La scomparsa di Sven Goran Eriksson
► La scheda di Sven Goran Eriksson
► I trofei vinti con il tecnico svedese
In data 26 agosto 2024, intorno le 13.00 circa, si diffonde la notizia della scomparsa dell'ex tecnico biancoceleste Sven Goran Eriksson dopo una malattia. Ripercorriamo per i nostri lettori, attraverso gli articoli tratti da vari organi di stampa, le varie fasi della vicenda.
L'annuncio della malattia: 11 gennaio 2024[modifica | modifica sorgente]
Da Ansa.it:
"Ho una malattia grave. Mi resta da vivere nel migliore dei casi un anno, nel peggiore molto meno. Impossibile dirlo con esattezza, quindi è meglio non pensarci". Che Sven Goran Eriksson lottasse con problemi di salute era noto ed ora la reale gravità del proprio stato l'ex allenatore svedese, 75 anni, l'ha svelata a gennaio 2024 in una intervista all'emittente Radio P1, scioccando il mondo del calcio, dalla Svezia all'Italia. "Resisterò per tutto il tempo che posso". Ha aggiunto di affrontare la realtà cercando di rimanere positivo e di "trarre qualcosa di buono" dalla diagnosi che non gli lascia scampo. "Si tenta di ingannare il cervello. Altrimenti è troppo facile soccombere, diventare negativi e rimanere bloccati in casa. Meglio cercare di vedere gli aspetti positivi e non arrendersi nei momenti difficili". "Non sono in ospedale, conduco una vita normale. Ogni tanto vado a fare una visita. Natale e Capodanno, tutta la mia famiglia era qui - ha raccontato - Quando ricevi un messaggio del genere, apprezzi ogni giorno e sei felice quando ti svegli la mattina e ti senti bene, quindi è quello che sto facendo".
Da Quotidiano Sportivo.it:
Cancro allo stadio terminale. La diagnosi fatta a Sven-Göran Eriksson, l’ex allenatore svedese che portò la Lazio allo Scudetto – è una sentenza. “So che nel migliore dei casi ho circa un anno – ha confessato il tecnico, 75 anni, alla radio svedese P1 – nel peggiore dei casi anche meno. O nel migliore dei casi suppongo anche di più. Non credo che i medici che ho a disposizione possano essere del tutto sicuri, non possono mettere un giorno”. Si sapeva che Eriksson non stava bene: 11 mesi fa si era dimesso dal suo ultimo incarico di direttore sportivo della società di calcio svedese Karlstad a causa di non meglio precisati problemi di salute. Oggi Eriksson chiama per nome il suo male. O per lo meno ne definisce l’entità. "Tutti vedono che ho una malattia che non fa bene, e tutti suppongono che sia un cancro, e lo è”, ha ammesso. Ai microfoni della radio svedese Eriksson ha raccontato il momento in cui ha scoperto di essere malato. "Ero completamente sano, poi un giorno sono svenuto e sono finito in ospedale – narra – . Dopo un consulto medico ho scoperto di avere avuto un ictus e che avevo già un tumore. Non so da quanto tempo, forse un mese, forse un anno. Avevo il cancro ma il giorno prima avevo corso cinque chilometri”. La malattia poi è progredita ma per quanto sia senza appello la parola "terminale", Sven non ha intenzione di sedersi e attendere la fine. “È meglio non pensarci – dice -. Devi ingannare il tuo cervello. Potrei andare in giro a pensarci tutto il tempo e sedermi a casa ed essere infelice e pensare di essere sfortunato e così via. È facile finire in quella posizione. Ma no, guardo i lati positivi delle cose e non bisogna farsi seppellire dai problemi, perché questo è ovviamente lo battuta d'arresto più grande di tutti".
Dal Corriere dello Sport del 12 gennaio 2024:
Eriksson: ho un cancro. Sven shock: "Mi resta un anno di vita". "Sono crollato all’improvviso mentre correvo. Dopo un consulto medico, ho scoperto che ero stato colpito da un ictus e che avevo già un tumore". Messaggio terribile del tecnico svedese che ha quasi 76 anni e ha vinto sette trofei alla guida della Lazio: "La mia malattia è in fase terminale".
Trafitti dall’incomprensione del dolore che incombe inesorabilmente sui alcuni dei suoi miti, il mondo laziale è precipitato di nuovo nello strazio leggendo la confessione atroce fatta da Sven Goran Eriksson, ha svelato il destino che lo colpirà: "Tutti vedono che ho una malattia che non fa bene e tutti suppongono che sia un cancro e lo è. Ma devo combatterla il più a lungo possibile. So che nel migliore dei casi ho circa un anno, nel peggiore dei casi anche meno. O nel migliore dei casi suppongo anche di più". L’atrocità delle parole concesse da Sven alla radio svedese P1 è sconvolgente: "Non credo che i medici che ho a disposizione possano essere del tutto sicuri, non possono mettere un giorno. È meglio non pensarci. Devi ingannare il tuo cervello. Potrei andare in giro a pensarci tutto il tempo e sedermi a casa ed essere infelice e pensare di essere sfortunato e così via...". Eriksson ha avuto la forza di raccontare la sua tragedia, il suo lento spegnimento a quasi 76 anni, li compirà il 5 febbraio: "Ero completamente sano, poi sono crollato, sono svenuto e sono finito in ospedale. Dopo un consulto medico ho scoperto di avere avuto un ictus e che avevo già un tumore. Non so da quanto tempo, forse un mese, forse un anno. Si è scoperto che avevo il cancro ma il giorno prima avevo corso cinque chilometri. È venuto dal nulla. E questo ti rende scioccato. Non sento grandi dolori. Mi è stata diagnosticata una malattia che puoi rallentare ma che non puoi operare. Quindi è quello che è". Sven, ripiegato sulla malattia, ha dato un’immagine di forza: "Guardo i lati positivi delle cose e non bisogna farsi seppellire dai problemi, perché questa è ovviamente la battuta d’arresto più grande di tutte".
