Sabato 3 aprile 1999 - Roma, stadio Olimpico - Lazio-Milan 0-0

Da LazioWiki.

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3 aprile 1999 Campionato di Serie A 1998/99 - XXVII giornata

LAZIO: Marchegiani, Pancaro, Nesta, Mihajlovic, Favalli (58' Negro), Sergio Conceicao, R.Mancini (82' De La Peña), Almeyda, Nedved (66' Stankovic), Vieri, Salas. A disp. Ballotta, Lombardo, Lombardi, Gottardi. All. Spinosi - DT Eriksson.

MILAN: Abbiati, Sala (56' N'Gotty), Costacurta, Maldini, Helveg, Ambrosini, Boban, Guglielminpietro, Leonardo (46' Giunti), Bierhoff, Weah. A disp. Rossi, Ayala, Ziege, Ba, Ganz. All. Zaccheroni.

Arbitro: Cesari (Genova).

Note: ammoniti Vieri per comportamento non regolamentare e Pancaro per gioco falloso, Helveg, Guglielminpietro, Giunti e Ambrosini per gioco falloso. Annullato per un presunto fuorigioco un gol di Vieri al 1' del pt. Angoli 14-0 per la Lazio.

Spettatori: circa 65.000 dei quali 29.517 paganti per un incasso di 1.719.970.900; abbonati 34.3589 per una quota partita di 1.108.043.112.

Il biglietto della gara
Duello tra Vieri e N'Gotty
Mihajlovic contrasta Weah

Ci si aspettava ben altro dalla sfida dell' Olimpico. Si aspettava un Milan all'attacco della capolista nell'intento di ridurre consistentemente lo svantaggio in classifica (in fondo era l'ultima occasione questa per i rossoneri); ci si aspettava una Lazio autorevole e determinata nello sbarazzarsi definitivamente di una rivale; ci attendevamo, in definitiva, una gara vibrante, ricca di emozioni e di gol. Invece nulla di tutto questo. Sotto un sole quasi estivo le due squadre si sono lasciate andare ben presto ad un tran-tran noioso, senza nerbo e senza costrutto. Ha deluso soprattutto il Milan perché non era immaginabile un suo atteggiamento così remissivo dopo le bellicose dichiarazioni della vigilia. Sarà stata la partenza sprint dei padroni di casa, con un gol di Vieri al primo minuto annullato per un fuorigioco dubbio dello stesso giocatore, a mettere sulla difensiva il Milan, ma dopo un primo quarto d'ora effervescente la Lazio ha pian piano ridotto il ritmo e ha commesso più errori che altro: era qui che i rossoneri dovevano uscire allo scoperto. Invece hanno continuato a subire passivamente l'iniziativa sia pure senza mordente dell'avversario. Si è giocato così per tutto il primo tempo ad una porta sola, con Abbiati preoccupato ed impegnato più in uscite alte sui calci d'angolo di Mihajlovic che da tiri di Salas e Vieri, il quale ultimo ha fallito anche una palla gol quando al 18' ha perso tempo e si è fatto chiudere dal portiere in uscita mentre era ormai solo davanti alla porta. Nel frattempo Marchegiani rimaneva assolutamente inoperoso, solo impensierito da una girata sull'esterno della rete di Leonardo, che nell'occasione si faceva male, e da un tiro al volo di Ambrosini da buona posizione finito comunque abbondantemente fuori. Neppure nella ripresa si è avuto un cambiamento sostanziale della situazione: Zaccheroni ha sostituito l'infortunato Leonardo (distorsione al ginocchio) con Giunti e dopo poco anche Sala con N'Gotty, ma l'atteggiamento dei rossoneri era sempre quello di chi attende l'occasione buona per colpire in contropiede. Era come se il Milan credesse poco nella sua possibilità di mettere sotto la Lazio. Sono arrivate due discrete occasioni gol con Bierhoff e Boban, ma sono rimasti due spunti isolati in una prestazione davvero insignificante. Le cifre in questo caso sono eloquenti: il Milan non ha mai inquadrato lo specchio della porta avversaria e ha indirizzato fuori solo un paio di conclusioni. Più significativa la differenza sui calci d'angolo: ben 14 a 0 per i laziali. L'attacco rossonero ha vissuto solo sulle estemporanee iniziative di Weah ma nulla che desse il senso di un'azione offensiva corale. Il centrocampo ha dovuto solo remare all'indietro; ovviamente la difesa ha beneficiato di quest'atteggiamento cauto di tutta la squadra e alla lunga è riuscita a domare, specie sui palloni alti, Salas e Vieri. Queste stesse cifre comunque la dicono lunga anche di una giornata non particolarmente felice della Lazio perché tanto predominio, tanto attaccare, tanti calci d'angolo hanno prodotto pochissimo e questo perché, dopo un avvio brillante con Salas scatenato e Vieri a percussione, la manovra biancazzurra è divenuta sterile perché si è cercato con troppa insistenza e monotonia di attivare le punte con lanci lunghi sui quali si sono attestati i difensori rossoneri E' mancata pian piano una velocità di base e trame rasoterra che potessero liberare comodamente al tiro Vieri e Salas. E' venuto a mancare l'apporto dinamico di Nedved e creativo di Mancini, che stranamente (ma non è la prima volta) è rimasto avulso dalla manovra: veniva cercato poco e lui stesso si faceva vedere poco. Ed Eriksson ha forse tardato ad effettuare le sostituzioni. Alla fine la Lazio nella ripresa è stata pericolosa solo sui soliti calci d'angolo di Mihajlovic e su una percussione di Vieri da sinistra che Costacurta ha stroncato con un fallo da dietro, con un'entrata pericolosamente a cavallo della linea dell'area di rigore. Certo se il Milan e il Parma erano considerati avversari attendibili nella corsa allo scudetto, la Lazio tenendoli a distanza, alla fine ha avuto ragione. Ma soprattutto, grazie alla vittoria dell'Inter, è riuscita a staccare di un altro punto la Fiorentina. E sei punti di vantaggio a sei giornate dal termine costituiscono una grande garanzia. Semmai in prospettiva quel calo fisico specie nel secondo tempo può creare qualche allarme. Sta arrivando il caldo e stanno arrivando anche partite impegnative con avversari di alta classifica inframezzate dalla gare di coppa. Bisogna intervenire in fretta per ridare tonicità alla squadra, tenendo presente che l'obiettivo scudetto impone un dispendio di energie nervose considerevoli. Il Milan vede rivalutato questo 0-0 in casa della capolista solo se ci si sposta dall'obiettivo scudetto a quello del posto in Champions League: il Parma è rimasto indietro di un punto e l'Udinese, che si stava facendo pericolosa, ha perso. Il risultato almeno è positivo.

