Domenica 21 maggio 2000 - Roma, stadio Olimpico - Lazio-Bologna 5-5
21 maggio 2000 - Amichevole - Festeggiamenti per la conquista dello Scudetto
LAZIO: Marchegiani (15' Concetti, 46' Ballotta, 58' Mondini), Gottardi (46' Negro, 68' Pinzi), Mihajlovic (15' Fernando Couto), Nesta, Pancaro (46' Favalli), Conceição (46' Lombardo), Stankovic (15' Simeone), Veron (46' Almeyda), Nedved (46' Marcolin), Salas (46' S.Inzaghi), Mancini (46' Ravanelli). Allenatore: Eriksson.
BOLOGNA: Pagliuca (46' Orlandoni), Falcone, Bia, Paganin (46' Gamberini), Dal Canto, Nervo (46' Eriberto), Piacentini (46' Goretti), Zé Elias, Binotto, Kolyvanov, Signori (58' Graziani). A disposizione: Boselli, Zaccardo. Allenatore: Guidolin.
Arbitro: Sig. Bertini (Arezzo).
Marcatori: 18' Salas, 32' Mancini, 47' Signori, 56' Binotto, 62' Kolyvanov, 63' Ravanelli, 65' Fernando Couto, 71' Binotto, 73' S.Inzaghi, 75' Bia (rig).
Note: serata calda. Prima dell'inizio Beppe Signori, a nome del presidente del Bologna Gazzoni, ha consegnato una targa ricordo al Presidente della Lazio Sergio Cragnotti. Negro è premiato quale laziale più disciplinato nel corso della stagione. Cancelli aperti alle 16.00 per l'enorme afflusso di folla fuori dallo stadio.
Spettatori: 82.000 circa i paganti (biglietto unico a £. 10.000) ma presenze oltre i 90.000.
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Dalla Gazzetta dello Sport:
Certe volte anche gli orologi hanno un'anima. La Lazio era diventata campione d'Italia alle 18.04 di domenica 14 maggio. Alla stessa, identica ora, sette giorni dopo, ha cominciato a festeggiare il suo secondo scudetto. Al pomeriggio surreale di sette giorni fa ha dato il cambio un'atmosfera rilassata, felice, con i giocatori entrati in campo con mogli e figli, Eriksson finalmente senza giacca e cravatta, il bianco e il celeste mischiato al tricolore. Ma qualcuno s'è incaricato di funzionare da memoria storica recente. L'ha fatto un tifoso con la maglia del Perugia, sulla schiena la scritta: Calori. Replicata anche da un altro slogan su un'altra casacca: "Nonostante i meno 18 (i punti di distacco dalla Roma, n.d.r.) c' ho i... Calori". Calori come Calori Alessandro, tutt'altro che laziale, anzi juventino di estrazione tifosa, ma giustiziere della sua squadra da ragazzino, il giorno del temporale, metaforico e reale, del "Curi". La lista dei festeggiati, insomma, non si è fermata ai laziali... di professione. E così il primo giro d'onore è stato di Beppe Signori, venuto qui a Roma con il suo Bologna per fare da sparring partner ai campioni, sommerso da un affettuoso mucchio selvaggio in occasione del suo gol. Dunque, festa di tutti. Non è mancata anche la gag finale con Veron travestito da medico a "curare" un malcapitato Fernando Couto.
Certo la festa non ha potuto cancellare quanto si immagina sulla Lazio che verrà. E così in tribuna Tevere è comparso un affettuoso "Almeyda resta". Tra i laziali una sola assenza, quella di Alen Boksic. Peccato. E peccato anche per la delusione dei quattromila del Flaminio che hanno fatto i conti con i capricci del maxischermo per poi raggiungere gli invidiati ottantamila dell'Olimpico. Il grande protagonista della festa è stato Attilio Lombardo: parrucca gialla, microfono da animatore davanti alla curva Nord per mezzo primo tempo. Improvvisatore perfetto, ha caricato il pubblico proprio come ha fatto in campionato con la squadra. Tutti correvano da lui dopo aver segnato: scommesse, pronostici, gol che Lombardo aveva "prenotato" per i suoi compagni. C'è stato un attimo però, in cui l'ironia ha ceduto il posto a qualcosa di diverso: come se il grazie del pubblico volesse diventare più serio. E' stato quando Lombardo ha lanciato i cori per Juan Sebastian Veron, Diego Simeone (primatista all'applausometro) e Pavel Nedved: senza togliere nulla a nessuno, un po' il cuore dello scudetto. Su Simeone poi c'è da aprire una parentesi. Chiusa l'amichevole più amichevole che ci sia, è comparso Enrico Montesano, trasformatosi in Torquato, laziale centenario, raggiunto da Anna Falchi.
