Sabato 28 marzo 1998 - Udine, stadio Friuli - Udinese-Lazio 0-2
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28 marzo 1998 - 2.784 - Campionato di Serie A 1997/98 - XXVII giornata
UDINESE: Turci, Bertotto, Calori, Pierini, Helveg, Giannichedda, Walem (46' Statuto), Bachini, Poggi (62' Locatelli), Bierhoff, Amoroso (81' Jorgensen) - A disposizione: Frezzolini, Zanchi, Pineda, Navas. Allenatore: Zaccheroni.
LAZIO: Marchegiani, Chamot, Nesta, Negro, Favalli, Fuser, Venturin, Jugovic, Nedved, Boksic (75' Casiraghi), R.Mancini (82' Gottardi). A disposizione: Ballotta, G.Lopez, Grandoni, Almeyda, Rambaudi. Allenatore: Eriksson.
Arbitro: Sig. Treossi (Forlì).
Marcatori: 32' R.Mancini, 56' Fuser.
Note: ammoniti Chamot, Venturin, Locatelli, Bertotto. Jugovic ha fallito un calcio di rigore al 18'. Calci d'angolo: 2-7.
Spettatori: 14.635 per un incasso di Lire 752.152.000.
Siderale. L'astronave Lazio transita sui sogni di Udine irraggiungibile e più veloce della luce. Un lampo che incenerisce una formazione, quella friulana, improvvisamente orfana di gol dopo 29 partite in cui era andata a segno. Decidono due prodezze, equamente distribuite nel tempo, firmate Mancini e Fuser. Ma sotto questo risultato reboante, uno 0-2 che di fatto elimina l'Udinese dalla corsa per il podio del campionato, c'è sostanza, non il vuoto. La banda-Eriksson, infatti, porta a casa pure un calcio di rigore che Jugovic si fa parare da Turci (19'), un palo timbrato dal destro velenoso di Nedved (sempre al 19', minuto di turbolenze in area bianconera) e almeno altre quattro occasioni per dilagare sugli avversari, scarsamente lucidi. La sfida che rilancia le ambizioni laziali dopo l'improvviso black-out contro il Piacenza e sgonfia quelle friulane, è emblematica della differente resa corale delle due formazioni e dei loro uomini più rappresentativi. L'Udinese stecca clamorosamente e Bierhoff, dopo il mercoledì speso sotto i riflettori di Germania-Brasile, naviga senza rotta in mezzo agli scogli della retroguardia romana. L'immenso Nesta e il suo degno compare Negro, i due centrali di Eriksson, gli consentono di addomesticare un solo pallone a una manciata di minuti dal termine, quando i giochi sono ormai fatti. La sua girata a centro area scavalca la traversa. La Lazio, per contro, imposta una gara stupefacente quanto a senso della manovra, aggressività e freddezza. Al suo cospetto i bianconeri si scoprono nudi, esibendo la povertà di mezzi tecnici di gran parte dei giocatori, finora mascherata con efficacia dal paravento degli schemi di Zaccheroni.
A dettare i ritmi di questa implacabile Lazio, pervenuta al 23esimo risultato utile consecutivo (Coppe incluse), è un campione come Roberto Mancini che, a differenza di quanto è capitato a Robi Baggio e a Zola, non si è mai sentito rinfacciare il ridotto contributo dinamico alla manovra. Fisicamente Mancini è ancora tosto, capace di coprire l'intero fronte d'attacco, di scomparire e di riapparire alle spalle dell'avversario per poi paralizzarlo con finte velenose. E' una finta cattiva appena varcato il confine dell'area, per esempio, a indurre Bertotto al fallo da rigore. Non importa se poi l'esecuzione di Jugovic dal dischetto risulterà sciaguratamente centrale, utile per l'affannosa presa di Turci. Mancini è devastante anche in occasione del primo gol, maturato da un calcio d'angolo, da un pallone che Boksic spedisce in qualche modo da sinistra a destra per la botta nel mucchio di Fuser. E' un predatore, Mancini, lesto come sapeva essere lesto Paolo Rossi, e di destro ruba il tempo al presepe di avversari che lo circonda. Gol numero 146 del più prolifico cannoniere in attività, il 15esimo segnato all'Udinese grazie a quegli strani incastri del destino che non è semplice spiegare razionalmente. Ha ricamato calcio, l'ex doriano, aprendo falle nel sistema difensivo dell'Udinese senza concedere punti di riferimento a nessuno. Si chiamasse Ronaldo e non Mancini, per lui sarebbe in corso un massiccio procedimento di canonizzazione.