No, non è stata una giornata di campionato come tutte le altre. Non poteva esserlo. Non doveva esserlo. Non lo è stata all'Olimpico e non lo è stata per Sinisa Mihajlovic, lo s'è visto appena è entrato con la fronte corrugata e la testa chissà dove. Fotografi e cameramen l'hanno inseguito pronti a illustrare ogni minimo gesto del campione di Vukovar: non c'erano Salas, Bierhoff o Vieri che tenessero. All'inizio ha corricchiato, il giocatore di Eriksson. Come fa spesso. Come fa sempre. Poi a un certo punto s'è avvicinato alla Curva Nord e ha fatto vedere ciò che portava sotto il biancoceleste, un "peace no war", pace non guerra, che ha poi voluto spiegare negli spogliatoi. "Non è e non voleva essere il messaggio di una parte. Sono due sentimenti uguali: il mio dolore è per chi muore a Belgrado e per quelli che muoiono in Kosovo. Però voglio dire che alcune cose che si raccontano sul Kosovo non sono vere: la gente non scappa soltanto dai serbi ma anche dalle bombe della Nato". In campo il calcio ha cercato di vincere nella sua testa. A tratti c'è pure riuscito, solo a tratti però. "E' stato molto difficile isolarsi e pensare alla partita giocata. Ringrazio tutti quelli che mi hanno fatto dimenticare un po' questa guerra. Ma è stato molto difficile giocare. Per giocare a calcio ci vuole la testa pulita, libera, altrimenti non ci si può divertire". Anche in tribuna la sua prova è stata vista e rivista in un modo diverso. A ogni appoggio, ogni punizione, ogni calcio d'angolo ci si chiedeva "cos'avrà in testa?", "a chi, a cosa sta pensando?". Magari pure gli avversari se lo saranno chiesto, forse Zvonimir Boban, croato, che una volta aveva pure lo stesso passaporto di Mihajlovic e che è diviso dal laziale dalla memoria di una delle tante guerre figlie della Jugoslavia di una volta. Il fatto è che i serbi giocano a calcio. E bene. E la loro presenza nel calcio che conta è una possibilità per parlare, possibilità che i kosovari non hanno perché non giocano nella Lazio o nel Real Madrid: non sente questo "vantaggio"? E le colpe di Milosevic? "Io dico che devono cedere un po' tutti, Milosevic, l'Uck, la Nato. Tre teste dure non servono. Io non dico che Milosevic non abbia colpe, dico che non è il solo ad averne. Ma che adesso, prima di tutto, l'importante è che questa guerra finisca e finisca prima possibile". Quello che aveva detto giovedì mattina anche al sottosegretario alla presidenza del consiglio Marco Minniti, peraltro presente anche ieri sugli spalti dell'Olimpico. Proprio nel momento in cui Mihajlovic ha fatto vedere il suo "peace no war", in mezzo alle due curve, una sintonia chiaramente voluta, qualcuno ha tirato fuori due striscioni identici, l'esatto contrario dello spirito del messaggio del giocatore serbo: "Uccidete il soldato Ryan", con la firma di un gruppo di estrema destra, "forza nuova". E' stata anche bruciata una bandiera statunitense. E il qualunquismo becero guerrafondaio è spuntato fuori anche alla fine quando Sinisa è uscito dallo stadio insieme con la moglie e la figlia in braccio come una famiglia apparentemente senza problemi: dai pullman di alcuni tifosi milanisti è arrivata una raffica di insulti, la frase più tenera era "vattene in Serbia". Roba da lasciare senza parole. Nonostante questo però Mihajlovic ha voglia di ringraziare. L'Italia, i tifosi, i compagni di squadra che hanno vestito anche loro quel "Peace no war" per solidarizzare con lui e con Stankovic. Forse ringrazierebbe o forse ringrazierà anche George Weah che lo abbraccia con le parole: "Sono molto vicino a Mihajlovic e Stankovic. So quello che significa la guerra". Viene da un Paese come la Liberia che purtroppo ha conosciuto l'orrore di un conflitto sanguinosissimo. "Voglio dirgli che devono cercare di essere tranquilli, la guerra finirà presto". Speriamo. Valerio Piccioni