Poi la sfilata uno per uno. Sensini che si presenta in sidecar, Salas con la bandiera cilena, sullo schermo degli spezzoni di filmati, una sorta di cammino verso lo scudetto. Anche qui il "botto" è di Simeone quando il pubblico riconosce il preziosissimo colpo di testa vincente contro la Juve. Prima che tocchi a Eriksson: altro che jogging sui prati di Formello. E' finita con lo "scoppio" della coreografia, con le curve dipinte di tricolore e il resto in bianco e in celeste. Mentre Anna Falchi inventava un principio di spogliarello per indossare la maglia numero dieci di Roberto Mancini prima dell'arrivo del camion dello scudetto con i giocatori là sopra, a svociarsi per andar dietro a "We are the Champions". L'ultima parola era di Cragnotti: "Questa è la Lazio che sognavo, questa è la festa che sognavo". Sporcata soltanto alla fine da uno striscione ingiurioso della curva Nord contro la ministro Melandri. A pensarci bene ai tanti vincitori celebrati nella giornata forse c'è da aggiungerne un altro. Si parla - e Cragnotti lo ha fatto anche ieri sera - tanto di futuri calcistici sempre più internazionali, globalizzati, infranazionali. Eppure, se è in grado di radunare una folla del genere, se trasforma il Perugia in un Manchester United, se scatena emozioni belle o brutte così intense come ci ha insegnato il suo finale, bisogna proprio credere che la salute del caro, vecchio scudetto e del suo papà campionato non sia proprio da buttar via.
Il presidente laziale: "Ho scoperto che le feste sono stancanti, almeno quanto seguire una partita importante. Ma è bello festeggiare vittorie così importanti. Avanti così". E' un Sergio Cragnotti elettrizzato quello che assiste alla festa della Lazio, la sua festa, con tutto l'Olimpico ad applaudirlo cantando "c'è solo un presidente". Ma al di là delle feste, Cragnotti è già in moto per costruire una Lazio possibilmente ancora più forte di questa campione d'Italia. E non si nasconde dietro un dito: "Stiamo lavorando parecchio, ma il mercato entrerà nella sua fase operativa dopo lo spareggio Inter-Parma per la Champions League, di martedì". Il presidente è esplicito sull'affare Rivaldo: "E' uno dei nostri obiettivi principali sul quale stiamo lavorando da tempo. Siamo in un momento delicato di una trattativa assai complessa, dove devono coincidere le volontà". E' chiaro che la situazione del Barcellona è diversa da quella di un mese fa, quando aveva ottenuto tutti i sì. Oggi Nuñez non è più sicuro di essere il presidente del club catalano, così come la partenza del tecnico Van Gaal potrebbe convincere il fuoriclasse brasiliano a rimanere a Barcellona, dopo aver raggiunto un accordo con la Lazio. Non solo Rivaldo, Cragnotti dice la sua sull'affare Batistuta: "No, io non ho incontrato nessuno. Ma è chiaro che l'argentino vuol cambiare squadra e cerca di andare in un club che possa dargli prestigio europeo. L'Inter? Credo che l'attaccante stia aspettando proprio per capire se i nerazzurri andranno in Champions League".
