccontato, è stato costretto a vivere di espedienti accettando vari ed umili mestieri, costretto continuamente a nascondere la propria identità. Per questo motivo, conversando successivamente con alcuni cronisti, Fiorillo ha anche inviato le sue scuse ai datori di lavoro che inconsapevolmente lo aiutarono durante i mesi della lunga latitanza. All'identificazione di quello che le cronache dell'epoca definirono il "killer dell'Olimpico", si giunse in brevissimo tempo grazie alla testimonianza di alcuni spettatori. Tutto accadde pochi minuti prima dell'inizio della partita. Con l'aiuto di due compagni, Fiorillo sparò uno dei quattro razzi antigrandine che aveva portato con sé allo stadio. Ma quello che voleva essere un pur discutibile atto di tifoseria verso la propria squadra si risolse in un'irreparabile tragedia. Il razzo, micidiale e di dimensioni notevoli, si diresse verso la curva opposta, tradizionalmente occupata dai tifosi laziali, e colpi in pieno un giovane meccanico, Vincenzo Paparelli, di 38 anni, che quel giorno era andato allo stadio con la moglie.
Fu la stessa donna a soccorrere per prima il marito ma ormai non c'era più nulla da fare: il razzo lo aveva colpito in un occhio e nello scoppio gli aveva devastato il volto. L'arbitro D'Elia fu subito avvertito e — secondo quanto dichiarò in seguito — decise di far iniziare lo stesso l'incontro per evitare ulteriori incidenti. Ignari e all'oscuro di tutto vennero invece tenuti i calciatori: solo alla fine dell'incontro qualcuno disse loro che un tifoso della Lazio era rimasto ucciso. La gara era terminata pari. Nei giorni seguenti l'incidente dell'Olimpico scatenò molte polemiche e ripropose in termini tragici il problema della violenza negli stadi. Sull'argomento vi fu anche una severa presa di posizione da parte delle autorità politiche: dal ministro dell'Interno, Rognoni, a quello del turismo, D'Arezzo: dell'episodio parlarono anche Evangelisti, Valitutti ed il sindaco di Roma, Petroselli. Le indagini portarono ai primi accertamenti. Pochi giorni dopo venne arrestato uno studente di 18 anni, Enrico Marcioni, con l'accusa di "concorso in omicidio". Con lui finì in carcere anche l'armiere che fornì i micidiali razzi. Dalle loro testimonianze la polizia risalì all'identificazione di Fiorillo, ma quando gli agenti si recarono nella sua abitazione di piazza Vittorio per arrestarlo, si accorsero che aveva fatto perdere le proprie tracce. Su di lui, in Questura, c'era però un fascicolo abbastanza consistente: nel settembre '75 fu arrestato per furto aggravato, nell'ottobre '76 fini in galera per scippo, nel maggio del '79 fu fermato nei pressi di Milano mentre si trovava in compagnia di alcuni extraparlamentari di sinistra. Ora Giovanni Fiorillo dovrà rispondere dinanzi ai giudici di omicidio preterintenzionale.
► Da La Repubblica del 29 ottobre 2001:
Il derby più bello. Quello che tutti hanno sempre sognato. Ebbene, ieri mattina, esattamente alle 10,30 allo stadio Olimpico, tutto questo è diventato realtà. Laziali e romanisti insieme per unico scopo: onorare la memoria e portare dentro con sé il ricordo di Vincenzo Paparelli. Ventidue anni dopo la sua scomparsa è stata affissa una targa in curva Nord, lo stesso settore dove avvenne la tragedia del 28 ottobre 1979: "A Vincenzo Paparelli, al tuo fianco nel passato, nel presente per non dimenticare. La città di Roma alla famiglia e al popolo biancoceleste", questo il messaggio dedicato al povero tifoso ucciso da un razzo sparato dalla Sud. Erano quasi tremila le persone presenti. Molti che all'epoca erano ragazzi e oggi sono diventati papà. E accanto a molti di loro proprio i bambini, a chiedere insistentemente cosa sia successo in quel pomeriggio di ventidue anni fa. Sono tutti in religioso silenzio prima di scoprire la targa, per poi applaudire e commuoversi quando il delegato allo sport del Comune di Roma Gianni Rivera insieme alla famiglia Paparelli solleva il velo bianco.
Qualcuno dice di non dimenticare mai, qualcun altro legge una lettera dedicata a Vincenzo Paparelli. Sopra la targa c'è uno striscione che dice: "Nel momento in cui prevalgono rispetto e coscienza". Ma è stata anche l'occasione per manifestare il dissenso da parte dei tifosi per quello che è avvenuto la sera prima allo stadio. C'è un altro striscione ed è dedicato alle forze dell'ordine: "La vostra unica arma è la violenza". Rivera prova a dire qualcosa in merito, ma viene fischiato. Il delegato allo sport del Comune, comunque, si è detto favorevole a ricevere gli ultrà per sentire le loro ragioni. Per questo, inoltre, verrà chiesta un interrogazione parlamentare. In più i tifosi biancocelesti in un comunicato chiedono alla società di "schierarsi fortemente al fianco della verità e del suo popolo, aiutandoci nella denuncia per efferatezze mai viste prima, se non al G8 di Genova".
► Stagione | ► La gara Roma-Lazio 1-1 del 28/10/1979 | ► Torna ad inizio pagina |