Telecamere su Sakic stravolto in panchina Sinisa Mihajlovic è anche il simbolo di un sabato calcistico vissuto davanti alla tv in un modo diverso. Non ci sono mancate le gag di Teocoli, i nostri occhi erano lì, sulla tv, perché il calcio ci prende, ci assale, spesso ci cambia anche l'umore, ma il pensiero era rivolto a dieci giorni di guerra, di massacri, di notizie che ci allarmano in continuazione. Quegli sportivi che in settimana hanno lanciato appelli e messaggi oggi erano in campo col lutto al braccio. La tv ha evidenziato tutto. Fabio Fazio è andato in onda con il suo programma "Quelli che il calcio", ha condotto con sobrietà, limitandosi alla normale amministrazione. Ha cercato di non cadere nella banalità "ogni parola sarebbe inutile, meglio ricordare tutti i numeri utili per aderire alla "Missione arcobaleno", ha detto alla fine del programma. In avvio di trasmissione ci ha colpiti l'immagine di Sinisa Mihajlovic che entra in campo all'Olimpico coccolato dal pubblico. Anche i giocatori del Milan (inquadrature su Bierhoff e Weah), prima del fischio d'inizio, sembravano scossi. Poi Mihajlovic ci accompagna anche in 90° minuto, fino alle prime dichiarazioni mandate in onda da "Goleada". Terribile quando dice "Sono già stato un'altra volta in questa situazione, ormai mi sono un po' abituato". Massimo Caputi, al ritorno in studio, gli confeziona un "7,5 in pagella, un voto che tiene conto dell'aspetto tecnico e di quello psicologico. In questo momento siamo tutti molto vicini a quelli che vivono questa vicenda".

Poi si torna sul calcio, nei servizi colpisce il buon lavoro dell'operatore di Vicenza che punta la telecamera di bordo campo su un Sakic (difensore sampdoriano) stravolto in panchina. A proposito: la Samp, e questo lo aveva già anticipato "90° minuto", entra in campo con le magliette "Pace non guerra". Simpatica e non fuori luogo anche la sottomaglia mostrata da "Pedro" Piovani del Piacenza: "Buona Pasqua". Altre immagini, colte in "90°", che ci piace ricordare sono la coreografia, verde-arancio allestita dai tifosi nella curva veneziana, e la maglietta esibita da Zoran Mirkovic, "Pace, no guerra". Faccia da funerale quella di Alberto Malesani, al microfono "Goleada" nel dopo Parma-Cagliari. Sa bene il tecnico che quel pareggio è inutile, la sua amarezza è totale e lo spiega così: "Forse sono io". Francesco Velluzzi Samp: maglie ai tifosi. Bambini in campo a Bari Lo stadio come specchio della società civile e delle sue tensioni, delle sue preoccupazioni, non solo luogo deputato allo svago e al divertimento. La giornata di campionato di ieri è stata caratterizzata da una strana atmosfera, che si è respirata non solo sugli spalti, a margine dell'evento agonistico, ma anche sul campo. Gli orrori del conflitto che si sta consumando alle porte di casa nostra hanno scosso le coscienze non solo degli atleti di nazionalità serba, che sono parte in causa, ma anche di diverse squadre italiane, compatte nel lanciare un messaggio di pace.

Fonte: Gazzetta dello Sport