LO SHOCK. Tanta profonda tristezza. Il pensiero di tutti i laziali e del mondo del calcio contempla il riflesso di Sven e della sua vita al tramonto. Un vuoto si è aperto nel cuore. Eriksson, signor scudetto, signore della Lazio dei trionfi, è consegnato alla fissità della storia biancoceleste, alla leggenda del calcio. Sven e la Lazio avevano interrotto il monopolio delle big del Nord e avevano sfidato e impaurito le big europee. Il pensiero è corso subito a ripescare le foto dei suoi campioni laziali, elegantemente arroganti nella loro gioventù dorata del tempo andato. E’ corso subito a pensare alla sua fenomenale energia, al suo slancio vitale, alla sua carriera di globetrotter della panchina, iniziata a fine anni Settanta, vissuta per oltre 40 anni. Nel febbraio 2023 si era dimesso da direttore sportivo del club svedese Karlstad per problemi di salute.
LE REAZIONI. La Lazio, in pieno post-derby, si è ritrovata colta da malinconia: "Mister, siamo al tuo fianco", il messaggio completato dal video che ha immortalato Sven all’Olimpico a marzo 2023, in occasione del derby vinto dai biancocelesti. Le foto lo ritraggono davanti ai suoi trofei e il popolo laziale lo osannò. Tutti sperano che non sia stata l’ultima volta. Una foto simbolo commovente è stata scelta da Arianna Mihajlovic, moglie di Sinisa, su Instagram: ha postato l’immagine che ritrae Miha con Sven alla Lazio. Eriksson, alla morte di Sinisa, pianse: "Sarà impossibile dimenticarlo, è uno dei giorni più tristi della mia vita perché Sinisa non meritava questo destino". Il destino, un’anomalia nella storia laziale. Anche Fernando Couto, Juan Sebastian Veron e Giuseppe Pancaro sono stati tra i primi a inviare un abbraccio al loro ex allenatore: "Forza Mister! Un grande abbraccio". Sergio Conceiçao, pubblicando una foto in cui è insieme a Dejan Stankovic e Fernando Couto, ha scritto "un'altra battaglia per chi ne ha già vinte tante! Un enorme abbraccio al mister". Sergio è uno dei giocatori che hanno seguito le orme di Sven, li ha allenati e allevati da tecnici, è una generazione. Ecco la vicinanza della Sampdoria, un altro dei club a cui è rimasto legato: "Siamo con te Sven". La leggenda Gerrard ha ricordato l’esperienza di Eriksson da cittì dell’Inghilterra (dal 2001 al 2006), fu per la nazionale inglese che si dimise dalla Lazio nel gennaio 2001 (dopo Lazio-Napoli 1-2): "Sii forte capo". Sono sembrate tutte lettere a un padre, a un uomo che ha sempre scelto la vita da vivere e che ora ha accettato di subire la fine.
Da Il Messaggero del 12 gennaio 2024:
Eriksson choc: "Mi resta un anno". L’ex allenatore di Roma e Lazio: "Ho un tumore avanzato, vivrò poco. Sentenza durissima, ma combatto. Sto in famiglia e non mi lascio andare".
L’ha scoperto per caso e lo ha annunciato per scelta. "Ho un cancro, mi resta un anno di vita se mi va bene, anche meno se mi va male". Sven Goran Eriksson è sempre stato un uomo sereno e inattaccabiledal punto di vista emotivo: una malattia devastante, un tumore alla pancreas, sta provando ad abbatterlo ma lui, come ci ha confessato Roberto Mancini, continua a vivere con il sorriso che illumina un volto consumato dalla vita e dai pensieri. Mai un cedimento, nemmeno adesso che poterebbe salutarci per sempre. "Se non tieni acceso il cervello in momenti come questi, ti lasci andare, pensi in negativo, ti chiudi in casa e aspetti". In modo irrispettoso e irriverente, lo avevano soprannominato il "perdente di successo" perché con il Benfica non aveva vinto la Coppa dei Campioni in finale contro il Milan (1990) e con la Roma, guidata dal 1984 al 1987 da dt con Dino Viola presidente, aveva lasciato alla Juve nell’aprile del 1986 uno scudetto già vinto, e con la Lazio, prima del trionfo del Duemila, aveva consegnato ai rossoneri un campionato dominato dall’inizio alla fine. Eppure in nessuna di quelle occasioni era mai uscito di testa. Non conosceva e non conosce il livore e nemmeno il rancore, solo l’amore (per le donne) e la passione (per il calcio, il lavoro, la vita).
