Domenica 30 aprile 2000 - Roma, stadio Olimpico - Lazio-Venezia 3-2
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30 aprile 2000 - 2.900 - Campionato di Serie A 1999/00 - XXXII giornata
LAZIO: Marchegiani, Negro, Nesta, Mihajlovic, Pancaro, Conceição (84' Lombardo), Simeone, Veron, Nedved, S.Inzaghi (70' Salas), Mancini (63' Sensini). A disposizione: Ballotta, Gottardi, Couto, Stankovic. Allenatore: Eriksson.
VENEZIA: Benussi, Bilica, Pavan, (83' Brioschi), N'Gotty, Ibertsberger (44' Nanami), Maldonado, Berg, Pedone, Valtolina (77' Ganz), Ginestra, Maniero. A disposizione: Casazza, Luppi, Iachini, Marangon. Allenatore: Oddo.
Arbitro: Sig. Racalbuto (Gallarate) - Guardalinee Sigg. Mirri e Tita - Quarto uomo Sig. Alvino.
Marcatori: 39' Simeone, 45' S.Inzaghi, 58' Pedone, 83' Maniero (aut), 90' Ganz.
Note: giornata calda, terreno in perfette condizioni. Ammoniti: Inzaghi per proteste, Nesta, Nanami e Ganz per gioco falloso. Angoli 12-5 per la Lazio. Recuperi: 3' p.t., 4' s.t. Da segnalare una piccola scaramuccia fra Bilica ed alcuni tifosi biancocelesti all'arrivo del pullman veneziano poco fuori lo stadio.
Spettatori: 51.747 di cui 3.990 paganti, 36.757 abbonati e 11.000 entrati gratis con il biglietto di Lazio-Marsiglia. Incasso £. 1.298.120.984.




Nella terz'ultima giornata del Campionato la Lazio gioca contro il Venezia ormai quasi retrocesso in Serie B. Sulla carta è un incontro agevole, come quello che vede la Juventus sul campo del Verona che vivacchia a centro classifica e non ha più nulla da chiedere al torneo. La gara è noiosa ed i biancazzurri, stranamente contratti, lasciano l'iniziativa ai veneti che più di una volta si rendono pericolosi in attacco. Verso il finale però i biancazzurri si svegliano e finalmente vanno in vantaggio con Simeone che è lesto ad insaccare di testa un cross di Pancaro. Neanche 5 minuti dopo arriva il raddoppio. Ancora discesa di Pancaro che crossa dalla sinistra e Benussi, pressato da Simone Inzaghi, sbaglia il rinvio facendo arrivare la sfera a Mancini appostato sul secondo palo e che appoggia per il numero ventuno biancoceleste che segna di destro. Mentre le squadre tornano negli spogliatoi un boato scuote lo stadio, tanto che i giocatori si fermano per capire dal tabellone cosa stia succedendo. E dopo 30 secondi appare la scritta "Verona-Juventus 1-0 - 45° Cammarata". Ma c'è ancora un tempo da giocare e tutto può ancora accadere. La ripresa inizia con Negro che salva sulla linea un tiro di Valtolina e poco dopo è Pedone, sempre su cross di Valtolina, ad insaccare alle spalle di Marchegiani.
La Lazio è imbambolata ma un altro boato la scuote e sul tabellone appare la scritta "Verona-Juventus 2-0 - 61° Cammarata". A questo punto lo stadio inizia ad incitare i biancazzurri che si scuotono e riprendono in mano le redini del gioco. Eriksson effettua quindi dei cambi per coprire di più la squadra. La rete della tranquillità arriva all'83' quando, su un corner battuto da Mihajlovic, Maniero sigla un autogoal. Ora la gara è in discesa e sugli spalti si ascoltano le radioline che trasmettono la partita di Verona. Al 93' arriva la rete di Ganz, ma un minuto più tardi arriva l'urlo dei 50.000 presenti: la Juventus ha perso e la Lazio ha vinto riducendo a soli 2 punti il gap di svantaggio. La classifica ora vede i bianconeri fermi a 68 punti mentre i biancocelesti salgono a 66. Il Campionato adesso è riaperto più che mai.
