Zanetti Diego
► Le interviste a Diego Zanetti
Difensore, nato a Invorio Inferiore (NO) il 22 gennaio 1939.
Comincia a giocare al calcio nella squadra giovanile del Gozzano, dove si mette in luce nel ruolo di centrocampista. Un osservatore del Novara lo nota in un torneo giovanile e ne consiglia l'acquisto. Nel Novara arriva nel 1957/58 ma senza esordire in prima squadra. L'esordio, in serie B, avviene l'anno successivo ma gioca solo sei partite in sostituzione di compagni indisponibili. Nel campionato 1960/61 Zanetti viene spostato in difesa con il compito di marcare una delle punte avversarie. Le prove sono molto convincenti tanto da giocare titolare in tutte le trentotto partite del torneo mettendo a segno due reti. In questo campionato si avvale dell'ottima intesa raggiunta con l'altro fortissimo difensore Udovicich. Alla fine del torneo il Novara viene retrocesso in serie C per un mai chiarito illecito denunciato da un giocatore della Sambenedettese e la società decide di vendere i suoi elementi migliori. La Lazio lo acquista cedendo al Novara Egidio Fumagalli e Clemente Mattei e da questo momento il calciatore diviene progressivamente uno dei protagonisti della squadra. E' una Lazio di serie B dove occorrono soprattutto cuore e determinazione. Zanetti ha in sè queste due qualità e le mette a frutto. Titolare inamovibile, nel campionato 1961/62 assomma 35 presenze nel ruolo di terzino destro e sotto la guida dei tecnici, migliora nettamente il suo profilo tecnico.
Vengono apprezzate la sua umiltà e la sua dedizione che gli consentono di non perdere mai la concentrazione. Si dedica ore e ore al "muro" per migliorare il controllo di palla e il piede sinistro, sotto la guida del mister argentino Juan Carlos Lorenzo che lo ritiene calciatore essenziale. Ancora in serie B nel 1962/63 non salta nemmeno una gara ed è uno dei protagonisti della promozione in serie A. Viene confermato e non subisce più di tanto il salto di categoria sebbene se la debba vedere con avversari del calibro di Corso, Menichelli, Pascutti, ecc. In tale campionato gioca trenta partite e segna una rete contro il Bari. Anche nel campionato successivo, sotto la guida di Umberto Mannocci, si conferma marcatore essenziale e affidabile. La Lazio lo utilizzerà fino alla stagione 1968/69 e sempre con ottimi risultati. Solo nel campionato 1966/67, a causa di seri infortuni, gioca solo diciassette gare e la Lazio retrocede di nuovo in serie B. Gioca per altri due campionati nella serie inferiore confermando le sue doti agonistiche e tecniche e contribuisce a riportare di nuovo la Lazio in serie A. Ma alla fine del campionato non viene confermato ed è ceduto al Vicenza dove resterà per due stagioni senza però riproporre le qualità mostrate a Roma. Ancora piuttosto giovane ma forse logorato da dodici stagioni durissime svolte in un ruolo usurante, abbandona il calcio professionistico e torna in Piemonte. Qui, inizialmente, svolge il ruolo di allenatore-giocatore in 4^ serie con il Borgomanero, poi si dedica al lavoro di allenatore ma sempre in squadre di categoria inferiore tra cui la Juve Domo, l'Omegna e l'Arona in serie C.