"VINCEREMO LA PROSSIMA". "Andiamo avanti, vinceremo la prossima, inutile mettersi a piangere, sono stati più forti loro ma noi siamo pronti a ripartire". Ce lo sussurrò proprio Sven nel tunnel del Parco dei Principi di Parigi, lo stadio dove la Lazio perse nella primavera del 1998 la finale di Coppa Uefa contro l’Inter di Ronaldo. Uno dei tanti insuccessi che lo hanno reso grande, perché Eriksson ha vinto, eccome. La stessa Coppa Uefa nel 1982 con il Göteborg, che non era certo un colosso del calcio europeo. Giocava un calcio ossessivo, soprattutto come Sacchi ma quasi. "È sempre stato un amico e un buon consigliere per i giocatori" raccontava Mancini, la sua spalla per quasi otto anni, prima alla Samp e poi nella Lazio. Arrivò nel 1992 dopo un solo colloquio con Sergio Cragnotti, ferito dal no di Fabio Capello, e una richiesta - quella sì - diventata un’ossessione: Mancini, Mihajlovic e Veron per vincere tutto. Roberto arrivò subito, Sinisa e l’argentino l’anno dopo. Non aveva tutti i torti: uno scudetto storico, nell’anno numero cento del club, e sei trofei, tra cui l’ultima Coppa delle Coppe e la Supercoppa Europea contro il Manchester United di Ferguson. "Il mio rimpianto? La Champions League. La Lazio era fortissima ma quello è un torneo che si decide sui dettagli. I nostri furono sempre sfavorevoli". Eriksson ha scoperto la malattia dopo una corsa di cinque chilometri, un collasso e un esame approfondito. "Un cancro di un mese o di un anno, non si è ancora capito, e un ictus datato: la sentenza è stata durissima, ho detto a tutti che non stavo bene e ho iniziato la mia battaglia. Quanto durerà non lo so: faccio una vita normale, in famiglia, dove ho passato il Natale e il Capodanno" ha raccontato a Radio P1 in Svezia cogliendo di sorpresa il mondo del calcio già affossato dalle perdite - tra gli altri - di Vialli e Mihajlovic, ancora due simboli della Samp anche se di epoche diverse.
ALL’OLIMPICO PER IL DERBY. A Roma, nello stadio dello scudetto, si era ripresentato il 19 marzo dell’anno scorso, anche quella notte 1-0 per la Lazio nel derby e gol decisivo di Zaccagni. Un curioso gioco del destino: sotto la Nord si era commosso davanti a un popolo che lo considerava e lo considera ancora oggi un vincente di successo. Il suo sorriso e la sua serenità ricordavano Tommaso Maestrelli, l’altro uomo scudetto biancoceleste. Eriksson se ne andò da Roma per diventare il primo ct straniero della nazionale inglese. "Un’occasione troppo affascinante per non coglierla". Cinque anni coi Lions fino al Mondiale 2006, poi City, il Leicester e il giro del mondo tra Messico, Costa d’Avorio, Cina, Dubai e le Filippine. Dove c’era un’avventura, lui si buttava, come nell’amore. Oggi Sven ha 75 anni e non vuole mollare: ha lasciato l’incarico di ds del Karlstad per combattere la malattia con il sorriso e la voglia di vivere. Già, l’amore, ne vogliamo parlare? Popolare la storia con Nancy Dell’Olio, avvocato romano, diventata celebre in Inghilterra come una pop star per il ruolo di first lady del ct. Travolgenti quelle con Ulrika Jonsson, presentatrice della tv svedese, e la modella panamense Yaniseth Alcides, l’ultima a conquistare il suo cuore. "Mi innamoro facilmente perché mi piace la vita" confessò ai tabloid britannici. Una filosofia con cui oggi combatte il cancro: forza Sven.
In un altro articolo, sempre tratto dal quotidiano romano, un'intervista a Roberto Mancini:
"L’ho sentito, lotta da leone. Sven è un uomo incredibile: è stato lui a confortare me".
Un amore nato nell’estate del 1992 e mai finito. Un amore diverso da quello che lo legava a Vialli ma comunque indissolubile. Sven Goran Eriksson fu definito da Roberto Mancini un grande fratello quando insieme avevano iniziato la ricostruzione della Samp post Wembley (sconfitta in finale di Coppa dei Campioni contro il Barcellona e abbandonata da Boskov) e quando poi si sono trasferiti in coppia a Roma per fare grande la Lazio di Cragnotti. Lo svedese, nel primo incontro-trattativa, disse all’imprenditore di via dei Cappuccini che se gli avesse comprato Mancini, Mihajlovic e Veron la squadra biancoceleste avrebbe vinto tutto. In realtà non vinse tutto ma quasi. E alla fine sono rimasti otto anni l’uno al fianco dell’altro. "E’ stato davvero uno dei più grandi allenatori di sempre, unico nel suo genere. Magari non sempre apprezzato all’esterno ma amatissimo da chi lo ha avuto e da chi lo ha frequentato".
Sono le 14 del pomeriggio di giovedì 11 gennaio, la Lazio ha vinto nella notte il derby di Coppa Italia e Roberto Mancini ha appena sentito Eriksson al telefono. Da Riad a Stoccolma per un amore eterno. "Volete sapere come l’ho trovato? Benissimo, come sempre, perché lui è una persona incredibile".
Ci racconti, per favore: Sven ha un anno di vita e sorride lo stesso? "Assolutamente sì, mi ha fatto una grande impressione e sono convinto che con questo spirito lotterà contro il male come hanno fatto Vialli e Mihajlovic". Chi ha confortato l’altro? "Lui me, di sicuro. È un uomo forte, incredibile. Sembrava una telefonata tra due amici che non si sentivano da tempo, come se quella malattia non ci fosse proprio".
E, invece, c’è. "Ma non si vede: nel senso che il carattere di Eriksson è sempre il solito. Affronta le battaglie professionali e di vita con lo stesso spirito. La morte non gli fa paura, la combatte".