Insomma Cragnotti resta in agguato per far sì che finendo all'Inter, Batistuta possa favorire il ritorno di Vieri alla Lazio. Poi Cragnotti taglia corto: "Chi non vorrebbe Vieri, Figo, Peruzzi o Batistuta? Noi però dobbiamo fare i conti col bilancio. Almeyda parte? Aspettiamo, io voglio preservare questo gruppo, che intanto abbiamo rinforzato con l'arrivo di Claudio Lopez e Baronio, quest'ultimo è molto maturato alla Reggina". Difficile parlare di partita quando attorno c'è una festa così bella e sentita. Lo hanno capito benissimo i giocatori in campo, che hanno dato spettacolo, divertendosi. E così dopo un primo tempo abbastanza serio (durato circa mezz'ora), incorniciato da uno splendido gol a volo di Roberto Mancini, nella ripresa ci si è divertiti e basta. E così Signori ha segnato su assist del vecchio compagno Marcolin, che poi ha travolto Beppe in un abbraccio a piramide insieme a tutta la Lazio. La gente ha continuato ad assecondare questo particolare spettacolo concluso da un rigore per il Bologna che invece di tirarlo direttamente ha preferito il passaggio per Bia, indisturbato autore del 5-5 che giustamente ha fissato in pari questa amichevole che più amichevole non si può. Poi, con quasi un quarto d'ora d'anticipo, l'arbitro Bertini ha fischiato la fine perché la maggior parte dei giocatori della Lazio si è impossessata dell'auto-barella guidata da Stankovic per un improvvisato giro d'onore.
Avrebbero voglia di parlare e all'infinito i protagonisti dello scudetto. Una settimana di parole, eppure c'è ancora la voglia di dire che"la gioia è grandissima", "la Lazio si meritava questa vittoria", "il prossimo anno vogliamo l'Europa", "una festa così rimarrà nel cuore tutta la vita". Roberto Mancini è ancora commosso: "Soltanto a Roma succede che uno stadio si riempia di quasi centomila tifosi. Ho vinto due scudetti nella mia vita, ma questo rimarrà come una delle gioie più belle. Una vittoria meravigliosa perché nessuno ha mollato, fino alla fine: né i giocatori, né l'allenatore, tantomeno i tifosi". Esclusiva anche la gioia di Salas: "Sono il primo e unico cileno ad aver vinto uno scudetto in Italia. Spero che questa mia esperienza alla Lazio continui per fare ancora meglio: con i miei compagni mi trovo benissimo". Sorride anche Simone Inzaghi, che non rinuncia a mandare un messaggio trasversale al CT azzurro: "Sto festeggiando io, mentre Pippo mi sta a guardare? Spero che Pippo segni così tanti gol da consentirci di vincere l'Europeo". Il più corretto? Paolo Negro al quale viene consegnata una targa-premio per aver preso una sola ammonizione in tutta la stagione: "Ne sono orgoglioso perché è difficile per un difensore meritare un simile premio. Vuol dire che sono un giocatore pulito". Il più emozionato? Beppe Signori, così laziale nonostante quella maglia rossoblû: per lui ovazioni, applausi, persino un gol offerto dai compagni della Lazio: "Sì, Marcolin mi ha dato un bell'aiuto". A Signori non va di parlare del passato né del futuro, ha soltanto un gran nodo in gola. Perché non è da tutti diventare un avversario così amato: "Tornerò a Roma? Certo, non ho intenzione di smettere di giocare, ancora per 2 o 3 anni mi toccherà venire all'Olimpico. Mi avete visto parlare con il presidente Cragnotti? Mi confermava l'invito alla festa per il centenario al teatro dell'Opera".
Il Messaggero titola: "Una serata da brividi per i campioni in festa: commozione e lacrime sciolgono anche il gelido Eriksson. L’omaggio anche a chi oggi non c’è più".
L'articolo prosegue: E' un groppo alla gola che sale piano. E diventa un urlo unico, travolgente: Campioni d'Italia. E' un altro Olimpico, una domenica dopo averlo toccato con mano, il sogno. Traboccante d'entusiasmo, di felicità pura. Niente più lacrime d'incredulità, solo un'esplosione travolgente di vitalità, un tutt'uno di bandiere biancocelestirossoverdi, uno spettacolo da brividi, accompagnato da una colonna sonora di assoluta efficacia. Nel cielo romano brilla una stella vivida, la Lazio dei sogni è in passerella, da Marchegiani, il numero 1 che ha ceduto in extremis anche lui, così serio, alle meches dorate, al codino baggesco, via via, in progressione, fino al 33 di Ravanelli, l'ultimo arrivato, il vecchio portafortuna. E' un giro d'onore senza tregua, Salas, Nesta, Simeone, Gottardi, Nedved, Veron i più applauditi, quelli che più colpiscono, per i motivi più disparati, l'immaginario del tifoso. Per tutti un abbraccio al calor bianco, solo la gente che non sa, non può sapere, prende per uno sgarbo, e fischia, l'assenza giustificata di Alen Boksic, volato in Croazia per problemi più pressanti di una festa che di diritto è anche sua.