► Il Messaggero titola: “Sogno Lazio”. Continua il quotidiano romano: “I biancocelesti battono il Venezia e avvicinano la capolista. La squadra di Eriksson dimostra ancora una buona condizione fisica. Apre Simeone, raddoppia Inzaghi, accorcia Pedone, poi l’autogol del 3-1 e la rete di Ganz. Difesa in affanno. Scudetto tutto da giocare: la Juve ora è a due punti”.
Roma – Un boato, un flash. Il tabellone che s'illumina, una prima volta. mentre Lazio e Venezia tornano negli spogliatoi dopo il primo tempo. Mihajlovic che manda baci in tribuna, Inzaghino che si ferma, pensieroso, incredulo, a riassettarsi il ciuffo. Sono le immagini che l'Olimpico sognava di vedersi passare davanti e fermarsi li, non sparire ancora una volta d'incanto: il Verona che batte la Juventus. che riapre in un lampo il campionato perduto. No, non c’è antidoto, è proprio incantesimo: altro boato, altro "ding dong", spicca il 2 sotto il nome Verona, quelli che "vedrai che la Juve pareggia" la smettono di stracciarsi le vesti. È tutto vero, e la Lazio sta vincendo. Vincerà. Nonostante le gambe intorpidite, la partita col Venezia che torna m bilico. Diciamolo pure. Non sembrava granché come avventura, al più una pratica da sbrigare fra i rimpianti. Il tempo di applaudire lo striscione della Nord, un pensierino per i bambini maltrattati del mondo e per gli sforzi di Telefono Azzurro. E di storcere il naso perché chi difende i piccoli non può ingiuriare un avversario che ha solo un colore diverso della pelle. N'Gotty, il nero di turno, si batterà ugualmente, come tutto il Venezia. Con la dignità invocata da Ganz alla vigilia di Pasqua. Non farà passeggiare la Lazio sulle proprie macerie, si rivelerà avversario ostico come all'andata quando, sul ghiaccio, intimò ad Eriksson il primo allarmante altolà del 2000. Proprio Maniero e Ganz, i killer di allora, segneranno ancora. La differenza sostanziale è che il primo infilerà la propria, di porta, con la fascia di capitano al braccio, spianando la strada al successo dei più forti.
Perché, intendiamoci, la Lazio ha vinto sì di misura ma sempre dando il senso di un logico strapotere. Emerso quando, dopo una mezz'ora di aggiramento, ha chiuso gli avversari nell'angolo e li ha colpiti con l'uno-due. Bravo Pancaro ad ispirare entrambe le reti, sfondando a sinistra: il primo cross lo ha raccolto Simeone, volando a schiacciare in porta l'ennesimo pallone vitale (e sono cinque fra campionato e coppe negli ultimi tempi) oltre la portata del giovane Benussi; il secondo, smanacciato dal portiere, è planato davanti a Mancini, rapidissimo ed altruista a dire a Inzaghino "segna tu". Can un Veron in forma smagliante, capace di tagliare il campo coi suoi lanci millimetrici, di orchestrare e di rincorrere, con un Nedved sempre attivissimo, abile a sbucare in ogni dove, non c'era, come si suol dire, match. E invece, in una ripresa biancoceleste un po' languida nelle retrovie, i veneziani hanno prima sfiorato (respinta di Negro sulla linea su tiro da Valtolina bucato da Marchegiani) il gol e poi l'hanno trovato nel modo più lineare: cross lungo di Maldonado e spaccata volante di Pedone, colpevolmente perso di vista da Sergio Conceicao. È stato il periodo più buio della Lazio, che Eriksson aveva vivificato inserendo Sensini a far filtro, perdendo però incisività in avanti. Tre ammoniti in due minuti da un Racalbuto pignolo e male assistito sul fuorigioco dai suoi guardalinee: pesante il cartellino per Inzaghi, che salterà per uno stupido scatto di nervi la trasferta di Bologna. Poi, del tutto episodico, è arrivato il gol della tranquillità: un angolo di Mihajlovic schizzato nell'angolo opposto per la maldestra deviazione di Maniero. La freschezza di Salas, imbeccato una volta da Lombardo e l'altra da Veron, avrebbe garantito sicurezza se prima Benussi e poi Maldonado non si fossero opposti alla disperata. Ha segnato ancora Ganz, dopo un disimpegno affrettato di Sensini che il giapponese Nanami, davvero interessante, ha capitalizzato con una finezza d'esterno. Sognante, quindi dormiente, la difesa laziale. Ma il porto era vicino trenta secondi, troppo pochi anche per il destino più beffardo.