L’ultima volta che vi eravate sentiti? "Qualche mese fa, quando sono venuto a conoscenza della sua malattia. Un brutto tumore, ma non pensavamo ad una confessione del genere. Appena ho letto, l’ho subito cercato. In un primo momento non mi ha risposto, poi mi ha richiamato lui".
Vi siete commossi al telefono? Avete parlato anche di Sinisa e Gianluca? "No, non erano gli argomenti giusti. Gli ho chiesto come sta e come si sente. Sapete che non parla più molto l’italiano? L’ha un po’ perso dopo tanti anni, ci siamo confrontati in spagnolo e in inglese. L’ho sentito con uno spirito positivo".
Lo stesso con cui si sosteneva nei momenti bui: affrontò il futuro con allegria anche dopo gli scudetti persi con la Roma e con la Lazio. "Mai una polemica, mai una caduta di stile, mai un intervento fuori dalle righe. Non so dove riesca a trovare questa forza, sta lottando come un leone anche se mi ha confermato che la sua vita ha già un limite segnato. Parla di un anno, forse anche meno, ma io ci spero e ci credo".
Una telefonata che avrà commosso anche un freddo come Sven. "Abbiamo chiacchierato e scherzato, io urlo forza Eriksson come ho fatto al telefono. Non deve mollare e non mollerà. Gli stiamo accanto, ora sa che tutti i suoi ex giocatori sono pronti a sostenerlo in questa fase così difficile della sua vita. Chi non potrebbe essere riconoscente di fronte a una persona come Sven? Lo ripeto pubblicamente, tramite voi: coraggio mister, non puoi perdere questa partita".
Domenica 26 maggio 2024: Eriksson all'Olimpico[modifica | modifica sorgente]
Da Il Messaggero del 27 maggio 2024:
In piedi per Eriksson. Tributo da brividi del popolo laziale al tecnico malato. "Siete grandi, non ho mai allenato una squadra così forte".
Pensavamo che le lacrime fossero finite il 12 maggio, quando allo stadio Olimpico era riapparso il ricordo di Tommaso Maestrelli e dei suoi indimenticabili eroi. Si celebravano i cinquant’anni del primo scudetto, quella festa aveva riempito il cuore dei tifosi che stanotte sono tornati per salutare Eriksson, l’uomo che ha vinto il secondo. Sembra che ci sia un filo che lega questi uomini unici, saggi, competenti, onesti e così pieni di sensibilità che vengono amati per l’eternità. Sven è molto malato ma scende le scale da solo, entra sul prato, stringe la mano ai ragazzini e con un sorriso chiede il microfono. "Grazie mille a tutti, è bellissimo vedere tanta gente per me. Siete grandi, ho ricordi incredibili, non ho mai allenato una squadra così forte e non ho mai vinto così tanto come alla Lazio". Lo stadio canta per Eriksson, in cinquantamila tutti in piedi per dirgli che nessun altro sarà mai come lui. Un’immagine di Sven riempie la curva Maestrelli, gli striscioni della Tevere raccontano tre anni irripetibili, la Nord s’inchina e all’improvviso si trasforma nella maglia dello scudetto con il suo nome. Brividi, pianti e abbracci: Eriksson non versa una lacrima, è un uomo forte e positivo, siamo sicuri che il cancro che lo sta consumando ha trovato un nemico più forte di lui, tanto che rifiuta il giro con la macchina a cielo aperto e inizia a piedi il tour di uno stadio che è diventato una valle di lacrime.
Non le sue, anzi: è stato Sven a farci forza quando lo abbiamo abbracciato ricordando i tempi dei grandi successi dell’era-Cragnotti. E’ il 26 maggio, un’altra data storica per la Lazio, quella della Coppa Italia vinta contro la Roma con un gol di Lulic. Il destino ha voluto che Eriksson tornasse proprio oggi, quando sembra che anche l’aquila gli renda onore calando sul campo mentre lui lo attraversa. "Sono un uomo felice, non pensavo di essere così tanto amato". Ci fa grande tenerezza vedere quest’uomo passeggiare dove ha celebrato i suoi più grandi successi. Una sorta di pieno al serbatoio della vita, con cui andare avanti, lottare e sperare che il tempo si allunghi. Lo aveva fatto a Göteborg, poi a Liverpool, a Lisbona e a Genova, sotto la curva della Samp, accanto a Roberto Mancini, una sorta di figlio adottivo che a stento riusciva a trattenere le lacrime. "Sono state ore incredibili, in cui Sven riusciva a sorridere mentre a tutti noi veniva da piangere" ci raccontava l’ex numero dieci più amato da Eriksson. Si chiude qui, all’Olimpico, il tour della felicità dove forse ha ricevuto il saluto più emozionante della sua vita. "E’ bellissimo sentirsi fare i complimenti da vivo, in genere gli elogi arrivano tutti dopo la morte, io invece me li sto ancora godendo adesso".