Una grande famiglia, quella biancoceleste. Che sa cogliere il momento di tripudio, viverlo con entusiasmo quasi intimo. Era stato davvero commovente, all'inizio, l'omaggio tributato ai tanti fra dirigenti, tifosi, giornalisti, che questo momento storico avevano sognato, prima che il destino li portasse con sè: tre nomi come simbolo, Giovanni Cragnotti, Tonino Di Vizio, Mimmo De Grandis. E dolcissima l'immagine dei bambini portati sulle spalle dai papà campioni, visini imbarazzati, increduli, spersi e infine gioiosi. Un passaggio di consegne che rimbalza di generazione in generazione: in mezzo, i più strabiliati, quelli che a distanza di 26 anni possono rivivere l'emozione di uno scudetto vinto un po' per caso da un manipolo di combattenti e ribadito oggi che la Lazio è efinitivamente fra le grandi della storia, solida nelle redini di una società, di un presidente, che questo successo hanno fermamente inseguito.
Non c'era stata allora, nel '74, una festa così. Il segno dei tempi, al passo col gigantismo di questo calcio senza freni e senza confini. Ma è lo stupore della gente il filo conduttore: piovono sciarpe e bandiere, ce ne sono di cilene e di argentine, ci sono le maglie rinverdite in fretta e furia con la scritta più vagheggiata: campioni d'Italia. Tutti lì nel centro, adesso, i giocatori. Dove è atterrato poco prima il paracadutista Della Corte a simboleggiare il legame fortissimo con la Polisportiva, premiata al più alto livello nell'anno centenario. C'è gloria per tutto lo staff (e Gabriella Grassi, infaticabile segretaria, è lì in tribuna che ancora lavora per la festa-bis di stasera) e l'entusiasmo può esplodere quando anche Sven Goran Eriksson libera il suo aplomb nel giro di campo a passo di bersagliere, col sottofondo della marcetta col suo nome che ormai ha fatto il giro del mondo. Finisce in cielo anche lui, i suoi ragazzi a fargli da mollettone.
"C'è solo un presidente" può intonare adesso l'Olimpico. Sergio Cragnotti, spalla al collo, fa subito, al centro del campo, la fine di Sven, raggiante di soddisfazione. Mentre l'Olimpico si tinge davvero dei colori della vittoria: una coreografia straordinaria. Enrico Montesano non ha più voce, Anna Falchi sfoggia il corpetto e incassa la battuta: "Ma che c'hai? Due coppe dei campioni...?". Mentre lo stadio si concede lo sfottò: "La Ferilli dove sta?". Ma ecco che le luci si spengono, restano i riflettori tricolori sparati nel cielo. "We are the Champions" è la canzone che consegna alla storia ogni vittoria così importante: entra il camion scoperto e l'emozione adesso è davvero difficile da raccontare. I giocatori sono in piedi, raggianti, letteralmente trascinati sulle ali di un entusiasmo incontenibili. «E' lo scudetto di Roma e della Lazio. E' lo scudetto di voi tifosi»: Cragnotti vuol chiudere così. «Qui al Sud si vince poco, ma per quello che abbiamo costruito vinceremo tanto». Le luci si possono riaccendere su questa promessa. L'attimo non è fuggente. Chi torna a casa felice, sazio di gloria, può già darsi appuntamento al prossimo trionfo. La festa vera, se volete, è tutta qui.