► Il Tempo titola: “La Lazio non molla”. Continua il quotidiano romano: “Liquidato il Venezia con qualche sofferenza, la bella notizia arriva da Verona: Juve battuta, ora è a 2 punti. Avvio lento poi sul finire del primo tempo l’assalto decisivo: prima segna Simeone di testa, poi raddoppia Inzaghi su assist di Mancini. Le reti di Cammarata bloccano la squadra nella ripresa. Pedone riapre i giochi, Maniero fa autogol, Ganz regala brividi e fissa il 3-2”.
Roma - Il sogno vive negli occhi di chi si abbraccia con la convinzione di poterci credere. Davvero. La Lazio c'è ancora. L'avventura continua, anzi riparte, da quel “-2”, che ha fatto correre la gioia biancoceleste sull'asse Bentegodi-Olimpico. La Juve si inchina e la Lazio incalza. La terzultima di campionato regala una suspense da vivere con il cuore in gola, ma con la determinazione e la voglia di ribaltare le gerarchie. Non è più impossibile, la chimera lascia spazio alla realtà. L'Olimpico accoglie le squadre con un sorriso che sa di complicità, provaci ancora Lazio, sembra dire la Nord, che di rese anticipate proprio non vuoi sentir parlare. La Lazio si presenta con Mancini al fianco di Inzaghi, il Venezia si rintana subito nella propria trequarti, Maniero rimane chiuso nella morsa Nesta-Mihajlovic e per dieci minuti è solo Lazio. Nedved solca l'out mancino con classe e continuità, facendo accendere la spia rossa dalle parti di Benussi. Veron si illumina a sprazzi, la manovra va ad intermittenza, ma le occasioni più ghiotte sono firmate dai singoli. Al 12' Nedved indovina l'assist per Inzaghi che si libera di Pavan, ma conclude sull'esterno della rete.
Il Venezia, che all'Olimpico si gioca le residue e flebili chances-salvezza, non ci sta ed abbozza una controffensiva sull'asse Valtolina-Maniero. Le maglie della difesa biancoceleste lasciano trasparire qualche magagna, l'ariete avversario indirizza alto, sopra la trasversale di Marchegiani, un quesito troppo banale per frenare la marcia biancoceleste. I minuti scorrono inesorabili, dal Bentegodi latitano segnali incoraggianti ed allora ci pensa Simeone a scuotere dal torpore generale il popolo biancoceleste. Corre il 38' quando Pancaro pennella di sinistro ed il Cholo coglie l'attimo, depositando di testa alle spalle di Benussi. Il quarto gol in 30 giorni mette le ali a Simeone, la Lazio si specchia nella grinta dell'argentino ed adesso la squadra gira che è un piacere. Alla fine del primo tempo (44') ancora Pancaro al cross, Benussi perde la cognizione spazio-temporale e lascia la sfera sui piedi di Mancini. L'Artista ringrazia e porge ad Inzaghi il colpo del KO. Il 2-0 è racchiuso nell' abbracciò tra il giovane azzurro ed il campione di tante battaglie, anche se la notizia più bella arriva dopo pochi minuti e fa iniziare la festa biancoceleste. Il Verona regala uno squarcio di sole, la Nord ribolle d'amore e festeggia l’1-0 ai danni della capolista. La matematica non inganna, è meno 2.