Possiede il patentino di seconda categoria e opera nella provincia di Novara. Oggi gestisce un bar-tabacchi a Novara. Nella Lazio ha collezionato (tra campionati di A e di B) 248 presenze, mettendo a segno due reti e 10 presenze in Coppa Italia. Diego Zanetti è stato un terzino marcatore di modesto valore assoluto ma ammirevole per grinta, applicazione, dedizione alla maglia e volontà. Forte fisicamente, m 1,79 per 76 kg, veloce, potente e discreto colpitore di testa, non è mai stato surclassato da nessun avversario. A volte, infatti, l'avversario diretto può aver imposto i diritti della classe ma Zanetti non è mai uscito dal campo mortificato. Di carattere schivo, mai oltre le righe, sempre grato a chi gli ha insegnato il mestiere di calciatore, molto benvoluto dai compagni, ha lasciato un ricordo positivo ai tanti tifosi biancocelesti che lo hanno visto giocare. Per meglio capire il suo modo d'intendere il calcio è forse interessante riproporre un brano di una delle rare interviste che ha rilasciato, all'indomani del suo primo goal segnato con la maglia laziale contro il Bari: "...ho visto lo spiraglio buono, mi sono buttato in velocità in avanti, ho chiuso gli occhi e ho tirato confidando nella dea bendata. Comunque la fortuna aiuta una sola volta e io non riuscirò più a fare il bis...".
Palmares[modifica | modifica sorgente]
- 1 Campionato De Martino 1967/68
Una figurina STEF del 1963/64
Una figurina Mira del 1963/64
Una figurina Lampo del 1963/64
Una figurina Folgor del 1964/65
Una figurina Imperia del 1964/65
Una figurina imperia del 1965/66
Una figurina Tavermatic del 1965/66
Una figurina Fidass del 1966/67
Una figurina Tempo del 1966/67
Una figurina Distributor del 1966/67
► Allora Diego, partiamo dagli inizi. Nel 1959, a soli vent'anni, sei chiamato a far parte di una società gloriosa come il Novara che all'epoca era in B. In quella squadra c'era un attaccamento alla maglia difficilmente riscontrabile in altre formazioni....
"In quel periodo il Novara era ancora una squadra abbastanza buona, con dei gloriosi trascorsi che avevano visto in formazione anche autentici campioni, uno fra tutti Silvio Piola. Io arrivai dalla Prima Categoria e subito in ritrovai in serie B, davvero un bel salto!"
► In quel periodo eri già convinto che avresti giocato tante partite in serie A?
"Assolutamente no, anche perché a livello puramente tecnico non ero proprio un mostro di bravura; non possedevo una grande scuola sotto quel profilo, ma come difensore ce la mettevo sempre tutta per ben figurare."
► Restando al Novara, puoi spendere qualche parola per un giocatore passato alla storia come Giovanni Udovicich?
"Udovicich fece più di cinquecento partite con la maglia del Novara; quando arrivai - lui era più giovane di me - giocava già in prima squadra. Era uno stopper fisicamente vigoroso, l'unica sua "sfortuna" è stata quella di rimanere sempre al Novara, in quanto credo che avrebbe potuto benissimo militare in molte squadre di serie A. Può darsi che fosse stata anche una sua scelta ben precisa, questo francamente non lo so, lui era di Fiume e da bambino si trasferì con la famiglia a Novara, dove ha sempre vissuto, anche quando smise di giocare trovò un impiego nella zona."
► Nonostante il tuo ruolo di difensore puro, nel 1960-61, sempre con il Novara in B, segnasti due reti. Le ricordi bene?
"Due più una... Un gol a Valdagno, col Marzotto; giocava ancora Nyers, un grande campione a fine carriera. Un'altra con il Catanzaro in casa, mentre la terza, che probabilmente non figura negli almanacchi, la segnai nello spareggio con la Triestina nel secondo tempo supplementare. In quell'occasione ci salvammo dalla retrocessione."
► Nel campionato 1961-62 ti acquista la Lazio che diverrà la squadra della tua vita. Come ti sei trovato, provenendo da Novara? E poi, puoi spiegare come si vive a Roma il derby?