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Nella serata degli applausi infiniti e delle grandi suggestioni, l'ovazione più grande è riservata a Sergio Cragnotti quando, a metà del primo tempo, si alza in piedi per rispondere al pubblico che ne incitava a gran voce il nome. Il presidente, l'artefice principale di questa grande Lazio, una super squadra costruita in 7 anni di programmi ed investimenti, viene acclamato alla stregua dei campioni in campo. Firma autografi, posa per foto ricordo, è attorniato da mani che vogliono complimentarsi. «Che fatica vincere... Quasi quasi si soffre come quando si è costretti ad inseguire in classifica. Però questa è una festa straordinaria e bisogna rispettare i ruoli, le situazioni. La stagione ci ha regalato vittorie e momenti eccezionali che sarà impossibile dimenticare e che ripagano la società del lavoro svolto in questi anni. Vedere l'Olimpico colorato da migliaia di bandiere biancoceleste, ricolomo di folla in delirio, che festeggia un traguardo atteso ventisei anni, è qualcosa che resterà per sempre nei cuori e nella mente della gente laziale».
La Coppa Italia, dopo lo scudetto. «Il tricolore ha rappresentato qualcosa di fantastico, di inatteso, soprattutto per come si erano messe le cose, ma per questo ancora più nostro. La vittoria di San Siro è stata ugualmente bella ma avevo provato emozioni più forti alla prima conquista: quello era un trofeo che apriva un ciclo di successi». Come dire che siete già abituati a vincere. «Di affermazioni ne abbiamo conquistate parecchie in questi anni, ma guardo con tanta fiducia al futuro perché la Lazio dovrà restare su questi livelli e, se possibile, migliorarsi per diventare ancora più forte». Un'annata magica nella quale, comunque, non sono mancati i momenti difficili. «Dopo la sconfitta di Valencia ho avuto un attimo di sconforto, tanti eventi sembravano giocare contro di noi, però il gruppo ha sentito forte il richiamo della società ed ha continuato a lavorare bene».
Dalla grande festa al mercato, Cragnotti è pronto a far esplodere altri botti dopo quello di Claudio Lopez. «La Lazio osserva, ha tante possibilità di scelta, poi deciderà cosa fare. Il mercato vero comincerà dopo lo spareggio fra Inter e Parma e sarà pilotato dalle solite sei-sette grandi società». Si parla tanto di Batistuta, anche in chiave Lazio. «Noi - lo ripeto - siamo interessati a tutti i campioni che possono cambiare squadra. Batistuta ha deciso di lasciare Firenze e credo voglia giocare per grandi obiettivi, come la Champions League. Lui merita la vetrina più prestigiosa». Veniamo a Rivaldo. «E' un altro obiettivo della Lazio ma per ingaggiarlo dovranno incrociarsi diverse volontà. Per il momento abbiamo riportato a Roma il giovane Baronio, che molto bene ha fatto nella Reggina, ma il bello deve ancora arrivare». Almeyda, però, sembra destinato a partire. «Niente è ancora definito anche se, nell'ambito di una campagna acquisti, ci può anche stare qualche sacrificio tecnico, ma non abbiamo alcuna intenzione di indebolire la formazione che sarà sempre più forte».
La voglia di gol è stata soddisfatta, anche se sembrava di giocare in una gigantesca discoteca all'aperto, con Attilio Lombardo, detto Popeye, dj improvvisato. Un'occhiata al campo, per un'accelerazione di Nedved, una chiusura di Nesta, un cross di Sergio Conceicao, un dribbling di Signori, ma l'attenzione sempre calamitata dallo spettacolo sugli spalti. Per un tempo, accorciato a 35 minuti, Lazio e Bologna hanno almeno provato un'esibizione, con i campioni nell'inedito ruolo di globetrotters: Mancini ha offerto a Salas il pallone del vantaggio, poi ha chiuso con il calcio giocato realizzando da par suo, con un destro al volo che ha strappato l'ovazione. Neanche un fallo, naturalmente. L'arbitro Bertini a passeggiare inoperoso, i guardalinee impegnati a segnalare solo il macroscopico.