La forza di quest’uomo va oltre ogni logica, lo spirito positivo lo ha sempre accompagnato in qualsiasi altra occasione, ovviamente mai terribile come una condanna a morte. Era appena iniziato l’anno quando Sven ha denunciato pubblicamente la sua malattia, un terribile cancro allo stomaco. Si era accorto di essere malato dopo uno svenimento durante la sue corse per mantenere il fisico e l’aspetto all’altezza delle donne che ha frequentato per tutta la vita. Le ha amate, una dopo l’altra, giurando a ognuna fedeltà eterna prima di invaghirsi di quella successiva. La più importante l’ha incontrata a Roma, Nancy Dell’Olio, avvocato romano trasformata in first lady inglese quando Sven accettò di essere il primo ct straniero dei Lions. Quel giorno tradì anche la Lazio, che non poteva essere il suo "ultimo" amore perché per lui la parola "ultimo" non esiste neanche oggi che ha i giorni contati. E intanto lo osserviamo mentre non riesce ad allontanarsi dalla curva Nord e dall’amore dei laziali. Sorride ancora, vi rendete conto? Ritrovarsi davanti a lui provoca un’emozione che difficilmente può essere raccontata per quanto è forte l’immagine di Sven felice come ventiquattro anni fa. Lo definivano un perdente di successo, in realtà è un vincente straordinario. Amen se con il Benfica è stato battuto nella finale di Coppa dei Campioni del 1990 dal Milan olandese, amen (ci perdonino i tifosi giallorossi) se nel maggio del 1986 ha perso uno scudetto sulla panchina della Roma contro una squadra già retrocessa, amen se con l’Inghilterra non ha mai oltrepassato i quarti agli Europei e ai Mondiali. Preferiamo ricordare Eriksson che alza al cielo la Coppa Uefa con il Göteborg, oppure la Coppa delle Coppe e la Supercoppa Europea indossando la divisa della Lazio, oppure - ancora meglio - quello che stiamo ammirando e salutando stanotte, mentre sorride davanti alla morte.
Lunedì 26 agosto 2024: la notizia della scomparsa[modifica | modifica sorgente]
Da Ansa.it:
E' morto Sven Goran Eriksson, aveva 76 anni. A gennaio aveva rivelato di essere malato. Vinse con la Lazio.
E' morto Sven-Goran Eriksson. Lo afferma la BBC, "Una notizia terribilmente triste ci giunge: Sven-Goran Eriksson è morto all'età di 76 anni. L'ex allenatore dell'Inghilterra è morto questa mattina nella sua casa circondato dai suoi cari", scrive l'emittente pubblica inglese. Eriksson, che in Italia ha allenato Lazio, Sampdoria e Roma, pochi mesi fa aveva annunciato di essere affetto da un tumore incurabile. In Inghilterra è diventato molto famoso in quanto è stato il primo allenatore straniero della nazionale nel Paese che si fregia di aver "inventato" il calcio. In Italia è arrivato a metà degli anni '80 alla Roma, dopo l'esperienza sulla panchina del Benfica in Portogallo. Poi le panchina di Fiorentina e Sampdoria. Con la Lazio ha vinto lo scudetto nella stagione 1999-2000. Poi ha girato il mondo dall'Arabia alla Cina, alla Thailandia. Ha allenato diverse nazionali: dopo l'esperienza con l'Inghilterra, ha infatti guidato Costa d'Avorio, Messico e Filippine. A gennaio ha rivelato di combattere contro un tumore, arrivato allo stato terminale, affermando di avere, nella migliore delle ipotesi, "un anno di vita". Da quell'annuncio, Eriksson è stato ospite di alcune delle società che ha allenato in giro per l'Europa. In Italia è stato accolto allo stadio dalla Lazio e dalla Sampdoria. In Inghilterra ha realizzato un suo sogno: sedere sulla panchina del Liverpool nel corso di una partita organizzata tra le leggende del club e l'Ajax. "Non essere dispiaciuto. Sorridi". E' uno degli ultimi messaggi dell'allenatore nel corso di un documentario a lui dedicato che Amazon ha pubblicato nelle scorse settimane. "Grazie di tutto: allenatori, giocatori, pubblico. È stato fantastico. Prendetevi cura di voi stessi, prendetevi cura della tua vita e vivetela. Fino alla fine - ha aggiunto - Ho avuto una bella vita, sì", ha ammesso Eriksson. "Penso che tutti noi abbiamo paura del giorno in cui moriremo. Ma la vita riguarda anche la morte. Dovete imparare ad accettarlo, per quello che è. Speriamo che alla fine la gente dica: 'Sì, era un brav'uomo'. Ma non tutti lo diranno. Spero che mi ricorderanno come un uomo positivo".
Dal Corriere dello Sport online:
Lutto nel mondo del calcio: è morto Sven Goran Eriksson dopo una lunga malattia. L'ex allenatore di Lazio e Roma aveva 76 anni. Lo rende noto la famiglia con un comunicato stampa. All'inizio del 2023 gli era stato diagnosticato un cancro al pancreas e l'ex tecnico aveva deciso di trascorrere, accanto agli affetti più cari, l'ultimo anno della sua vita nella tenuta di Bjornefors, in Svezia. La carriera da allenatore è iniziata al Degerfors nel 1977 ed è decollata con la vittoria della Coppa Uefa con l'IFK Goteborg nel 1982. Altri successi internazionali includono lo storico scudetto vinto con la Lazio nel 2000 dopo un emozionante rimonta sulla Juventus e tre titoli portoghesi con il Benfica. Inoltre ha allenato grandi club come Manchester City, Roma, Fiorentina e Sampdoria. Sven è stato anche il commissario tecnico dell'Inghilterra dal 2001 al 2006. "Dopo una lunga malattia, Sven Goran-Eriksson è morto questa mattina a casa, circondato dalla famiglia", si legge nel comunicato diramato dagli affetti dell'allenatore svedese ai media britannici. "I più stretti partecipanti al lutto sono la figlia Lina; il figlio Johan con la moglie Amana e la nipote Sky; il padre Sven; la fidanzata Yanisette con il figlio Alcides; il fratello Lars-Erik con la moglie Jumnong. La famiglia chiede rispetto per il loro desiderio di piangere in privato e di non essere contattati. Le condoglianze e i saluti possono essere lasciati sul sito web www.svengoraneriksson.com".
