Sabato 22 aprile 2000 - Piacenza, stadio Leonardo Garilli - Piacenza-Lazio 0-2
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22 aprile 2000 - 2.899 - Campionato di Serie A 1999/00 - XXXI giornata
PIACENZA: Roma, Maccagni, Polonia, Delli Carri, Gautieri (67' Buso), Tagliaferri, Zitolo, Morrone, Manighetti, Gilardino (73' Di Napoli), Rastelli (67' Forlini). A disposizione: Bagnacani, Savioni, Cristallini. Allenatore: Bernazzani.
LAZIO: Marchegiani, Negro, Nesta (85' Gottardi), Mihajlovic, Pancaro, Conceição, Veron, Almeyda (57' Simeone), Nedved, S.Inzaghi, Boksic (46' Mancini). A disposizione: Ballotta, Sensini, Stankovic, Lombardo. Allenatore: Eriksson.
Arbitro: Sig. Messina (Bergamo) - Guardalinee Sigg. Ragone e Contini - Quarto uomo Sig. Calcagno.
Marcatori: 60' Simeone, 68' Veron.
Note: giornata molto calda, temperatura oltre i 30°, terreno in ottime condizioni. Ammoniti: Tagliaferri e Nedved per gioco non regolamentare, Morrone per gioco falloso. Angoli 8-2 per la Lazio. Recuperi: 1' p.t., 4' s.t.
Spettatori: 8.428 di cui 7.179 abbonati per un incasso di £. 279.072.991.
Dopo essersi allontanata dalla testa della classifica ed essere uscita dalla Champions League, la Lazio si ritrova il Sabato Santo sul campo di un Piacenza ultimo in classifica per disputare una gara che sembra ormai inutile. Comunque si capisce subito che i biancazzurri sono intenzionati ad onorare l'incontro nel migliore dei modi, quando all'8' l'ex di turno, Simone Inzaghi, raccogliendo un cross di Negro, si vede parare il tiro da Roma con i piedi. La partita ha ritmi blandi per via del gran caldo che opprime le due compagini. Prima della fine del tempo è Nedved a provare la via della rete, ma Maccagni gli devia il pallone. Nella ripresa entra Mancini dando maggior ordine alla squadra. Al 57' entra anche Simeone e la squadra comincia a macinare gioco ed azioni. Dopo solo 3 minuti è proprio "El Cholo" a siglare la rete del vantaggio, realizzando di testa su corner battuto da Mihajlovic. Al 68' arriva il raddoppio ad opera di Veron che insacca su punizione da oltre 25 metri. Verso lo scadere il rientrante Marchegiani neutralizza un colpo di testa di Buso su cross di Morrone. L'incontro termina qui e la classifica, a 270' minuti dalla fine del Campionato, non cambia in quanto la Juventus ha battuto la Fiorentina per 1-0 portandosi a 68 punti mentre i biancazzurri raggiungono i 63.
La Gazzetta dello Sport titola: "La Lazio argentina non molla mai. Simeone di testa e Veron su punizione tengono la speranza accesa. Ritmo blando, poca convinzione: la Lazio, con un Piacenza già in B, sembrava aver rinunciato alla rincorsa alla Juve. Inzaghi colpisce un palo e sbaglia tanto. Poi l'iniezione di grinta con Simeone che, entrato per Almeyda, segna su assist di Mihajlovic. Veron raddoppia su calcio piazzato".