"Già. Con la Lazio ho giocato, nell'arco di otto anni, la bellezza di duecentoquarantotto partite, fra A e B. Quando giunsi a Roma sembravo uno che veniva dalla montagna. In quegli anni la situazione era completamente diversa da oggi, la gente si spostava poco, quindi nei primi tempi mi trovai francamente un po' spaesato, ma non ci misi molto a capire che mi sarei sicuramente trovato bene con gli abitanti della Capitale. Il derby poi, era veramente tutto! Soprattutto per chi, come me, giocava da diversi anni nella S.S. Lazio, il derby era la partita più importante di tutto il torneo. Non potrei dire che c'era odio coi cugini ma, ogni volta, cercavamo di dare loro un dispiacere. Quando arrivai la Roma era in A, quindi qualche derby è saltato; se vado a rileggere il bilancio finale, è di uno vinto e uno perso, gli altri tutti pareggi proprio perché è una partita totalmente diversa dalle altre in cui, spesso, la paura di perdere prevale. Ricordo una sconfitta, con gol di Fabio Enzo; a tal proposito mi ricordo quando andai ad allenare l'Omegna in serie C, lo ritrovai come giocatore."
► Visto che hai nominato questo centravanti, all'epoca considerato una delle promesse del calcio italiano, vorrei conoscere un tuo parere su di lui...
"Era davvero una promessa, ma era "matto", nel senso buono della parola. L'ho incontrato poco tempo fa, a una festa della società del Novara; prima ci si ritrovava ogni anno e si faceva una cena per stare insieme ancora una volta. Enzo avrebbe davvero potuto offrire molto di più di quanto ha fatto, per se stesso e per il calcio italiano."
► Soffermandoci al derby, puoi esprimere un pensiero su un tuo avversario, il grande Pedro Manfredini?
"Non ricordo se mi sia mai capitato di marcare Manfredini, detto Piedone. Purtroppo per noi, lui era un tipo che la metteva dentro abbastanza facilmente in quanto dotato di uno scatto e di una velocità fulminei; magari la toccava di punta, o in altro modo, ma i suoi gol riusciva sempre a farli."
► In B, con la Lazio, hai disputato due campionati giocando trentacinque e trentotto partite. All'attacco avevate giocatori di un certo rilievo come Bizzarri, Ferrario, Longoni e Morrone. Mi parli di loro?
"In quel momento Morrone era il migliore che avevamo in squadra. Quell'anno chi non andò troppo bene fu Longoni, che era comunque un buon giocatore ed era stato anche in Nazionale, ma non riusciva a rendere come avrebbe dovuto. Ferrario era giovane e tecnicamente dotato, ma aveva la fissazione di dover far gol solo in modo estroso o plateale, altrimenti non era soddisfatto."
► 1963-64: finalmente il campionato di serie A. Cei, Zanetti, Garbuglia, Carosi, Pagni, Gasperi. Per gli attaccanti avversari non doveva essere facile affrontare una difesa rocciosa e decisa come la vostra...
"E' vero e questo si verificò soprattutto quando avevamo Lorenzo come allenatore. Il mister, infatti, studiava tutti i sistemi per farci essere sempre pronti e decisi: qualunque stratagemma era lecito pur di non far segnare gli avversari. Più che pensare al gioco offensivo noi ci preoccupavamo di difenderci con tutte le forze."
► Poi avevate Galli (ormai a fine carriera) e Rozzoni, che erano i vostri centravanti. Come li ricordi in campo?
"Galli proveniva dal Milan e, anche se la sua carriera era al termine, il suo apporto fu decisivo, sia a livello di esperienza che di gioco (una volta giocò addirittura come libero). Carletto era uno che seppe insegnare molto a noi più giovani, Rozzoni a Roma era ben visto e pur se poco dotato sotto il profilo tecnico, nei campionati precedenti con i suoi gol era stato determinante; nella stagione 1963/64 però non rese tantissimo."
► A centrocampo Landoni, Giacomini e Governato (magari non sempre schierati insieme). Possiamo definirli come tre giocatori di classe o sbaglio?
"Senza ombra di dubbio Governato era un giocatore di classe mentre Giacomini non giocò tantissimo; Landoni era principalmente uno tattico, un mediano che riusciva a coprire tutti gli eventuali buchi che si aprivano a centrocampo, correva e si dimenava per tutti i novanta minuti della partita."
► In quello stesso campionato eri in campo in una vittoria storica per la Lazio: con uno strepitoso 0-3 vinceste a Torino contro la Juventus di Sivori...
