Sbardella Antonio

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Antonio Sbardella arbitro
Sbardella ai tempi della Lazio
Sbardella in attività
Antonio Sbardella
Marzo 1975: parole dure contro la Lazio in una intervista al Guerin Sportivo

Biografia[modifica | modifica sorgente]

Arbitro, nato a Palestrina (RM) il 17 ottobre 1925 e deceduto a Roma il 14 gennaio 2002. Portiere delle minori e Dirigente biancoceleste negli anni '70 e '80.

Un arbitro di polso[modifica | modifica sorgente]

Negli anni '60 e '70 Antonio Sbardella e Concetto Lo Bello erano i due arbitri di punta del nostro Campionato. Due grandi arbitri, temprati pure da polemiche e discussioni che non mancavano anche allora, capaci di dar vita a una rivalità assai enfatizzata in un Paese come il nostro, sempre sensibile ai dualismi che i due protagonisti vissero sempre con grande rispetto e correttezza. Il top della sua carriera arbitrale, Sbardella lo raggiunge ai mondiali di Messico '70, quando diresse la finale per il terzo e quarto posto tra Uruguay e Germania, perché gli azzurri di Valcareggi gli sbarrarono la strada della finalissima, che sarebbe spettata di diritto al direttore di gara, premiato con il Fischietto d'Oro come miglior arbitro del torneo.

Con la giacchetta nera comincia l'attività nel 1950, quando la frattura all'omero e alla clavicola gli preclude l'attività di portiere. A causa del suo carattere irruento, è ricordato come arbitro anche per episodi non molto felici, come il record di cinque espulsi della Turris nella gara contro la Reggina che scatena una violenta invasione di campo dei tifosi campani. A Palermo, invece, Sbardella subisce un vero e proprio assedio dopo la partita col Napoli, che sarà ricordata per il salvataggio da parte di un elicottero dei Carabinieri che preleva l'arbitro sul campo. A otto anni dal suo debutto arbitrale in Serie B (in Novara-Brescia) nel 1959, debutta in Serie A in Fiorentina-Atalanta. Cinque anni dopo, nel 1964, diventa internazionale. Al termine della stagione 1966/67, Sbardella ottiene il Premio Mauro quale migliore arbitro in attività. Complessivamente dirige 167 partite di Serie A e ben 70 incontri internazionali. Dopo vent'anni Sbardella conclude la sua carriera arbitrale e comincia quella di dirigente.

Dirigente biancazzurro[modifica | modifica sorgente]

Sbardella è chiamato da Lenzini il 27 maggio 1971 per ricostruire la squadra dopo la tremenda stagione 1970/71 che vede i biancazzurri retrocedere tra i cadetti. E' lui a contattare Tommaso Maestrelli e portarlo a Roma sulla panchina laziale. Fa subito capire di che pasta è fatto, riportando ordine in Società e squadra. Usa il pugno di ferro con Giorgio Chinaglia quando questi chiese di essere ceduto e lo deferì alla disciplinare facendolo tornare immediatamente nei ranghi. Si scontra spesso con Umberto Lenzini accusandolo di "buonismo", come a Terni nel 1971 quando la squadra si ammutina e rifiuta di partire per il ritiro, perché non erano stati pagati i premi per la qualificazione in Coppa Italia. Lui avrebbe voluto deferire tutti, mentre il presidente arrivò ad un compromesso. Fu in questi anni il periodo di maggiore soddisfazione come dirigente di club. Riuscì a costruire una Lazio irripetibile con tanti talenti irriquieti, fino ad allora sconosciuti, che, tenuti a bada, regalarono al club del Presidente Lenzini lo Scudetto del 1974, anche se Sbardella se ne andò prima per via del fallimento della cordata, capeggiata dal consigliere Riccardo Riva, che doveva rilevare la società biancazzurra, da lui caldeggiata e costruita.

Per la verità, c'era stato anche un altro motivo di attrito con la proprietà quando trapelò la notizia che si stava accordando con la Roma per trasferirsi alla corte di Anzalone. Lenzini non gli perdonò mai la faccenda e l'ex arbitro preferì dare le dimissioni andandosene.

Dopo l'addio alla Lazio[modifica | modifica sorgente]

Passò così all'altra sponda del Tevere, nelle fila giallorosse, con un contratto di 30 milioni annui, ma rassegnò subito le dimissioni in seguito all'ostilità dell'ambiente e alla mancanta accettazione della sua proposta di riorganizzazione societaria. Divenne Commissario regionale del Lazio dell'Aia (dal 1978 al 1983), per poi passare a dirigere la divisione Calcio a 5 della Lega dilettanti dal 1989 al 1992. Dopo un breve periodo alla Triestina, nel febbraio del 1981 torna alla Lazio, come Direttore Generale in un primo momento, successivamente come Direttore Sportivo, fino al 1983. Infine diviene Presidente del calcio regionale del Lazio, rieletto per tre mandati. Scompare a causa di un male inguaribile che lo perseguitava da tempo. La morte avviene all'ospedale Fatebenefratelli dell'Isola Tiberina dove Sbardella è curato dal dottor Francesco Bracci e dalla sua équipe nel reparto di piccola chirurgia. I funerali si svolgono nella chiesa di Nostra Signora di Guadalupe, in via Aurelia, dove partecipano circa 3.000 persone.

Le cronache riportano la presenza, tra gli altri, del presidente del Coni Gianni Petrucci, del Presidente dell'Aia Tullio Lanese, di dirigenti della Lega Dilettanti, ex arbitri, rappresentanti di club professionisti ed ex calciatori, tra cui gli ex laziali Vincenzo D'Amico e Lionello Manfredonia. Un minuto di silenzio è disposto dalla FIGC su tutti i campi. In sua memoria è stata istituita una Fondazione.





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