Nella ripresa, radio accesa, il campo diventa uno strumento accessorio. Dal Bentegodi è ancora Verona, il 2-0 scatena una reazione a catena dagli effetti devastanti. L'Olimpico perde di vista l'avversario, il Venezia raschia il barile e trova il gol della speranza con Pedone, imbeccato da Valtolina. La difesa biancoceleste si concede una licenza ingiustificata e spiana la strada alla velleitaria iniziativa lagunare. Racalbuto ammonisce Inzaghi, che salterà l'impegno di Bologna. Il tecnico non vuole correre inutili pericoli, Sensini rileva Mancini ed irrobustisce la diga mediana. Entra anche Salas. Nedved continua a folleggiare sulla sinistra e rimedia particolari attenzioni dai custodi avversari. Qualche apprensione, mitigata dai nuovi parametri dettati dalla classifica, poi è ancora Lazio. Mihajlovic si diletta nel tiro dalla bandierina, il cronometro indica il 29' e Maniero fa harakiri. Il centravanti sbaglia porta e chiude la pratica, deviando sfortunatamente nella rete difesa da Benussi. È il 3-1, la festa può iniziare. Ganz addolcisce la pillola, fa 3-2 ma è troppo tardi. I minuti finali servono solo per una passerella fatta di cori e sciarpe al vento, che adesso attende gli ultimi 4180 giri d'orologio per consegnare il verdetto finale. I giochi sono riaperti e la Lazio ha voglia di ballare. Fino alla fine.
► Il Corriere della Sera titola: “Simeone rilancia in orbita la Lazio. L’argentino ancora a bersaglio, poi Inzaghi e un autogol spediscono il Venezia in serie B”.
Roma - A due passi dal sogno, forse pure per giustificare uno striscione srotolato sugli spalti dell'Olimpico che dice: “Se il destino esiste, la Juve non resiste”. A quota 66, ma evitando le apprensioni che in genere comporta un 3-2, salvo fantasticare soprattutto sul soccorso veronese. Pensate: i laziali hanno già raddoppiato, quando tuona l'accadimento di metà tragitto, ritenuto improbabile. Forse l'organizzazione bianconera è ancora esorcizzabile; forse Eriksson potrebbe stavolta sorpassare se stesso, dopo troppi sorpassi sopportati nei dintorni del successo. Pazza domenica, dove prevalgono scossoni o calcoli da partita doppia, mentre il Venezia scivola giù dignitosamente. Certo, oscillanti fra incredulità e sforzi doverosi, i virtuosi laziali cominciano male. Essi sembrano sottostare al convicimento della prestazione comunque vana, un freno psicologico che esclude giusto Pancaro, Veron e Nedved puntuali rifornitori dietro l'abbinamento Mancini-Inzaghi. Facile spiegare il sorprendente rilancio dell'artista Mancio (vice tecnico di fresca nomina e agonista ormai agli sgoccioli) con l'esigenza di mobilitare ogni fedelissimo recuperabile nello spogliatoio. Depennati Almeyda e Boksic, nemmeno seduti in panchina, il responsabile svedese punta sparato sui meno stanchi e su quelli che credono davvero al miracolo dell'aggancio-scudetto. Poi, visto l'approccio pasticciato e scandito da un paio di pericoli (propositori Ginestra e Valtolina) che Maniero sproposita, chi vuole può censurare l'organico scelto e rimpiangere per esempio Salas, relegato supplente pure causa l'indigestione dei fusi orari.
Malumori provvisori, nonostante la scarsa fiducia degli innamorati laziali nel fosforo erikssoniano. Perché, agevolato dal nerbo a tutto campo di Simeone, Veron sventaglia palloni di precisione millimetrica e azzera qualsiasi preoccupazione. Cosa sanno opporre i dirimpettai Berg e Maldonado, accartocciati dalle accelerazioni del fantasista argentino, finalmente graffiante nei suggerimenti verticali? Il Venezia s'allunga e si squarcia, non appena Pancaro sfreccia imprendibile a crossare un'azione Veron-Mancini-Nedved. Perché spunta, anticipando Pavan, la testa d'oro di Simeone, il provvidenziale cannoniere d'aprile. È la sua quinta rete stagionale, sempre nello stesso modo, sempre piazzando l'inzuccata trapassante, sotto misura. Benussi, sostituto di Konsel, ne prende atto. La rassegnazione veneziana lascia spazio al bis-Pancaro, nell'immediato prosieguo. Nessuno lo chiude, e la centrata canonica manda in tilt il portiere: ribattuta omessa, Mancini s'avventa e delega Inzaghi a chiudere l'adempimento della formalità Servirà? Gli dei del calcio mandano, di lì a poco, segnali positivi. L'Olimpico esplode e ringrazia Cammarata, l'amico provvidenziale dell'altra partita, quella che si fonde con questa e viene virtualmente sofferta, gustata, centellinata.