"Guarda, ti dirò una cosa curiosa: rammento vagamente la vittoria per 3-0 contro la Juve; addirittura, se non me lo dicevi tu, non ricordavo neanche che Sivori fosse in campo. Probabilmente un episodio così bello è nascosto in qualche posto del mio cervello, proprio per salvaguardarlo dal tempo che passa..."
► Avere come allenatore Juan Carlos Lorenzo era un buon biglietto da visita. E' vero che era superstizioso in maniera esagerata?
"Lorenzo ci fece diventare tutti superstiziosi. Non ci si cambiava più i pantaloni, oppure si andava a dormire nello stesso posto se la partita era andata bene... una cosa terribile! Questo però denota anche il carattere, la forte personalità del mister, in quanto non è facile convertire un'intera squadra al rituale superstizioso."
► L'anno dopo la tua squadra subì diverse modifiche: si rinunciò a Morrone ma arrivarono Fascetti, Christensen, Renna, Piaceri e Petris. Era una squadra rafforzata o la perdita di Morrone si fece sentire?
"Sì, ricordo, l'allenatore era Mannocci, il quale portò dal Messina Dotti e Fascetti. Secondo me, però, nonostante tutti questi arrivi non ci eravamo rinforzati molto: facevamo una fatica tremenda a segnare e ci salvammo all'ultimo minuto per un solo punto in classifica. Morrone lo chiamavano il Pibe [Gaucho. n.d.r.]: era giovane e anche un po' folle in certi momenti, ma era un giocatore estremamente determinante e oltre la media di tantissimi calciatori di quel periodo."
► E un giudizio sul turco Can Bartu che arrivò l'anno dopo?
"Bartu era un grande giocatore, ma la sua vita privata non era consona allo stile dell'atleta; tra le varie cose ricordo che fumava una gran moltitudine di sigarette e per giustificarsi diceva all'allenatore: "Mister, io turco e fumare come un turco"..."
► Ottima questa battuta su Bartu. Mi sembra che a Roma, negli anni '50-'60, gli attaccanti rendessero meno che in altre squadre...
"All'epoca penso proprio che fosse così e non so dare una spiegazione plausibile, se non pensare all'ambiente e al vivere a Roma. O forse potrebbe essere il fatto che eravamo meno bravi di altri."
► In merito ai gol segnati da te in serie A, alcuni sostengono che ne realizzasti due: uno nella stagione 1963/64 e l'altro nel campionato 1967/68.
"E' strano questo fatto. Le statistiche riportano due gol, ma per correttezza devo dirti che a me risulta solo quello realizzato al Bari e di questo ne sono sicuro anche perché quella rete è stata pubblicata in prima pagina dallo Sport Illustrato che ancora conservo con piacere. Ma l'altro gol che mi viene attribuito proprio non lo ricordo."
► Per te il due dovrebbe essere un numero magico... Ricordi per caso se hai mai giocato con una maglia con un numero diverso?
"Mi sembra di aver giocato solo due volte con il numero cinque, in tutte le altre ho sempre portato il due, al quale ero tremendamente affezionato; in alcune partite ho giocato anche come stopper; però sceglievo sempre il mio numero di maglia preferito."
► Fra tanto campioni hai marcato anche Gigi Riva. Contro di lui quante possibilità aveva un terzino di non fargli toccare palla?
"Riva, in effetti, si poteva anche marcare bene ma bastava solo un attimo che venivi castigato, sia con un tiro improvviso, che con la forza fisica oppure in acrobazia; lui conosceva bene il momento giusto per spostare anche solo leggermente il difensore, mandarlo in bianco e riuscire a beffarlo. Era davvero bravo, su questo non ci sono dubbi."
► Ci sono stati altri attaccanti che ti hanno fatto sudare per marcarli?