Continua la "rosea": La fiammella resta accesa. Ma è una fiammella tiepida, che non scalda a sufficienza la pentola contenente le ultime speranze di scudetto della Lazio. A poco serve, infatti, il 2-0 con cui la truppa di Eriksson calpesta il già retrocesso Piacenza. Stesso punteggio, ottenuto su questi schermi il 12 marzo scorso dalla Juventus, stesse difficoltà nel primo tempo chiuso come allora sullo 0-0, ma al termine opposta soddisfazione. Perché quel pomeriggio, poche ore dopo il discusso 2-2 tra Lazio e Inter, il 2-0 finale spianò la strada verso la volata tricolore della capolista. Mentre stavolta questo 2-0 "made in Argentina", firmato da un colpo di testa di Simeone e da una punizione di Veron, ha il banale sapore di una semplice, se non addirittura fastidiosa, formalità. Perché cinque erano i punti di distacco della Lazio dalla Juventus, e cinque rimangono, ma con sole tre partite da giornate. A giudicare da come si impegnano, i primi a non credere in un clamoroso riavvicinamento a un altro scudetto sfumato sono proprio gli stessi giocatori di Eriksson. Al di là dei 30 gradi e del totale disimpegno del Piacenza, che nell'insieme regalano una cornice da amichevole estiva, di fine o inizio stagione fate voi, Nesta e compagni offrono subito l'impressione di giocare perché costretti dal calendario. Ritmo basso, grinta ridotta ai minimi termini, aria di chi non vede l'ora di prendere l'aereo (i molti stranieri), o di tornare a casa per festeggiare la Pasqua (i pochi italiani), gli uomini di Eriksson rimangono a lungo impassibili anche se da Torino, per tutto il primo tempo, non arriva la temuta notizia del gol della Juventus. Siccome nel dubbio converrebbe portarsi avanti, segnando almeno un gol, sarebbe lecito attendersi qualcosa di più dai teorici inseguitori dei bianconeri, visto tra l'altro che il Piacenza schiera un esordiente in difesa (Maccagni su Boksic), un semiesordiente in mezzo al campo (Zitolo, alla seconda presenza in serie A), ma soprattutto tanta gente ormai comprensibilmente demotivata.
E invece la Lazio passeggia, anche se l'enorme divario tecnico non le impedisce di sfiorare ripetutamente la rete. Evidentemente, però, la deconcentrazione fa brutti scherzi se persino un grande cannoniere come Simone Inzaghi riesce a colpire il palo da due passi, a porta vuota, su cross da destra di Negro. Quando non sono i laziali a graziare il portiere avversario, con punizioni troppo molli (Veron e Mihajlovic), è poi lo stesso Roma a guadagnarsi gli unici applausi dei propri tifosi per i suoi provvidenziali interventi: prima su un tiro di Inzaghi, e poi su una involontraria deviazione di Delli Carri su conclusione di Nedved. Inutilmente, infatti, il Piacenza prova a mettere fuori la testa dal guscio. I due centrali Nesta e Mihajlovic non fanno mai avvicinare alla porta Gilardino e Rastelli, mentre Negro, e soprattutto l'attivissimo Pancaro, hanno tutto il tempo di lasciare sul posto i rispettivi avversari di fascia Manighetti e Gautieri, per offrire la loro spinta in fase offensiva. Padrona del centrocampo, grazie alla regia di Veron e al dinamismo di Nedved che impegnano severamente Zitolo e Tagliaferri, mentre Almeyda soffre Morrone e Conceicao gira spesso a vuoto, la Lazio però ancora una volta manca in fase conclusiva, e almeno in questa occasione Salas (già a disposizione del Cile) non c'entra. Agli inconsueti errori dell'irriconoscibile Inzaghi, si aggiungono le amnesie dello svagato Boksic, e più in generale una scarsa cattiveria nell'area di rigore avversaria, come se bastasse specchiarsi nella propria superiorità tecnica per vincere le partite, e alla lunga lo scudetto. Non è un caso, quindi, che l'uomo in grado di infilare la spina della vittoria nell'apposita presa a tre buchi, non sia Mancini subentrato dopo l'intervallo a Boksic, bensì quello straordinario combattente di Simeone, quando la Juve ha già sbloccato lo 0-0, allungando a sette i punti di vantaggio.
Tre minuti dopo aver sostituito Almeyda, il centrocampista frettolosamente ceduto dall'Inter devia in rete di testa un calcio d'angolo battuto da Mihajlovic. E a quel punto, non c'è più partita, ammesso che ci sia stata prima, anche se restano altri 34' da giocare. Per la verità Delli Carri sfiora subito il pareggio di testa, ma al 23' Veron mette definitivamente in cassaforte il successo con una punizione pennellata con una disinvoltura pari alla sua classe. Il resto così diventa inutile contorno. Con gli ultimi cambi, una esagerata reazione di Nesta per un fallo che poi lo costringe a uscire, e l'unico vero tiro in porta del Piacenza col nuovo entrato Buso, capace di impegnare per la prima volta Marchegiani. Troppo poco, ma soprattutto troppo tardi, per frenare una Lazio che va avanti per inerzia, con scarsissime speranze. Aggrappata soltanto a un miracolo, che ogni settimana però dovrebbe diventare sempre più grande.
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