Vaccaro Giorgio
Biografia[modifica | modifica sorgente]
Giorgio Vaccaro nasce a San Marzanotto d'Asti (AT) il 12 ottobre 1892, deceduto a Roma il 25 settembre 1983 e sepolto nel piccolo cimitero di Finalborgo, una frazione di Finale Ligure (SV). Giunto in giovane età a Roma, si può considerare romano a tutti gli effetti. In gioventù pratica diversi sport tra cui il calcio (nelle giovanili della Juventus), pugilato, la scherma ed il ciclismo (corse addirittura con Girardengo) con ottimi profitti. Fu anche uno dei fondatori della Sezione Rugby della Lazio.
Giovane atleta e combattente[modifica | modifica sorgente]
Durante la Prima Guerra Mondiale parte per il fronte dove ottiene la medaglia d'argento per le azioni compiute in battaglia. Dopo il conflitto aderisce al Partito Nazionale Fascista dove scala diverse gerarchie e ritorna a Roma, dopo alcuni anni di lontananza, nel 1922 per rimanerci stavolta stabilmente. Nonostante la carriera militare, il Luogotenente Generale della Milizia Giorgio Vaccaro non dimentica l'amore per lo sport ed in pochi anni ricopre numerose cariche: da consigliere nella Federazione Italiana Scherma a presidente di quella del Rugby. Nel 1926 viene nominato consigliere della F.I.G.C. ed in seguito segretario generale del C.O.N.I., carica che manterrà fino al 1939.
Nel 1920 divenne socio della Lazio, polisportiva che incarnava in pieno i suoi ideali di sport ed aveva in Olindo Bitetti un amico fraterno. Il 5 maggio 1933 succede a Leandro Arpinati alla presidenza della F.I.G.C. organizzando con successo i Campionati del Mondo in Italia nel 1934. Nel 1939 diviene anche membro del C.I.O. Praticamente ha in mano tutto lo sport nazionale grazie alla sua competenza ed organizzazione che fanno dell'Italia un Paese all'avanguardia in quegli anni.
Il rifiuto della fusione[modifica | modifica sorgente]
Nella primavera del 1927 il Partito Fascista dà ordine al Federale Foschi di creare una nuova squadra che portasse il nome della Capitale, assorbendo in un'unica società tutte le squadre della città di Roma. Un inquietante telegramma giunse anche alla sede della Lazio, con "l'ordine di presentarsi dal Federale Foschi per importanti comunicazioni". Olindo Bitetti capì subito il pericolo che stava correndo la Lazio e si recò subito dall'amico Vaccaro per chiedere aiuto e scongiurare la fusione. Vaccaro prese immediatamente sul serio la faccenda capendo che il vero scopo di Italo Foschi era quello di assorbire la Lazio perché era l'unica ad avere uno stadio degno della massima serie. Consigliò così a Bitetti di indire un'assemblea immediata in cui nominare lui stesso Vicepresidente, mentre alla presidenza generale già dal 19 giugno 1926 era stato eletto il prestigioso federale Nicolò Maraini.
Lo scopo di questa mossa era semplice ed acuto: se Foschi avesse trattato solo con degli sportivi avrebbe avuto partita vinta; diverso comportamento avrebbe avuto se si fosse trovato davanti due potenti Federali come Vaccaro e Maraini. Il colloquio si svolse pochi giorni dopo e non poca fu la sorpresa di Foschi quando si trovò di fronte lo stesso Vaccaro e il presidente Maraini, estremamente potente politicamente. I tre si misero subito a tavolino e Foschi illustrò il suo progetto: "La squadra si chiamerà Associazione Sportiva Roma, i colori saranno quelli dell'Urbe: il giallo ed il rosso, ed il campo sarà quello della Rondinella".
Era previsto che nessun giocatore della Lazio sarebbe stato assorbito dalla neonata società. Praticamente la Lazio non sarebbe più esistita finendo inglobata dalla nuova entità sportiva. A questo punto Vaccaro cominciò a parlare pacatamente con un sorriso beffardo e serio allo stesso tempo: "Foschi, la Lazio è Ente Morale dal 1921 per Regio Decreto, con una sua storia, quindi non può scomparire. Se proprio vogliamo creare una nuova società, ben venga, ma il suo nome DEVE essere Lazio, i colori bianco e azzurro e il campo la Rondinella".
Foschi capì subito che non c'era nulla da fare e cercò di fare buon viso a cattivo gioco. Vaccaro comunque aggiunse che due squadre nella Capitale erano un bene sia per la competizione, sia per la sana rivalità sportiva nella città. La fusione venne così scongiurata e quando nel luglio dello stesso anno nacque a tavolino la Roma, la Lazio era ad allenarsi al campo della Rondinella per iniziare la sua 27^ stagione sportiva.