Delizioso il suo colpo di tacco che, consentendo a Fuser di usare il destro a mo' di fionda, chiude la partita, offrendoci una più completa messa a fuoco dello strapotere laziale: la tenuta stagna della difesa (17 gol incassati contro i 32 dei friulani: forse il gap tra le due formazioni sta pure qui) e l'imbattibilità di Marchegiani, giunta a 685 minuti (recuperi esclusi). Della Lazio stupisce la serenità interiore, la pulizia del gioco, l'abilità nel trasformare ogni pallone, anche quello in apparenza più sporco, in una nuova opportunità per rovesciare l'azione. Dal confronto l'Udinese esce annichilita ma non irrisa, perché stavolta la superiorità ospite è stata limpida: un primo tempo trascorso nella metà campo altrui, a soffocare gli spazi, a impedire che il fuoco della reazione friulana potesse divampare, e una ripresa più articolata, fatta di folate in contropiede e trame ad ampio respiro. Zeman garantisce che questo gioco sa di muffa. Sarà, ma pure lo stadio Friuli, acclamando i giocatori nonostante il grande sogno svanito, dimostra di non crederci troppo.
La Gazzetta dello Sport titola: "Convincente e importante vittoria della squadra di Eriksson che ridimensiona le ambizioni dell'Udinese. Una Lazio superba la illumina Mancini. Procura il rigore, segna e da' l'assist a Fuser. La migliore Lazio del campionato offre un saggio di gioco offensivo, spettacolare cocktail di velocità, grinta, tecnica e personalità".
Continua la "rosea": Una lezione di calcio. Con la Lazio in cattedra e l'Udinese in confusione, stordita da un'ora e mezza di esempi e spiegazioni sul tema "come si gioca (bene), si domina in trasferta, e si vince con pieno merito". E allora giù il cappello di fronte al professor Eriksson e ai suoi allievi, che offrono la loro miglior interpretazione del campionato. Altro che contropiede, o peggio ancora calcio di vent'anni fa: quello esibito al "Friuli" è un saggio di gioco offensivo, spettacolare cocktail di velocità, grinta, tecnica e personalità. I numeri dicono già molto, perché con questa sono ventitré (coppe comprese) le gare senza sconfitte della Lazio, mentre Marchegiani porta a 685 minuti la propria imbattibilità personale, guarda caso nel giorno in cui l'Udinese smette di segnare davanti al suo pubblico dopo ben 29 partite con almeno un gol. Ma anche se Calori nel primo tempo, o Amoroso nella ripresa, fossero riusciti a infilzare Marchegiani, alterando alcune cifre di questa partita, il senso della lezione non sarebbe cambiato. Perché, al di là degli episodi, la Lazio colpisce per il suo non comune spirito di squadra. Gli uomini di Eriksson, infatti, sembrano un'affiatatissima orchestra in cui tutti suonano strumenti diversi in tempi diversi, strappando unanimi consensi per la facilità con cui, di volta in volta, ognuno sa offrire l'acuto personale. Non a caso nell'arco dei 93', recuperi compresi, vanno al tiro, e più di una volta, ben sette giocatori diversi (in ordine sparso Negro, Mancini, Nedved, Fuser, Boksic, Casiraghi e Gottardi) appartenenti a tutti i reparti. E allora all'Udinese non resta che tornare a casa a ripassare la lezione. Perché, senza nulla togliere a ciò che Zaccheroni ha fatto fin qui, Bierhoff e compagni falliscono l'ultimo grande appuntamento per riagganciare il cosiddetto treno scudetto, dal quale per opposti motivi la Lazio non ha alcuna intenzione di scendere. Subito a proprio agio come se giocassero all'Olimpico, i biancazzurri colpiscono per la loro partenza autoritaria, che toglie ai padroni di casa il controllo del pallone, e di conseguenza la consueta sicurezza.
Potrebbe essere una fiammata e invece è l'inizio di un monologo, soprattutto perché in mezzo al campo non c'è mai partita. Nedved sulla sinistra mette in crisi Helveg, Jugovic costringe Giannichedda ad arretrare, Venturin anticipa sistematicamente Walem e Fuser infine non patisce le incursioni di Bachini, l'unico in grado di uscire a intermittenza dal grigiore generale della sua squadra. Ma, oltre a macinare gioco in mezzo al campo, la Lazio si rivela insuperabile in difesa, dove Nesta con la preziosa collaborazione di Negro sbarra regolarmente la strada a Bierhoff, poco e male assistito da Poggi e Amoroso, a prescindere dalla presenza sulle fasce laterali di Chamot da una parte e Favalli dall'altra. Il tutto con l'aggiunta di Boksic e Mancini in prima linea, che fanno trascorrere un brutto pomeriggio a Bertotto, Calori e Pierini. Già vicinissima al gol al 16', quando Negro impegna per la prima volta Turci, la Lazio spreca un rigore al 18'. Bertotto atterra Mancini in area, ma dal dischetto Jugovic tira centralmente con poca forza, consentendo a Turci di bloccare il pallone. Ma neppure questo errore toglie sicurezza alla Lazio, che subito dopo colpisce il palo con Nedved. Sembra un nuovo segnale di una partita stregata, ma quando ci si attende il risveglio dell'Udinese, dopo una bella deviazione di Marchegiani su un tiro da fuori di Calori, ecco al 33' il primo gol della Lazio, propiziato da un cross di Fuser dalla destra e firmato da una girata di destro di Mancini. Ma è come se non fosse successo nulla, perché l'Udinese continua ad annaspare. E inutilmente, dopo l'intervallo, Zaccheroni prova a inserire Statuto in mezzo al campo, al posto di Walem. La Lazio ha il merito di continuare ad attaccare e al 12' chiude definitivamente una partita mai aperta, con un'azione spettacolare: punizione di Nesta, tocco di Boksic, tacco di Mancini e destro vincente in corsa di Fuser.
