Domenica 15 novembre 1964 - Roma, stadio Olimpico - Lazio-Roma 0-0
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15 novembre 1964 - Campionato di Serie A 1964/65 - IX giornata
LAZIO: Cei, Zanetti, Dotti, Carosi, Pagni, Gasperi, Piaceri, Christensen, Petris, Governato, Mari. All. Mannocci.
ROMA: Cudicini, Tomasin, Ardizzon, Carpanesi, Losi, Schnellinger, Leonardi, De Sisti, Nicolè, Angelillo, Tamborini. All. Lorenzo.
Arbitro: Righi (Milano).
Note: cielo coperto, terreno buono. Leggero incidente a Christensen. Ammonito Zanetti al 29'. Angoli: 2-0 per la Lazio.
Spettatori: 46.696 paganti per un incasso di £. 54.600.000 (nuovo record per la Lazio).
► Il Corriere dello Sport titola in prima pagina: “Bianco di paura!”. “All’Olimpico il veleno della vigilia avvilisce il gioco (ma i laziali possono brindare contro il “traditore”). Lazio-Roma zero a zero: l’occasionissima l’ha sciupata Petris”. Nel titolo dell’articolo di cronaca: “Disoccupati i portieri”. “60 milioni di incasso per la battaglia “super tattica” tra Lorenzo e Mannocci: Lazio-Roma 0-0”
È stato un derby dominato dalla paura di Lorenzo. L’altro, Mannocci, ha giocato, sì, con estrema prudenza, ma non ha rinunciato a nulla, ha sbagliato anzi, con il solito Petris al 28’ del secondo tempo, l'occasione più clamorosa della partita. Lui, il “mago” ex biancazzurro, ha giocato soltanto per non perdere, cioè per sé stesso, per non compromettere la sua fama e la sua gloria romana, che avrebbero potuto essere irrimediabilmente scosse da una sconfitta proprio contro la Lazio. A tal punto che la Roma ha addirittura regalato alla Lazio tutto il primo tempo pur di non rischiare e solo timidamente ha tentato di combinare qualcosa nella ripresa.
È stato, insomma, un derby “freddo” dopo l’inconsueto calore che ne aveva caratterizzato la vigilia. Gioco autentico non ce n’è stato, o quasi, perché la parola d’ordine è stata sempre di interrompere le iniziative dell’avversario. Sarebbe anche ingiusto, comunque, affermare che è stata una partita insignificante e noiosa, perché le hanno dato tono lo spietato ma perfetto gioco delle marcature ed un elevato livello atletico ed agonistico.
L’anti-mago, Mannocci, ha indovinato tutte le mosse anti-Lorenzo ed ha sbagliato soltanto a rispolverare Petris come arma segreta. Era una carta da giocare, d’accordo, se non altro per il nome del giocatore e per sollecitarne l’orgoglio. Ma Petris ha denunciato ancora una volta il suo attuale stato precario ed è stato una palla di piombo al piede della svelta manovra biancazzurra, non solo per il possibile gol che ha fallito, ma soprattutto per l’impaccio che ha mostrato e che ha trasformato la giornata di Losi e di Schnellinger in una passeggiata tranquilla.
Mannocci ha azzeccato in pieno, però, il colpo Carosi-Governato (e poi Zanetti) contro De Sisti-Angelillo. Il ritorno di Carosi, anzi, è stato a nostro avviso la chiave del gioco biancazzurro. Aggressivo e scorretto finché si vuole, Carosi è stato l’uomo del 65° derby. Egli ha commesso anche un gesto imperdonabile: il fallo, cioè, ai danni di Schnellinger al 17’ del secondo tempo, che, con un arbitro più energico, avrebbe anche potuto costargli l’espulsione; e più di un suo intervento ha sfiorato i limiti del lecito.
A conti fatti, però, il suo contributo è stato determinante nell’economia della Lazio. De Sisti, che è da un pezzo il “cervello” della Roma, si è visto poco o niente, bloccato con le buone e con le cattive. Non basta. Spesso Carosi ha rimediato anche per gli altri con un coraggio e con una decisione che debbono essere soltanto un po’ moderati per non sconfinare nella violenza. Né il nostro può essere considerato un elogio della scorrettezza. Era un derby, il più sentito dei derbies. E, ad eccezione del già deprecato intervento su Schnellinger, Carosi l’ha giocato come meglio ha potuto.
Governato ha sovrastato Angelillo nel primo tempo (meno pochi minuti), senza il minimo fallo, ma con stile superiore. Ed anche nella ripresa, con Zanetti, Angelillo, oltre tutto impiegato male, non è riuscito a prendere il sopravvento.