Dal Corriere della Sera online:
Sven Goran Eriksson è morto: l'allenatore di Lazio e Sampdoria aveva un tumore al pancreas, a gennaio l'annuncio della malattia. Eriksson, uno dei più noti allenatori al mondo, aveva 76 anni: l'annuncio della sua morte è stato dato dalla famiglia con una nota. Lo scorso gennaio aveva scoperto di essere malato: "Ho un cancro, mi resta un anno da vivere".
Sven Goran Eriksson, uno dei più noti allenatori di calcio al mondo, è morto lunedì 26 agosto all'età di 76 anni. Era da tempo malato di cancro al pancreas. L'annuncio è stato dato dalla sua famiglia con una nota: "Dopo una lunga malattia, si è spento stamattina a casa, circondato dalla famiglia. Con lui la figlia Lina, il figlio Johan con la moglie Amana e la nipote Sky, il padre Sven, la compagna Yanisette col figlio Alcides, il fratello Lars-Erik con la moglie Junmong". Sapeva che la fine era, oltre che nota, anche imminente. E l’ha affrontata con il sorriso e lo spirito di un vero gentiluomo. Sven Goran Eriksson, piegato da un cancro inoperabile, è morto a 76 anni lasciando, pochi giorni fa, un messaggio che è molto più di un epitaffio: "La vita riguarda anche la morte. Spero che mi ricordiate come un brav’uomo. Prendetevi cura di voi stessi e prendetevi cura della vostra vita. Vivetela". A gennaio la sentenza medica, col tumore che – aggredendo il pancreas – non lasciava scampo. Tanto da fargli rivelare al mondo intero: "Ho un cancro, mi resta un anno da vivere". Eppure, dopo un breve periodo di oblio e scelte anche un po' discutibili come quella di fare il dirigente di un piccolo club svedese, Svennis, detto Sven, ha dato il meglio di sé. Ha chiesto al club che ha sempre amato di poterlo allenare per un giorno. E a Liverpool c’è stata una meravigliosa standing ovation in suo onore in uno stadio che non era mai stato suo: Anfield Road. E poi ha fatto un giro d’Europa nel quale, ovviamente, l’Italia ha avuto una parte speciale. Sorrisi e abbracci alla Sampdoria, saluti e commozione all’Olimpico, sponda laziale, anche se la sua prima avventura italiana fu dall’altra parte del Tevere.
Svedese, ma di carattere opposto all'altro grande allenatore scandinavo che lavorò anche lui a lungo in Italia, Nils Liedholm, fu scelto dal senatore Dino Viola come allenatore della Roma alla metà degli anni '80. Il vecchio presidente era rimasto folgorato dal gioco espresso prima col Goteborg e poi col Benfica. Tre anni pieni di emozioni e la grande delusione dello scudetto perso alla penultima giornata in casa col Lecce, il "Maracanazo" giallorosso. "Questo è il calcio", sussurrò dopo quella sconfitta per 3 a 2 che squassò gli animi romanisti. Eriksson avrebbe però avuto pochi anni dopo grandi fortune in quello stadio. Perché dopo la Fiorentina, la seconda volta col Benfica e la Sampdoria, Sergio Cragnotti lo scelse per assemblare una Lazio mai vista. Che lui, con saggezza ed esperienza condusse allo scudetto, alla coppa Italia ad una coppa delle Coppe, oltre che alla Supercoppa europea. Lì anche la vita di Svennis cambiò. L’elegante signore svedese scoprì un nuovo amore, Nancy Dell’Olio, e la sua immagine divenne pane anche per i paparazzi. Da Torsby, sconosciuta cittadina svedese, alle pagine dei rotocalchi. Un mix di glamour e competenza tecnica che lo condusse su una panchina tra le più nobili al mondo, quella della nazionale inglese. E a Londra, la patria dei tabloid, la sua storia divenne soprattutto il racconto di amori e tradimenti, quasi più importanti dei risultati del campo. Che non premiarono la sua nazionale dei Tre Leoni.
Così, lentamente, ma inesorabilmente, tra un Manchester City lontanissimo parente del potente club attuale, la nazionale messicana e il Leicester (ante Ranieri), Svennis vagò per il mondo, tra contratti sempre meno remunerativi ed una voglia di provare sempre esperienze nuove. Fino ad un anno e mezzo fa, quando il suo stato di salute lo costrinse ad una pensione forzata. A gennaio la diagnosi implacabile e gli ultimi mesi vissuti sempre col sorriso e la voglia di accettare con coraggio una conclusione che non fosse triste e solitaria. La grande consolazione per chi lo ha conosciuto e gli ha voluto bene, è che quel suo desiderio di essere ricordato come una brava persona, diventa – in questa calda fine estate – una assoluta certezza. Il calcio mondiale perde un grande allenatore, ma soprattutto un uomo per bene. Basta ricordare che, nei primi anni della sua carriera italiana, qualcuno lo aveva battezzato come "un perdente di successo": altri si sarebbero offesi o peggio, lui invece rise di gusto alla battuta, accettando una definizione che poi, soprattutto sulla panchina della Lazio, seppe cancellare con tanti trofei e bel gioco.