Cosa succederà nei due turni che mancano? Aspettando sviluppi sconsigliati ai cardiopatici, la Lazio trova il sistema per ingarbugliare un po' i festeggiamenti di circostanza. Niente di preoccupante, però rallenta e procede scorticata dall'accumulo delle emozioni. Sindrome da ritrovate vertigini? Marchegiani conferma, spapereggiando sul diagonale nemmeno forte di Valtolina. Tocca a Negro, stonato controllore della corsia destra, provvedere sulla linea di porta. Il Venezia pretende di lasciare in A un buon ricordo e ci riesce: Maldonado passa incontrastato nel solito varco sguarnito e pesca Pedone, complice l'accidia di Nesta e Mihajlovic. Piatto onorevole, che innervosisce la benemerita multinazionale dei miliardari. Sì, in due minuti, Conceicao, Nesta e Inzaghi vengono ammoniti, per assurde proteste. Colpevole soprattutto Simone che, diffidato, dovrà saltare l'appuntamento cruciale di Bologna, fra sette giorni. Qua, i crucci sono più immaginari che reali. Vero, Maniero? Il bomber dei poveri, in un raptus all'incontrario, centra la porta sua e spiazza Benussi, su corner-Mihajlovic. Complimenti, l'attimo sottosopra pare dimostrare che gli astri permetteranno esclusivamente la vittoria laziale. E le notizie veronesi migliorano; e neanche la rete tardiva del subentrato Ganz attenua l'euforia, dopo gli sperperi del subentrato Salas. I vessilli sventolano fiduciosi. Come finirà?
► La Gazzetta dello Sport titola: "La Lazio esulta soffrendo". Continua la "rosea": "Tre punti importantissimi per i biancazzurri che mandano il Venezia in B. Due gol nel primo tempo, poi il k.o. della Juve paralizza la squadra di Eriksson. Simeone e Inzaghi hanno sistemato subito il Venezia e nella ripresa l'Olimpico festeggiava i gol del Verona quando la Lazio ha cominciato ad aver paura di vincere. Pedone ha accorciato le distanze, una crisi di nervi collettiva ha colpito i biancocelesti, ritornati tranquilli dopo l'autogol di Maniero che ha chiuso la gara".
Roma - Ci sono segni del destino. Il colpo di testa con cui Maniero ha posto fine alle sofferenze della Lazio, infilando la propria porta come una volta Mancini soleva fare in quelle altrui, potrebbe essere uno di questi segni. E' il gol che a una manciata di minuti dal termine ha liberato la Lazio dal "braccino", quella paura di vincere che nel tennis prende ogni tanto i giocatori più esperti. Ai biancocelesti, un fenomeno del genere è capitato dopo una decina di minuti della ripresa. Il campionato riaperto, quei gol veronesi di Cammarata che venivano salutati e festeggiati dall'Olimpico assai più di quelli con cui Simeone e Inzaghi avevano sul finire del primo tempo apparentemente archiviato la pratica Venezia, la Lazio si è resa conto di trovarsi ad appena due punti dalla Juventus e ne è rimasta come paralizzata. Solo così si può spiegare quel che è successo subito dopo: il miracolo di Marchegiani su Ginestra, il salvataggio sulla linea di Negro, il gol di Pedone che dimezzava il vantaggio e le tre ammonizioni in altrettanti minuti di Conceiçao, Inzaghi (che per questo sarà costretto a saltare la sfida ora decisiva di Bologna) e Nesta. Una crisi di nervi collettiva. Una sola squadra in campo, il bel Venezia da ieri aritmeticamente retrocesso. Ecco perché il gol di Maniero, deviazione aerea all'altezza del primo palo sul corner numero undici di Mihajlovic, ha qualcosa di misterioso e di magico che si allunga forse sulle prossime due domeniche. Tanto più alla luce del golletto di Ganz che a tempo scaduto ha fissato il definitivo 3-2. Match curiosamente equilibrato, nonostante avversari lontani anni-luce, lo scudetto da una parte, la serie B dall'altra. La Lazio è scesa mentalmente in campo una buona mezz'ora dopo il fischio d'inizio del mediocre Racalbuto, peggio assecondato da un guardalinee (Mirri) che avrebbe spesso litigato coi fuorigioco di Inzaghino e Mancini. Un ritardo che ha consentito al Venezia di Oddo di prendere coraggio e dimestichezza con un modulo (3-4-2-1) nuovo e funzionale, con Valtolina e Ginestra alle spalle di Maniero, punta però troppo monumentale e come abbiamo visto decisiva poi alla rovescia.