"Avevo una bestia nera: Facchin del Catania; come gioco assomigliava a Riva ma ovviamente non era alla sua altezza. Mi faceva veramente ammattire. Ricordo una volta, a Roma, in cui saltammo su una palla alta che gli schizzò sulla nuca e si infilò in fondo alla rete. O in un modo o nell'altro in campo riusciva sempre a rendermi la vita complicata, non era estremamente difficile marcarlo però mi faceva quasi sempre gol."
► Chiudesti la carriera nel Lanerossi Vicenza. Era una buona squadra anche quella?
"Quell'anno alla Lazio arrivarono Wilson e Chinaglia; fino a un paio di minuti prima della chiusura del mercato, ero ancora a tutti gli effetti un giocatori biancazzurro. Avevamo giocato il campionato di B ed eravamo saliti in serie A, ero quindi sicuro della conferma per cui non avevo pensato di trovare un'altra squadra; addirittura non vollero concedermi la lista gratuita e questo fu un problema. All'epoca non c'erano i procuratori, così dovetti aspettare fino a novembre per trovare una nuova sistemazione. Quando il Lanerossi (nel quale c'erano alcuni miei ex compagni) venne a giocare a Roma, contro i giallorossi, mi recai all'Albergo Nazionale dove alloggiava la squadra e parlai col presidente Farina; lui mi chiese se ero libero e alla mia risposta affermativa concludemmo subito l'accordo."
► Dopo questa esperienza hai smesso intraprendendo l'attività di allenatore...
"Sì, dopo Vicenza ho smesso e sono tornato vicino casa mia: a Borgomanero, in Quarta Serie, nei panni di allenatore-giocatore. Disputammo un buon campionato e riuscimmo a salvarci: quell'anno feci addirittura cinque gol. Poi continuando come allenatore lavorai cinque anni in serie C, ad Arona e Omegna, quando ancora quella Serie era unificata. Dopo ci furono diversi problemi e la società fallì."
► Come mai non hai continuato la tua carriera in panchina?
"Ho acquistato una licenza di Bar-Tabacchi a Novara, dove sono ancora adesso; riflettevo sul futuro post-calcistico in quanto le sorprese della vita sono sempre dietro l'angolo. Non voglio far la fine di alcuni che, purtroppo, si sono ritrovati con un pugno di mosche in mano, avevo famiglia e figli. Iniziai quasi per scommessa e invece, come vedi, sono ancora qui."
► Il calcio di oggi come lo vedi?
"Mah... Il fatto è che non mi diverte più, anche perché la velocità è diventata molto più "forte" di allora. In tutto questo non mi capita più, ad esempio, di vedere un'ala di altri tempi che puntava dritto l'uomo e si apprestava a crossare dal fondo; oggi nel momento in cui un calciatore prende la palla, è assalito da una miriade di avversari... Secondo me non c'è più nessuno come i calciatori di un tempo. I tiri in porta, in una partita, li puoi contare con una sola mano, noi eravamo abituati a ben altro. Guarda cosa succede nei calci d'angolo: trattenute allucinanti, maglie che si allungano come fossero elastici; magari una volta ci si dava anche un cazzotto, cercando di non farsi vedere e la televisione non stava lì a riprendere addirittura i labiali di chi stava in campo per poi discutere su quattro ore di trasmissione. Purtroppo oggi tutto è portato all'esasperazione e questo non è né bello, né positivo..."
► Secondo te c'è qualche giocatore degli anni '60 che potrebbe giocare nell'attuale serie A? Qualcuno asserisce che Mariolino Corso, ad esempio, con la sua lentezza oggi toccherebbe pochi palloni...
"Io non credo proprio... anzi penso che giocherebbe ancora ad altissimi livelli. Era talmente bravo che, se un marcatore cercasse oggi di affrontarlo in velocità, lui lo salterebbe come un birillo; era capace di stoppare una palla alta in frazioni di secondo per cui, anche se affrontato in velocità, con i suoi tocchi di classe non avrebbe alcun problema. Per fermare Corso, anche allora, l'unico modo era posizionarti davanti a lui e attendere la sua giocata, mentre se cercavi di prenderlo in velocità e anticiparlo, rischiavi di fare magre figure."