Eriksson ha alternato tutti, assente il solo Boksic (in Croazia per problemi familiari), il Bologna ha assolto con assoluta disponibilità al ruolo di sparring-partner. Poi, nella ripresa, ha preso il sopravvento la sacrosanta ironia. Lombardo in parrucca dorata, Couto centravanti, Marcolin uomo-assist per Signori, che ha segnato ed è stato sommerso dall'abbraccio dei suoi vecchi amici laziali. Prima di chiudere, emozionatissimo, in un applauditissimo giro di campo terminato sotto la Nord: per lui, che questo scudetto ha contribuito a preparare, un pieno d'affetto senza precedenti. Hanno segnato ancora Dal Canto e Kolyvanov, fra una traversa e l'altra. Poi Ravanelli, Couto, Binotto e Inzaghino, per gentile concessione delle rispettive difese, hanno rimpinguato il bottino, strappando l'urlo della folla divertita, che ha chiamato uno per uno i propri beniamini. Mentre Paolo Negro, una sola ammonizione in questo campionato, riceveva il premio alla correttezza, che è pure un attestato alla sua fedeltà alla maglia. Abbracci anche per l'arbitro, quando ha assegnato il rigore del pareggio bolognese (5-5 il comico finale), tirato a due e realizzato da Bia. Per la passerella improvvisata, pensate un po', sulla barella mobile, per una volta votata al sorriso.
"Giubileo biancoceleste: a Roma solo la Lazio, quanno ve passa". La festa nella festa è quella sugli spalti. Striscioni e incitamento da parte del capo ultras per un giorno Attilio Lombardo pronto a lanciare i cori della curva. Uno per Marchegiani, ossigenatissimo, uno per Nesta sino all'applauso generale per Sergio Cragnotti. Tante, tantissime le imponenti scritte. Sotto la Nord alta due metri e lunga sessanta: "Campioni d'Italia, padroni di Roma" ed in curva una dietro l'altra: "Cragnotti imperatore, ci hai portato il tricolore". Battute a distanza per la Ferilli che aveva promesso di spogliarsi all'Olimpico in caso di tricolore giallorosso: "A Ferilli, daje e daje gira che ce la fai vede...". Qualcosa di più forte con il trascorrere dei minuti: "La purga ha fatto effetto: tre coppe e uno scudetto". Scorrono i fotomontaggi sui megascreen: Simeone è Terminator, Conceicao è Superman, Nesta un gladiatore. La gente laziale applaude, la musica da discoteca accompagna la gara ma prima c'è stato tempo anche per non dimenticare chi ha vissuto ogni momento per la Lazio: da Giovanni Cragnotti ai super tifosi Tonino Di Vizio, Fernanda, Cupido e Maciste.
Sandra Milo cerca affannosamente nella borsa. Prende una penna ed il biglietto d'ingresso con su scritto Lazio Campione d'Italia. Si mette ad urlare verso Sergio Cragnotti che si ferma. «Un autografo, un autografo in questo giorno memorabile!». Il presidente della Lazio firma, saluta e lancia un sorriso smagliante come il tricolore che ha appena vinto. La tribuna Vip biancoceleste è nutrita. Qualcuno con ruoli ufficiali, come Enrico Montesano chiamato a condurre una serata di gala davanti ai ottantamila di un Olimpico completamente biancoceleste. I coniugi Fini sono uno accanto all'altro. Gianfranco non fa in tempo a dire che non è una festa se non segna Signori che il biondino va in gol. «E' una festa nella festa per Beppe, per i laziali ma soprattutto per la città di Roma». Lo scudetto biancoceleste è stato vissuto in casa intensamente. «Ho una moglie ed una figlia lazialissimi». Daniela trova il tempo anche per mandare una frecciata a Francesco Storace, neo presidente della Giunta regionale: «Si deve essere confuso qualche tempo fa quando ha detto che è stato vinto lo scudetto dalla seconda squadra della capitale: la Lazio è la prima squadra di Roma». Gianfranco, li accanto, sorride. Poco più su Pino Insegno laziale fino alla commozione. «Una gioia così l'avevo provata solo il 9 gennaio quando è nato mio figlio....».