Contro una difesa a tre efficace in Pavan e N'Gotty e molto meno in Bilica (a destra), Eriksson ha puntato sul rilancio di Mancini al fianco di Inzaghino. Con Ravanelli squalificato, lo spento Boksic in tribuna e Salas in panchina a smaltire il fuso orario, c'era solo da puntare su quei due, fidando anche nella capacità dei centrocampisti di inserirsi. E' quanto è avvenuto alla fine del primo tempo, quando la Lazio è passata dal calcio camminato ad accelerazioni importanti sulla corsia Pancaro-Nedved dove Mancini era intelligente nel creare spazi ai compagni in arrivo. Non per caso l'uno-due nel giro di otto minuti è arrivato da altrettanti cross di Pancaro, che Valtolina, bravo dalla metà campo in su, ha avuto il torto di non inseguire. Sul primo è stata risolutrice la testina d'oro di Simeone (quinto gol in questo modo tra campionato e coppa Italia), uno che ha ormai rubato il cuore dei tifosi ad Almeyda, ieri in tribuna. Sul secondo ci ha messo un po' del suo Benussi uscendo a vuoto e moltissimo Mancini, bravo ed altruista nel preferire l'assist allo smarcato Inzaghino piuttosto che la conclusione in proprio. Con Veron capace anche da fermo di ispirare la manovra e con un Nesta formato europei a presidiare la difesa, la Lazio ha pensato di poter tirare a campare. Ma non aveva fatto i conti con le radioline e con la voglia del Venezia di abbandonare la serie A nel modo più dignitoso. L'inserimento di Nanami al posto dell'infortunato Ibertsberger e il successivo rivoluzionamento tattico del centrocampo hanno reso ancora più aggressivo il Venezia, tanto che subito dopo l'1-2 (cross di Maldonado e gol di Pedone lasciato incustodito da Conceiçao e Negro) Eriksson è ricorso a san Sensini, levando Mancini, e poi a Salas, dando il cambio all'esausto Inzaghi. Ma non c'è stata tranquillità fin quando non ci ha pensato Maniero. Scudetto? Domenica a Bologna, contro due vecchi amici-nemici come Signori e Andersson, ci vorrà una Lazio meno distratta. Anche se pure lì, come ieri col Verona, un po' di testa correrà per forza di cose dietro al Parma.
► La Stampa titola: “La Lazio vince due volta e torna a sognare”. Continua il quotidiano: “Piega di misura il Venezia con la complicità di Maniero. I gol di Cammarata ai bianconeri, travolti a Verona, infiammano i 50 mila dell’Olimpico”.