Presidente per pochi mesi[modifica | modifica sorgente]
Vaccaro nel corso degli anni trenta seguiva la Lazio con passione e competenza e sempre con l'equilibrio e l'imparzialità che il suo ruolo gli imponeva. Accadde anche che dovette difenderne l'onore e la reputazione di un suo giocatore. Successe in una sera di marzo del 1930: Ezio Sclavi era stato convocato in Nazionale ma la stampa romana, non tenera con la Lazio, aveva scritto parole non certo amichevoli su questa scelta del C.T. della Nazionale. Sclavi era venuto a sapere per vie traverse che era stato Eugenio Danese l'autore di un articolo dissacratorio su di lui e una sera a Piazza Colonna, dove veniva appeso un cartellone con tutti i risultati delle gare del campionato, gli saltò al collo e lo schiaffeggiò. Danese, due giorni dopo, sfidò a duello Sclavi che, essendo fuori Roma, non sapeva nulla di tutto ciò. La lettera di sfida fu recapitata a Vaccaro che l'accettò. Appena Ezio Sclavi venne a conoscenza di quanto accaduto, dapprima tentennò: Danese, infatti, era un abile spadaccino, mentre lui non sapeva nulla di scherma e mai aveva preso una sciabola in mano. Vaccaro prima convinse Sclavi ad accettare la sfida che valeva sia per il suo onore che per quello della Lazio e poi non si perse d'animo, ed "allenò" personalmente il portiere dandogli i primi rudimenti di scherma assieme allo schermitore Rasse.
Il 30 marzo 1930 a Grottarossa, luogo prescelto per il duello, Vaccaro si presentò assieme a Sclavi. Danese, convinto di infilzare il malcapitato portiere al primo assalto, si era procurato una lussazione al polso giocando a tennis il giorno prima. Alla fine però Danese fallì l'assalto e fu toccato dal calciatore che gli procurò una piccolissima ferita da cui sgorgò una goccia di sangue. Tanto bastò per chiudere il discorso, con Ezio Sclavi vincitore che seppe pochi giorni dopo che non era stato Danese a scrivere quell'articolo, bensì un altro giornalista: Ennio Mantella. Vaccaro aveva vinto di nuovo, per lui l'onore del giocatore e della Lazio veniva prima di ogni altra cosa e mai avrebbe rifiutato il duello perché sarebbe stato sintomo di codardia, vocabolo ignoto al suo modo di essere: soldato e sportivo leale.
Un altro fatto eclatante, di cui Vaccaro fu protagonista, accadde il 24 maggio 1931 nel derby che Lazio e Roma stanno pareggiando per 2-2. A pochi minuti dalla fine la palla finisce a lato proprio davanti a Vaccaro che segue la gara da fondo campo. Il romanista De Micheli cerca di prendere il pallone per la rimessa laterale ma Vaccaro dà un calcio al pallone allontanandolo. A questo punto il giocatore della Roma si avventa verso il Console schiaffeggiandolo. Vaccaro reagisce con un violento ceffone scatenando una rissa che l'arbitro Garna derime a fatica fischiando la fine della gara immediatamente. Ma quando sembra che gli animi si siano calmati, ecco che scoppia una battaglia in campo e sugli spalti fra tifosi, giocatori e dirigenti delle due squadre. Devono intervenire i carabinieri a cavallo e solo dopo alcune cariche la situazione viene a fatica ristabilita. Il giudice sportivo punirà pesantemente le due squadre. Alla fine della guerra Vaccaro fu messo sotto processo per il ruolo svolto nelle istituzioni fasciste e venne incarcerato a Cogliano. Tuttavia la sua prigionia fu di brevissima durata. Egli si era soprattutto occupato di sport e non si era macchiato di alcun delitto. Addirittura, a comprova di quanto l'amore per lo sport superasse ogni ideologia politica, riuscì a mandare il ginnasta Egidio Armelloni alle Olimpiadi di Berlino, nonostante fosse stato condannato a due anni di prigione dal Tribunale Speciale fascista perché appartenente al Partito Comunista Italiano.
Nel dopoguerra la vita di Vaccaro si svolse sempre all'interno della Polisportiva Lazio, sebbene fosse socio anche della Canottieri Aniene, fino ad essere eletto Presidente della Sezione Calcio il 29 ottobre 1964. Ma la crisi economica della società, culminata con l'ammutinamento nel ritiro di Pievepelago nell'estate del 1965, quando non si trova un accordo per il rinnovo dei contratti, lo porta alle dimissioni presentate ed accettate dal consiglio, il 4 agosto dello stesso anno. Nel 1974 ha la fortuna di vedere la sua Lazio vincere il campionato e salire sull'Olimpo del calcio dopo che nel 1937 aveva sfiorato lo Scudetto. Il Generale muore a Roma il 25 settembre 1983 dopo una vita spesa per lo sport e per la Lazio.
Il Generale, presidente della F.I.G.C., consegna al capitano del Bologna il premio per la vittoria del campionato 1938/39
Con la Nazionale azzura prima della leggendaria partita di Highbury
Da Il Calcio Illustrato
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