Perciò la Roma è rimasta in trappola. Fermati De Sisti ed Angelillo, non si potevano pretendere miracoli da un Tamborini che può fare la spalla, mai il primo attore (e che ci è sembrato anche un po’ logoro per gli sforzi fin qui sostenuti) o da un Carpanesi impegnato allo spasimo per non lasciarsi scappare il diabolico Christensen. Cosicché Nicolè è stato abbandonato al suo destino, facile preda di Pagni e di Gasperi. Né Leonardi ha saputo stavolta liberarsi della guardia attenta e robusta di Dotti.
La ridotta efficienza della prima linea giallorossa ha logicamente consentito alla Lazio di azzardare. Anche il “muro” fatto da Mannocci, però, ha limitato le “chances” biancazzurre, perché, come già abbiamo detto, Losi e Schnellinger hanno annientato Petris e Ardizzon ha messo il bavaglio all’insidioso Piaceri.
Per Cudicini e per Cei, dunque, i pericoli sono stati insignificanti: per la Roma la unica palla buona l'ha avuta Angelillo da un cross di Losi al 40' del primo tempo, non è riuscito a colpirla come avrebbe dovuto; per la Lazio avrebbe potuto segnare Petris al 28' della ripresa dopo una corta respinta di Cudicini su punizione di Piaceri, ma l’ex fiorentino ha sparato ad occhi chiusi sull’esterno della rete.
Uno zero a zero giusto, dunque, che ha ripagato la Roma con la stessa moneta che i giallorossi hanno dato alla partita e che ha premiato l'ardore e la volontà della Lazio. È difficile stabilire chi è che ha perso e chi è che ha guadagnato un punto. Le partite sono come nascono e come si svolgono ed è impossibile prevedere come avrebbero potuto essere. L’impressione, però, è che soltanto la Lazio abbia espresso il massimo delle sue possibilità. Di ciò bisogna dare atto a Mannocci, che non si è lasciato incantare dall’astuta pretattica dell’avversario, ma ha capovolto la situazione fino a costringere il “nemico” a subire ciò che avrebbe voluto imporre.
È facile, è vero, parlare “dopo”. Noi pensiamo però di poter dire, per ciò che abbiamo scritto anche “prima”, che è stato un errore sacrificare Francesconi, l’unico giallorosso che, con i suoi difetti ed i suoi limiti, ha il coraggio, oltre alla capacità, di tirare in porta. Era logico prevedere, infatti, che per vincere la Roma avrebbe dovuto giocare una partita di attacco. Perciò il posto di Francesconi avrebbe potuto e dovuto essere occupato soltanto da Manfredini, mai da Tamborini. L’impossibilità di manovrare sulle ali (perché anche Leonardi ha una concezione approssimativa del gioco di ala pura) è stata la maggiore lacuna giallorossa.
Né Lorenzo ha avvertito — lui sempre pronto ad afferrare la situazione — l’opportunità di spostare Nicolè sulla destra e di spingere sul centro Angelillo. Avrebbe potuto essere la sola mossa capace di sbloccare lo zero a zero ed è stata invece solo abbozzata nel finale. Tamborini, invece, è stato un pesce fuor d’acqua. Angelillo e De Sisti, si è detto, sono rimasti soffocati. Nicolè e Leonardi hanno fatto quello che hanno potuto, cioè poco poco.
I migliori romanisti sono stati quelli della retroguardia, con l'imbattibile Schnellinger in testa e con l’inesauribile Losi al suo fianco. Anche Tomasin e Ardizzon hanno fatto buona figura. Carpanesi, invece, ha un po’ stentato. E Cudicini non ci è mai sembrato sicuro, nonostante il limitato impegno. Una Roma, insomma, che ha accusato più del previsto il peso della responsabilità del suo allenatore.
Anche i più bravi della Lazio sono stati i terzini ed i mediani. Oltre a Carosi, meritano un elogio Pagni, attento e deciso, Gasperi, sempre pronto a tamponare per chiunque, e Governato, calato solo alla distanza, anche perché disturbato dalla “marcatura” di Tamborini. Zanetti, spaesato all’inizio, è cresciuto non appena ha preso in consegna Angelillo. Senza errori la comoda partita di Cei. Ottimo anche Dotti. Christensen, toccato duramente nei primi minuti, ha avuto la forza ed il coraggio di stringere i denti e di arrivare fino in fondo. Mari ha svolto una notevole azione di disturbo, ma non è mai riuscito ad inserirsi anche nella manovra. Piaceri è rimasto spesso troppo solo, perché Petris non ha mai saputo assecondarlo.
Righi ha avuto l’intelligenza di farsi notare meno che ha potuto e, tutto sommato, si può dire che ha arbitrato bene, ma avrebbe dovuto intervenire con maggiore decisione sul fallo di Carosi ai danni di Schnellinger.