Ponte Milvio, due passi dallo stadio, ore 13,37. Da una 600 spunta una bandiera gialloblù, qualche applauso. Olimpico, ore 15,49, una, dieci, cento bandiere del Verona invadono la curva. Ha segnato Cammarata; il boato non scioglie Eriksson. “Che avesse davvero ragione lo svedese a crederci fino in fondo?” è il brusio in tribuna. La Lazio si chiude nello spogliatoio sul doppio vantaggio; i tifosi sognano un finale diverso, un colpo d'ala del destino che restituisca quel sorriso negato soltanto 12 mesi fa. C’è ancora un secondo tempo da giocare, ma la partita è sul tabellone luminoso e nelle orecchie di chi è attaccato alla radio. Cammarata gol: inizia la festa. La panchina salta insieme agli oltre 50 mila dell'Olimpico. Ballotta, Lombardo, Gottardi e Couto possono esultare; i protagonisti di questa Lazio-Venezia no. Le gambe si fermano, la testa gira, i pensieri sono al Bentegodi e Pedone infila Marchegiani. Vantaggio dimezzato.
Il Venezia ci prova, la difesa dei padroni di casa sembra offrire il fianco. Conceicao, Inzaghi e Nesta si vedono sventolare il cartellino giallo sotto il naso: sugli spalti si rivivono le stesse sensazioni del 23 maggio scorso, quando, all'ultima zampata, il Milan vinse a Perugia vanificando il sussulto laziale sul Parma. La paura che Zidane o Filippo Inzaghi rovinino tutto, che la doppietta di Cammarata sia stata tutta un equivoco, è più forte della voglia di accompagnare il trotterellare della Lazio in campo. Eriksson si affida al saggio Sensini: fuori Mancini. In campo torna l'equilibrio; sulle tribune resta alta la tensione fino a quando Maniero, sbagliando porta, si ricorda di essere un rapinatore da area di rigore e consegna, alle spalle di Benussi, la terza rete per la Lazio. Mancano 6 minuti al termine di una gara finita, nella testa dei laziali, al secondo hurrà strappato da Cammarata. Ganz fa appena in tempo a iscrivere il suo nome nel tabellino dei realizzatori che Racalbuto dice “basta”.
È stato un pomeriggio strano, quello dell'Olimpico. Strano, perché prima i tifosi si rendono protagonisti di un gesto da ricordare, poi cadono nel solito tranello degli ululati contro i giocatori di colore. “Il dono di Dio: i bambini. Il dono dell'uomo: il telefono azzurro. Difendiamoli”, è lo striscione da consacrare alla giornata che vede Roma, insieme a Milano e Verona, sede prescelta per sostenere l'ente che aiuta e difende i bambini. Nesta e Pavan guidano l'ingresso in campo tenendo per mano i piccoli pulcini della Lazio. Sparito lo striscione, arrivano puntuali i fischi per N'Gotty e quando Bilica si avvicina ai distinti per raccogliere un pallone, apriti cielo. Strano, perché vissuto tra gioia, soddisfazione e la gran paura che tutto finisse in vana gloria. Stravagante perché adesso non è più il solo Svennis a credere nel miracolo, ma una città o meglio un terzo della capitale che ha il cuore biancoceleste anche se, come afferma Montesano, “forse a Moggi i miracoli non piacciono”. Simeone, autore della rete del vantaggio, Simone Inzaghi, al 19' bersaglio stagionale, Veron, gran direttore d'orchestra e anche Mancini che, per citare Vialli, “trova più aristocratico un assist di un sigillo personale su tutti”. Su tutti anche il Venezia, che scende nella serie cadetta con l'onore delle armi. Adesso, il via a due settimane di passione con l'incubo, per Dino Zoff, dello spareggio nell'aria.
► L'Unità titola: “La Lazio “paralizzata” dall’incredibile sogno. Batte il Venezia e rivede la «lepre» bianconera. Esplode la festa. Eriksson: “Spareggio? Ci sto””.