► Ricordo bene che all'epoca il difensore attendeva la mossa dell'attaccante, anziché cercare di impossessarsi del pallone prima di lui.
"Esatto! Non c'erano misure migliori per annullare un attaccante. Ti faccio un esempio: quando giocavo a Vicenza, c'era Damiani come ala sulla fascia destra. Quando Oscar ti puntava non c'era difensore che riuscisse a fermarlo e se cercavi di arrivare sul pallone prima di lui era un suicidio preventivato; una vera furia, con le sue finte e quelle serpentine incredibili. Oggi un tipo del genere darebbe del filo da torcere a qualunque difensore."
(Una recente intervista tratta da - Calciomania Magazine - di Claudio Scarpa)
Ed ecco un'intervista rilasciata nel 2014 da Diego Zanetti a www.laziopolis.it di Gianfranco Lombardi
C'è una generazione di giocatori della Lazio che ha negli occhi qualcosa di magico che gli anni non hanno stemperato. Gli occhi di Diego Zanetti parlano da soli e raccontano un'età mitica fatta di fatica e sorrisi, pochi soldi, ma valori veri. Incontriamo Diego, che oggi ha 75 anni, nel suo Bar Tabacchi di Invorio Inferiore nell'Alto Vergante, inerpicato sul versante piemontese del Lago Maggiore in provincia di Novara, un posto incantevole dove sembra che il tempo si sia fermato. Come per Diego Zanetti, il grande terzino destro della Lazio di Lorenzo, il numero 2 di tante battaglie.
► Quante partite ha giocato in maglia biancoceleste in campionato?
"Io ne ho contate 248 in 4 campionati di Serie A e 4 di Serie B, sempre con il numero 2, tranne 4 partite che giocai con il 5 da stopper. Quella maglia è stata la mia seconda pelle per otto anni e l'ultimo lo feci da capitano. E' un vanto per me essere ancora tra i primi 10 giocatori laziali di tutti i tempi per numero di presenze!"
► Ci racconti come arrivò alla Lazio.
"Dopo un inizio nelle squadre locali di categoria, il Baveno sul Lago Maggiore e poi il Gozzano sul Lago d'Orta, a 21 anni, siamo nel 1960, fui preso dal Novara e fui catapultato direttamente in Serie B. Alla fine di quel campionato, il presidente di allora del Novara mi chiamò e mi disse che mi avevano scambiato con due giocatori della Lazio, Fumagalli e Mattei e di presentarmi a Roma per le visite mediche. Allora non c'erano i procuratori e si trattava direttamente con il Presidente. Partii subito per Roma in treno. Arrivai la domenica mattina, era un luglio caldissimo. Dovevo alloggiare all'Hotel Nazionale ma mi sembrò troppo elegante per me ed optai per il vicino e più famigliare Albergo Ligure. Da via Nazionale a piedi arrivai alla sede della Lazio, in via Regina Margherita, attraversando una Roma quasi deserta e solo per vedere dove fosse la sede. Il giorno dopo mi ingaggiò la Lazio ed iniziò la mia avventura in biancoceleste."
► Zanetti è in fiume in piena, i ricordi affiorano uno dopo l'altro e sono quasi tutti belli.
"E' vero, la mia esperienza alla Lazio mi ha segnato profondamente e l'ho vissuta in maniera totale, con grande serenità. Ricordo che il primo anno (61-62) giocai quasi tutte le partite senza avere alcun problema. A Roma mi trovai subito benissimo. All'inizio abitavo in casa di Armando, l'autista del pullman della Lazio, ma dopo pochi anni mi sposai e comprai subito casa, un appartamentino in via Girolamo Vitelli una traversa di Via Baldo degli Ubaldi. Me lo vendette il Presidente Lenzini come parte del mio ingaggio annuale, otto milioni. E mi son pentito di non averlo tenuto. A Roma tutto era bellissimo. Guadagnavamo bene, soprattutto con i premi partita, niente però a che vedere con gli ingaggi di oggi."