La partita ha avuto, per la prima volta quest’anno all’Olimpico, una grande cornice: oltre 46.000 paganti per un incasso di quasi sessanta milioni. Signori dirigenti di Lazio e Roma, un pubblico simile meriterebbe molto di più.
► La Stampa titola nel suo articolo di cronaca: "Lazio-Roma fermate (0-0) dalla paura di perdere". "Più agonismo che gioco nel derby della capitale. - Gli attaccanti delle due squadre non sono riusciti a superare gli schieramenti difensivi. - Nicolè, comunque, ha confermato di essere in ripresa".
Le aspre polemiche che hanno preceduto il derby romano hanno finito per creare molto nervosismo fra i giocatori delle due squadre, con il risultato di pesare in modo determinante sul gioco dei 22 atleti. La paura di perdere, infatti, ha indotto Mannocci e Lorenzo ad adottare un identico schieramento ermetico che badasse soprattutto a non far avvicinare alle rispettive aree i tre o quattro attaccanti che vagavano solitari per il campo. La noia e la delusione hanno finito per sconcertare anche i più accesi tifosi accorsi in massa, rumorosi come sempre, con stendardi, trombe, bandiere. E' vero che queste partite sono importanti, che occorre affrontarle con prudenza, ma lo spettacolo del non gioco che hanno saputo offrire Roma e Lazio ha superato ogni limite e merita un atto di accusa che mantiene inalterata tutta la sua legittimità anche quando si avanza la giustificazione che è vietato perdere un derby. Questa premessa avrà già fatto capire a sufficienza come di emozioni ce ne siano state ben poche.
La Roma, con Tamborini falsa ala e in realtà mediano, con Angelillo e De Sisti a centro campo, aveva ridotto ogni sua possibilità offensiva lasciando Nicolè e Leonardi a fronteggiare l'affollata area laziale. Nicolè anche ieri ha ribadito di essere seriamente avviato sulla strada della rinascita; ha vinto quasi tutti i duelli con Pagni, ma veniva poi inesorabilmente bloccato dagli altri difensori che sorgevano come funghi sul suo cammino. Sul fronte laziale, la stessa musica; Petris e Piaceri, benché sorretti da un Christensen che doveva marcare Carpanesi e nello stesso tempo proiettarsi in avanti, hanno finito per essere facile preda di Schnellinger e compagni.
Nella ripresa la Roma dava l'impressione di disancorare la sua azione difensiva e Lorenzo mandava avanti Angelillo. La Lazio è parsa in difficoltà e si è pensato che se i giallorossi avessero continuato ad insistere la vittoria non avrebbe potuto sfuggir loro. Ma sono bastati pochi minuti per convincere i romanisti di aver evidentemente osato troppo, e tutto è tornato come prima.
Comunque, per ribadire che Lorenzo stavolta ha sbagliato, proprio in questo periodo la sua squadra ha sfiorato il goal. Scendeva velocissimo Leonardi e da fondo campo crossava alla perfezione; respingeva corto Dotti, arrivava in corsa De Sisti che calciava violentemente da distanza ravvicinata, ma Cei era bravissimo a parare in due tempi. Dopo questa azione il gioco era di nuovo latitante: lasciava il posto ad un acceso agonismo che ha fatto registrare più di una grave scorrettezza come quella di Carosi su Schnellinger che avrebbe dovuto essere punita con l'espulsione del laziale. Altra emozione al 27': Angelillo ricevuto un bel pallone da De Sisti entrava in area tutto spostato sulla sinistra e, con Cei battuto, lasciava partire un tiro diagonale che sfiorava il palo.
Svanito il timore che la Roma avesse voluto davvero insistere per far sua la gara, i biancoazzurri si rianimavano e potevano così dar vita a qualche bella azione che portava però impresso soprattutto il marchio dell'agonismo. Anzi, in verità è sembrato che l'eccessiva esuberanza dei laziali avesse impedito alla Roma di avvalersi del gioco classico dei vari Angelillo, De Sisti, Carpanesi, che hanno badato soprattutto a difendere le gambe.
Visto comunque l'andamento del gioco, il goal non poteva giungere che in seguito ad una punizione o ad uno sbaglio di qualche difensore. E infatti proprio in seguito ad un calcio piazzato battuto da Piaceri, la squadra biancoazzurra ha avuto a portata di mano la grande occasione. Sul tiro rasoterra dell'attaccante. Cudicini respingeva di pugno, la palla veniva prontamente raccolta da Petris che tirava, il portiere giallorosso respingeva ancora e incredibilmente Petris, a un passo, mandava sull'esterno della rete. Ma è giusto che sia andata così. Uno zero per ciascuna è quello che si sono meritate entrambe le squadre.