Roma - Orecchie incollate alle radioline, occhi sul campo. Due partite in novanta minuti, alla rincorsa di un traguardo che proibito non è più: lo scudetto. Esultanza per quello che avveniva in campo, gioia rabbiosa per quello che avveniva a Verona. Per il tifoso laziale è stata una domenica straordinaria e di straordinari. Una domenica da incorniciare, vissuta in due momenti, che non riguardava ciò che stava avvenendo sul prato dell’Olimpico tra Lazio e Venezia (3-2 il risultato finale), ma su un altro prato, quello del Bentegodi di Verona. Erano le 15,50, con le squadre che rientravano negli spogliatoi per l’intervallo. Improvvisamente il tiepido brusio degli spalti è stato squarciato da una deflagrazione vocale che nemmeno i gol del doppio vantaggio laziale di Simeone ed Inzaghi avevano provocato. I giocatori si sono fermati, si sono guardati, mentre sugli spalti era il delirio. Qualcuno ha capito al volo e ha alzato le braccia al cielo, altri hanno puntato i loro occhi sul tabellone, increduli, prima di gioire. Neanche il tempo di rientrare e di riprendere i giochi che un altro boato faceva vibrare le vetrate dell’Olimpico. In quel momento il Venezia stava battendo un corner. Valtolina, l’incaricato del calcio dalla bandierina s’è bloccato, non riusciva a capire, così come i biancocelesti.
Abbiamo visto Nesta guardare i compagni, abbiamo visto qualche altro laziale restare come paralizzato. Probabilmente stava cercando di capire se quello che stava accadendo a Verona era tutto vero oppure un sogno maligno. Episodi che avrebbero dovuto galvanizzare i biancocelesti e che invece l’hanno bloccata. La Lazio s’è fatta prendere dal panico, ha perso lucidità e concentrazione. Ha addirittura rischiato di consegnare un insperato pari al suo avversario, ormai matematicamente retrocesso in serie B, e quindi indifferente ad ogni risultato. Stava per mandare in fumo la grande occasione. Per fortuna sua la Lazio ha trovato la testa di Maniero, che con una clamorosa autorete (che è stato anche un grande involontario gesto tecnico) su corner calciato da Mihajlovic ha regalato il gol della tranquillità ai biancocelesti. Forse l’attaccante lagunare è stato colpito da improvviso amarcord. Lui e Sinisa hanno giocato insieme nella Samp. Chissà quante volte hanno provato quello schema, chissà quante volte hanno fatto centro. Il secondo gol del Venezia, realizzato da Ganz era ininfluente. Alla fine mancavano soltanto pochi secondi. Così è maturata la grande domenica della Lazio. “Quando stamane (ieri ndr) mi sono svegliato pensavo ad una vittoria della Lazio ed un pari dei bianconeri. Mai avrei pensato in una sconfitta. È bello così” confesserà nel dopo partita Sven Goran Eriksson. Certo che è bello. Adesso è a due punti dalla vetta della classifica, a due punti dalla Juve. La sua Lazio può tornare a sognare lo scudetto, quantomeno crederci fino all’ultimo.
Non sarà semplice perché quei due punti di differenza sono tanti, considerando che mancano soltanto due partite alla fine. “I bianconeri possono ancora sperperare qualche punto, noi no, dobbiamo fare assolutamente sei punti e poi incrociare le dita e sperare...” dice Eriksson. Lo svedese, del resto, anche nel momento di maggior distacco dalla cima della classifica (nove punti dalla Juve) non ha mai mollato, nonostante in quel momento la squadra fosse ancora in corsa in Champions League e finalista in Coppa Italia. Ha sempre creduto in una rimonta, anche quando sembrava essere iniziata la parabola discendente della Lazio e di conseguenza la sua. Anzi, i tanti “gufi”, che nel momento della disgrazia, hanno decretato la sua fine, paventando l’arrivo di tecnici improponibili al suo posto per la prossima stagione, gli hanno dato una carica maggiore. Ha tenuto duro, ha fatto il lavaggio del cervello ai suoi giocatori, che, come lui non hanno mollato. Anche dopo la dolorosa uscita dalla Champions League. Dopo la sconfitta di Verona del 19 marzo, la Lazio ha ingranato la marcia giusta, conquistando cinque vittorie e un pari nelle seguenti sei partite (la Juve 3 vittorie e 3 sconfitte), che è una marcia da scudetto. Traguardo che ora non è più impossibile. Anche attraverso uno spareggio. “Ci sto” conclude Eriksson. Lo crediamo bene.