Una data a caso. «Mi sento come l'aquila reale, volo alto nel cielo». Protagonista assoluto con la Premiata Ditta Pino Insegno ha vinto un derby anche con il collega Ciufoli. «Lui come tutti i romanisti è stato molto sportivo, abbiamo scherzato e saluto tutti cordialmente». Anna Falchi, laziale dell'ultim'ora che ha fatto venire il batticuore a Giuseppe De Mita ieri mattina quando lo è andato a prendere a casa, è in campo al fianco di Montesano. E forse per rispondere a Sabrina Ferilli (aveva promesso uno spogliarello se la Roma avesse vinto lo scudetto) ha dato il via ad un mini strip: si è tolta la camicia, è rimasta per una decina di secondi in reggiseno, bianco e molto sexi, quindi si è infilata la maglietta di Mancini. Applausi. Lei saluta: «Il calore di questa gente è incredibile...». Biondissima ed altra donna che ha fatto da sempre sognare gli italiani, ecco Sandra Milo: «Erano quattro anni che non venivo a vedere la Lazio». L'attrice si ricorda tante storie biancocelesti. «Lo scudetto del ’74, le lacrime quando andò via Giordano e adesso questa grande vittoria. La storia della Lazio è bellissima, è fatta di salite e discese e per questo è più bello gioire». Stefano Pantano, campione del mondo di spada, aveva festeggiato il primo oro nove anni fa con una battuta: «Dissi che solo lo scudetto della Lazio mi aveva dato una gioia più grande. E' incredibile vivere ancora questi momenti». Toni Malco e Aldo Donati sono sugli spalti commossi a due passi da Gigi Martini. Sono convinti che la loro voce accompagnerà ancora tante vittorie laziali.
Sfilano via via come eroi. La gente non ha dubbi: i protagonisti del secondo tricolore della storia della Lazio meritano l'ovazione. Roberto Mancini, ha indossato per l'ultima volta la maglia numero dieci biancoceleste. «Una giornata memorabile dopo un'annata altrettanto eccezionale. Nessuno di noi ha mai mollato, tutti ci hanno creduto fino all'ultimo istante dai giocatori ai tifosi». L'ex doriano oggi a Formello terrà l'ultima conferenza stampa da giocatore nella quale si congederà e annuncerà di aver accettato l'offerta di Cragnotti per fare il vice di Eriksson nella prossima stagione. «E' stato incredibile vincere a Roma. Per me era il secondo scudetto ma una giornata così è forse il giorno più bello della mia vita». Poco più in la sfila Marcelo Salas. Tutte le trattative di mercato lo vogliono protagonista e lontano da Roma. «Non capisco come mai succeda questo. Io non voglio andare via. Mi trovo benissimo con questi compagni e voglio restare». Parole dette con i segni della vittoria ancora evidenti: colpi di sole all'ultima moda. «Sono l'unico cileno ad aver vinto uno scudetto in Italia ed è motivo di orgoglio per me e per tutto il mio paese. Certi momenti rimarranno pers empre impressi nella mia memoria e in quella di mia moglie che in Cile ha vissuto momenti bellissimi grazie alla Lazio». La gente lo apprezza ed è tra i più festeggiati.
Da attaccante ad attaccante. Simone Inzaghi è stato il bomber più prolifico di una stagione da incorniciare. «Dopo il primo anno in serie A credo di aver fatto bene». Timido, pacato ma sempre pronto a mandare un pensiero al fratello al quale ha sfilato il tricolore dal taschino. «Pippo non è felicissimo per come si è concluso il campionato ma sono certo che con i suoi gol festeggerà la vittoria dell'Europeo con la maglia azzurra». Un augurio importante dopo una stagione che ha visto i due Inzaghi battersi in un duello a distanza senza esclusione di colpi. «L'obiettivo è continuare così per tanto tempo. Sono giovane». Tempo per aspettare anche nuove convocazioni in nazionale. Unico assente alla festa laziale, Alen Boksic che ieri non era all'Olimpico. Alla festa ha voluto partecipare, sia pure a distanza, anche Roberto Baronio, che ha ufficializzato il suo ritorno alla Lazio. «Da ieri sono tornato e ne sono contento e orgoglioso. Al solo pensiero di giocare con il tricolore mi emoziono. Con Veron posso giocare, lui spazia per tutto il campo io parto da dietro».