Dal sito ufficiale della S.S. Lazio le parole del Presidente Claudio Lotito:
"La S.S. Lazio piange la scomparsa di Sven-Göran Eriksson: il suo coraggio nell’affrontare la malattia che lo ha colpito è stato esempio ed insegnamento per chiunque lo abbia ascoltato. Nel corso delle interviste che ha rilasciato negli ultimi mesi ha saputo infondere amore per la vita e per il calcio. Non è stato solo l’allenatore più vincente nella storia della Società Sportiva Lazio, ma soprattutto un uomo integerrimo ed una persona squisita e signorile, doti che sapeva mescolare al classico aplomb nordico. Lo ricordo allo stadio Olimpico di Roma, emozionato come un bambino, in occasione del suo ritorno nella Capitale, parlammo a lungo: mi colpì la sua serenità, ci abbracciammo forte. Lo vidi incamminarsi verso il bordocampo, a passo lento effettuò il giro dello stadio. Tutto il nostro popolo laziale, al suo passaggio, gli urlò frasi di ringraziamento e di affetto, un’emozione quasi palpabile, le lacrime a solcare i volti, lui seppe rispondere agli incitamenti con la forza del suo sorriso. Mi verrebbe voglia di abbracciarlo ancora, per sussurrargli ad un orecchio che la Lazio non lo dimenticherà mai. Rivolgo commosso le condoglianze alla sua famiglia, il calcio ed il mondo hanno perso un grande uomo".
Martedì 27 agosto 2024: gli articoli di stampa[modifica | modifica sorgente]
Dal Corriere dello Sport del 27 agosto 2024:
Buon viaggio amico Sven. L’infanzia a Torsby, sua mamma Ulla, la carriera da terzino, l’impronta di Happel, Michels e Paisley, i consigli di Grip nel Degerfors. E poi l’Uefa vinta con il Göteborg, il Benfica, la villa a Cascais e i 7 trofei con la Lazio più forte della storia. Eriksson è morto a 76 anni. Lascia in eredità il suo stile. Ha girato il mondo e saputo salutare la vita con dolcezza, lottando contro un tumore. Nel calcio ha segnato un’epoca.
Sven Goran Eriksson è morto ieri all’età di 76 anni: da tempo combatteva contro un tumore al pancreas. Lo hanno annunciato i suoi cari: "Dopo una lunga malattia, Sven Goran Eriksson è morto a casa circondato dalla famiglia". Nato il 5 febbraio 1948 a Sunne, in Svezia, una breve carriera da difensore, interrotta per un grave infortunio, Eriksson ha vissuto oltre 40 anni sulle panchine di tutto il mondo. L’Italia è stato il suo Paese d’adozione: arrivato nel 1984 alla Roma, ha allenato prima la Fiorentina e poi la Sampdoria prima di approdare alla Lazio, regalando al club biancoceleste il secondo scudetto. Ha allenato in Cina, in Arabia, in Messico, nelle Filippine. Soprattutto: è stato il primo manager straniero alla guida della nazionale inglese. A gennaio del 2024 l’annuncio del male incurabile e di una vita che era al termine. E' tornato in Italia per salutare i tifosi di Lazio e Samp e i suoi ex giocatori, e si è seduto per un giorno sulla panchina del Liverpool, coronando un vecchio sogno. Il mondo del calcio lo piange.
Ha girato il mondo con i suoi occhiali tondi da professore universitario. Sempre in giacca e cravatta. Sven Goran Eriksson ha saputo dare un senso compiuto alla vita e a un lavoro che ha amato come i boschi e le vallate della contea di Värmland, dove da bambino aveva imparato a sciare: è stato il punto di partenza del suo viaggio. Contenuti e dettagli avevano un valore sacro nei suoi ragionamenti, per questo motivo era stato soprannominato il rettore di Torsby. Disegnava schemi sul quaderno anche in vacanza, nella sua villa a Cascais, davanti alle onde dell’oceano Atlantico, tra Praia da Conceição e Praia da Duquesa. In ogni angolo, da Göteborg a Roma, da Londra a Manila, è riuscito a lasciare in eredità la sua eleganza, la sua dolcezza, il suo stile. Non è mai stato un divo. Gli piaceva camminare tra la gente comune. Aveva saputo conservare la semplicità di un’infanzia trascorsa a Sunne e a Torsby, in Svezia, con quegli inverni infiniti e ricoperti di neve che sembravano quadri. Imprimere un significato a ogni giorno era stato l’insegnamento dei suoi genitori: il papà, che si chiamava sempre Sven, guidava gli autobus, e la mamma Ulla faceva i doppi turni in un’azienda tessile. Ha dimostrato che si può essere un fuoriclasse anche conservando il dono della normalità: nei momenti felici e anche durante le cicatrici di un percorso finale che l’ha costretto a lottare con una malattia aggressiva, scoperta già in stato avanzato, mentre era in tuta e faceva footing in Svezia.
Un malore, un giramento di testa, sembrava un calo di zuccheri. Le analisi e il verdetto dei medici. La capacità di lottare contro quel nemico invisibile e di provare a demonizzarlo, inviando messaggi positivi: da coach e riferimento anche per chi stava affrontando le sue stesse terapie. A Formello, quando allenava una Lazio stellare, che riusciva a battere il Manchester United di Alex Ferguson e David Beckham, si fermava spesso a fare benzina con la sua Volvo in un piccolo autogrill. Faceva colazione: cappuccino e cornetto. Come un cliente qualsiasi. Il contatto con le persone rappresentava un’altra delle sue ricchezze. Era timido, i complimenti lo facevano diventare rosso. Sapeva ascoltare tutti. Il successo non lo aveva spinto sulla luna. Dialogava, si confrontava. Equilibrio, sostanza, carisma. Non sprecava le parole, come succede ai veri leader. Sapeva far convivere la modernità dei suoi schemi con un’educazione antica. Gli amici lo chiamavano Svennis, l’unico a vincere il famoso double, titolo e coppa nazionale, con il Göteborg, il Benfica e la Lazio. In gioventù era stato un terzino, prendeva in consegna l’ala, aveva un fisico da maratoneta: calzettoni arrotolati intorno alle caviglie, i parastinchi non erano stati ancora inventati.