► Quell'anno, il suo primo con la maglia della Lazio, ci fu la mancata promozione a vantaggio del Napoli. Ricorda l'episodio del famoso gol fantasma di Seghedoni?
"Non fu un gol fantasma ma un gol vero. Lo ricordo benissimo. Io e Pagni non giocavamo. Eravamo in tribuna al Flaminio. Seghedoni fece un gran gol e noi esultammo ma la palla uscì fuori a causa della rete bucata. L'arbitro vide il gol, fischiò subito e si girò verso il centro del campo, ma il guardalinee rimase immobile perché la palla tornò in campo lanciata da un raccattapalle e anche lui tornò allora sulla sua decisione e annullò il gol. Fu uno scandalo. Pareggiammo 0 a 0 e per quel gol perdemmo la serie A."
► Che comunque arrivò l'anno successivo...
"E' vero, avevamo una gran bella squadra con tre attaccanti fortissimi, Rozzoni, Morrone e Maraschi oltre a Bernasconi e Moschino, un regista coi fiocchi."
► E l'anno dopo finalmente la serie A...
'"Bellissimo, ma per me non fu traumatico, anzi mi sembrava di averci sempre giocato. Ricordo che Lorenzo quell'estate ci portò in ritiro precampionato a Palma di Maiorca: ci caricammo tutti così tanto che in campionato partimmo fortissimo e dopo quattro giornate non avevamo ancora perso con due vittorie e due pareggi. Alla quinta partita il "derby". Il mio primo "derby". Ne ho giocati otto. Ne ho vinto solo uno, quello del gol di D'Amato e ne ho perso solo uno, quello del gol di Enzo e gli altri tutti pari. Anche allora era una partita diversa dalle altre, fondamentale per tutta la stagione. Dopo quel derby perdemmo ben dieci partite e sette consecutive: l'effetto Palma di Maiorca era finito!"
► Nel primo dei suoi quattro campionati giocati in serie A segnò anche un gol...
"A Bari, con un tiro da fuori area, naturalmente di destro. Un bel gol."
► In questi anni la allenava Lorenzo. Come lo ricorda?
"Lorenzo era un grande allenatore, non proprio uno scopritore di talenti ma un grande tattico, ma soprattutto con noi era schietto e corretto. Ricordo che prima di quella partita di Bari mi chiamò e mi disse: "Zanetti, tu lo scorso anno ti sei fatto fare due gol da Cicogna. Oggi non ti faccio giocare." Era vero. L'anno prima alla penultima giornata, forse perché eravamo tutti già concentrati sull'ultima partita che poi vincemmo in casa con la Pro Patria e fummo promossi, ebbene, quel giorno a Bari ne prendemmo quattro e Cicogna, un "piccolino" velocissimo mi fece vedere i "sorci verdi" segnando due gol. Ma sapevo che Lorenzo amava la schiettezza e il coraggio. Gli risposi deciso: "Mister, no! Voglio giocare, perché quello lo spacco in mezzo!" Giocai, non gli feci vedere palla, vincemmo 2 a 0 e segnai anche il primo gol! Lorenzo era così e non serbava rancore. Una volta venimmo anche alle mani ma il giorno dopo gli chiesi scusa e lui mi rispose: "Perché cos'è successo?""
► Delle sue superstizioni sappiamo tutto, ma aveva altre fissazioni?
"Era molto sospettoso. Una volta, ricordo che arrivai in ritardo a Tor di Quinto per l'allenamento del giovedì. Lorenzo, lui sì che era un ritardatario, era già lì e mi chiese una spiegazione. Gli dissi la verità e cioè che avevo portato mia moglie dal parrucchiere. E lui per tutta risposta disse: "Perché, devi uscire questa sera?" "No" risposi io. Quella stessa sera mi telefonò a casa per controllare se avevo detto la verità. Non si fidava di nessuno e vedeva spie dappertutto. Quando notava qualcuno per lui sospetto fuori dal campo diceva che aveva visto una spia, sospendeva l'allenamento o lo camuffava. Era fatto così ma a noi giocatori piaceva."