Giocava nel Torsby e nel Västra Frölunda, aveva dovuto smettere a ventisette anni per un infortunio al ginocchio. Da allenatore aveva in testa, come fonte di ispirazione, il Feyenoord di Ernst Happel, l’Ajax di Rinus Michels e Stefan Kovacs, il Liverpool di Bob Paisley. Il suo maestro è stato Tord Grip. Cominciò a fargli da vice nel Degerfors: era il 1976. L’Europa ha iniziato a studiare il suo calcio più avanti, quando lavorava nel Göteborg: pressing, gioco elettrico, a uno o due tocchi, bellezza e divertimento. Nel 1982 conquistò la Coppa Uefa contro l’Amburgo di Magath e Hrubesch. Era la squadra di Hysen e Stromberg, di Corneliusson e Nilsson. E così, nell’estate in cui l’Italia di Bearzot vinceva il Mondiale in Spagna, Eriksson si ritrovò su un aereo per Lisbona, chiamato dal Benfica e scelto da un mito come Eusebio, affascinato dalla qualità espressa dal Göteborg. Conquistò il campionato al primo tentativo: ventidue gol di Nené, quattordici di Filipovic, nove di Diamantino Miranda, sei di Humberto Coelho, cinque di Carlos Manuel. Dal Benfica alla Roma: entrò a Trigoria nel 1984 con una valigetta in pelle. La cena con l’ingegnere Dino Viola, la firma sul contratto, il compito di sostituire Nils Liedholm, uno dei grandi ambasciatori della Svezia insieme con Nordahl e Gren.
Nella Roma, all’inizio, aveva come collaboratore Clagluna. Tre anni, una Coppa Italia, la stima di Ancelotti, le rovesciate di Pruzzo, l’universalità di Boniek, la domenica da incubo con il Lecce. E poi la Fiorentina: l’artista Baggio, il repertorio di Ramon Diaz, la crescita di Borgonovo, la personalità di Dunga, le chiavi della difesa consegnate a Hysen. Ha scoperto e lanciato talenti. Nel secondo capitolo dell’avventura a Lisbona, nel Benfica, aveva valorizzato Aldair e Thern, Valdo e Vitor Paneira, Hernani e Magnusson. A Vienna, nel 1990, aveva fatto soffrire il Milan di Sacchi nella finale di Coppa dei Campioni, persa in contropiede: lancio con il contagiri di Van Basten e gol di Rijkaard. Il suo era un calcio scandito dalle intuizioni: nella Samp aveva trasformato Mihajlovic in un difensore centrale e Gullit in un mediano-regista. Splendido il feeling con la famiglia Mantovani. Considerava Mancini e Sinisa come due figli: un’amicizia che era diventata affetto. Intorno a loro ha costruito la Lazio più forte della storia. Ogni tanto, anche nell’ultimo periodo, gli piaceva ricordare le cene con il presidente Sergio Cragnotti: si vedevano in un ristorante dei Parioli oppure nella residenza del finanziere, in una traversa di via Veneto.
Sette trofei, tra il 1998 e il 2000: uno scudetto, il trionfo di Birmingham in Coppa delle Coppe contro il Maiorca, la Supercoppa Europea |alzata a Montecarlo con un gol di Salas al Manchester United, due Coppe Italia, due Supercoppe. Nel 2000, pochi mesi prima della telefonata arrivata da Londra, in cui gli veniva offerto la guida dell’Inghilterra, si era permesso di dare un consiglio a Cragnotti: "Dottore, le squadre che vincono tanto vanno rinnovate". Non viveva di ricordi, ma sapeva conservarli. Durante la malattia ha deciso di tornare negli stadi della sua vita: è stato all’Olimpico, a Wembley, a Marassi, al Da Luz, all’Ullevi. Anche ad Anfield Road hanno organizzato una festa in suo onore. Ha voluto salutare i tifosi di ogni lingua e di ogni paese: cantare con loro. Ringraziarli a mani giunte, con il sorriso. Senza lacrime. In quei giri d’onore ha cercato altre emozioni. Le energie stavano finendo: "Vi ringrazio, ricordatevi di volere bene alla vostra vita: amatela e rispettatela". Le parole di una persona di famiglia. È stato il ct dell’Inghilterra, del Messico, della Costa d’Avorio e delle Filippine. Ha allenato per quarantatré anni, ha vinto diciannove trofei, ha chiuso da direttore sportivo del Karlstad e nell’ultima intervista aveva espresso un desiderio: "Vorrei essere ricordato come un uomo perbene". Lassù, in quella nuvola, nell’abbraccio con i suoi amici Eusebio e Sinisa, avrà già trovato la risposta. Ci sono viaggi che non finiscono.
... continua ...
I trofei vinti con il tecnico svedese[modifica | modifica sorgente]
- 27 agosto 1999 - La Supercoppa Europea 1999: Montecarlo, stadio Louis II - Manchester United-Lazio 0-1
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