► Dei suoi compagni di quegli anni chi ricorda maggiormente?
"Beh! In otto anni ne ho visti passare! In stanza, nei ritiri, ero con Idilio Cei. Eravamo molto uniti. Era un grande portiere e un grand'uomo. Ho sofferto molto alla notizia della sua morte."
► Tempi eroici...
"Sì e ne succedevano di tutti i colori che a raccontarlo non ci si crede, cose oggi impensabili. Ci fu una partita che non tutti ricordano e che ci vide protagonisti di un fatto singolare. Era l'inizio del campionato '66-'67. A San Siro incontravamo il Milan. Si perdeva 2 a 1 dopo i gol di Rosato e Rivera e per noi di Bagatti. L'arbitro fischiò la fine e già molti di noi erano negli spogliatoi, quando qualcuno fece notare all'arbitro che aveva fischiato con tre minuti di anticipo. Fummo tutti richiamati in campo tra l'incredulità generale. Dopo dieci minuti il gioco riprese e su un lancio lungo subito Bagatti pareggiò. La partita finì tra le proteste dei milanisti e la nostra esultanza."
► Come finì la sua avventura alla Lazio?
"Purtroppo male. Dopo due anni in Serie B eravamo risaliti con un campionato eccezionale, 50 punti e primo posto in classifica. Era il '69, io ero il capitano della squadra ma avevo già trent'anni e allora a trent'anni un calciatore era considerato vecchio. Stavano arrivando i Wilson e i Chinaglia, la Lazio era pronta al grande salto che poi portò al grande Scudetto del '74. Il presidente Lenzini mi lasciò a casa. Da solo riuscii a farmi dare, dopo un tira e molla, la lista gratuita e mi procurai un ingaggio in Serie A al Lanerossi Vicenza. Però non serbo alcun rancore, ho solo bei ricordi."
► Dopo il Vicenza?
"Non fu la stessa cosa. Il calcio ad alto livello per me finì in realtà con la Lazio. Tornai da queste parti e dopo alcuni campionati in squadre minori smisi e iniziai ad allenare per un po' di anni. Ma rimasi legato alla Lazio e a molti miei compagni"
► Bene Diego. Cosa pensa della Lazio di oggi e di quello che è successo quest'anno con lo sciopero dei tifosi?
"Mah! Bisognerebbe essere lì. Lotito certamente ha il merito di aver salvato la Lazio dal fallimento ma poi è stato troppo legato a situazioni economiche. I tifosi, in particolare a Roma, vogliono vincere e i giocatori pure. Bisogna trovare una via d'intesa per il bene della Lazio. Un passo indietro da parte di tutti..."
► Chi Le piace della Lazio di oggi?
"Klose è fantastico per classe e serietà, Radu mi piace molto e se è in buona forma lo trovo tra i più forti nel suo ruolo, che era anche il mio, perché è bravo sia a difendere che ad attaccare. Tra i difensori lo scorso anno ho apprezzato molto Biava, fortissimo nell'anticipo."
► E il calcio dei Mondiali?
Rispetto ai miei tempi è cambiato tutto per i fattori velocità, pressione, marcatura e possesso palla. Oggi mancano i solisti e soprattutto l'ala classica che salta l'uomo. Spesso si preferisce passare la palla indietro, piuttosto che rischiare di perderla. Domenghini mi saltava con una finta, crossava e in area c'era sempre qualcuno pronto a tirare in porta. Inoltre ai miei tempi non c'era un vero e proprio preparatore atletico. L'allenatore ti diceva "Tu marchi quello" e noi difensori eseguivamo. Si arrivava in Serie A con le proprie forze e la propria volontà. Gli aiuti di oggi non esistevano."
► Anni indimenticabili?
"Hanno riempito la mia vita. L'ultimo mio figlio, quello che ha preso il mio posto nel Bar, è nato a Roma, a Roma abbiamo vissuto bene e la Lazio farà sempre parte di me."
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