Visto che martedì giocheranno una difficile semifinale di coppa Uefa a Madrid contro l'Atletico, i biancazzurri a questo punto potrebbero tirare un po' il fiato e invece sul 2-0 si vede Nesta spingere i propri compagni in avanti con ampi cenni delle braccia. Zaccheroni toglie anche Poggi, rilevato da Locatelli, ma non è proprio giornata e quando Amoroso trova finalmente il varco giusto è bravo Marchegiani a bloccare il suo gran tiro. E il resto è puro e inutile contorno, con le ultime occasioni non sfruttate da Nedved, Bierhoff e Gottardi. In attesa dell'ultimo fischio di Treossi, che annuncia la fine della lezione di calcio. E pazienza se rientrando negli spogliatoi la truppa di Eriksson apprende la notizia del gol di Ronaldo. Perché una Lazio così ha tutto il diritto, e il dovere, di puntare allo scudetto.
In un altro articolo è riportato:
Un uomo squadra, a 34 anni non più perdente di successo. Il ciuffo e un certo ribellismo di fondo si sono attenuati. Roberto Mancini va per i 34 anni, ha moglie e figli e non combatte più le rivoluzioni dei vent'anni, quando era il principe intoccabile di una Sampdoria irripetibile. Era allergico agli allenatori, a "certi" tecnici dai modi spicci, e poteva permetterselo, forte della sua bravura e di un rapporto speciale con Paolo Mantovani, presidente al quale si poteva togliere tutto, ma non il "suo" Mancini. Dieci-quindici anni più tardi Mancini è cresciuto, è diventato uomo. Non ha bisogno di paracadute, va da sé. Il tempo è passato, la classe no. I colpi sono quelli di allora. Intatti, preservati da un fisico che non dà segni di cedimento, arricchiti dall'esperienza. I risultati sono strabilianti, quasi illogici se rapportati alla carta di identità. Un trentaquattrenne che si permette di essere uomo-squadra. Evento raro. C'è stato l'esempio di Franco Baresi, un difensore (e in difesa si è decisivi in modo differente). Diego Maradona, a 34 anni, disputò con l'Argentina il Mondiale americano. Prestazioni stupefacenti, fino al giorno in cui si scoprì che c'era qualcos'altro di stupefacente in Maradona.
Marco Van Basten deve ancora compiere 34 anni e l'unico sport che le sue caviglie possono permettersi e' il golf. Paolo Rossi, a 34 anni, aveva già chiuso la sua storia di campione, tradito da ginocchia ballerine. Lo stesso dicasi per Gigi Riva, trentaquattrenne nel 1978, due anni dopo il suo ritiro dall'attività. Mancini "minaccia" di andare oltre questa soglia anagrafica. Quando gli domandano delucidazioni sulla conclusione della sua carriera, risponde con antica sfrontatezza: "Non mi pongo limiti, se ce la farò andrò avanti fino a quarant'anni". Dichiarazione che nasconde una fame di successi. Mancini lasciò la Sampdoria per una serie di motivi. Uno dei più importanti: andare via per vincere qualcosa di altro. Può essere che uno scudetto nella Samp ne valga dieci altrove, ma questo non era e non è un problema di Mancini. La Lazio può permettergli di ribaltare il vecchio luogo comune del Mancini perdente di successo, in più gli consente di fare pratica con il mestiere di allenatore. Eriksson dirige le operazioni dalla panchina, Mancini ne è la voce in campo. I casi della vita: prima o poi si finisce per diventare simili a chi o a che cosa si è osteggiato in gioventù.
La Stampa titola: "Lazio, un ciclone sull'Udinese. Biancocelesti scatenati: Mancini, in gran vena, e Fuser mettono ko i friulani. Jugovic fallisce un rigore, palo di Nedved".
L'articolo prosegue: Grande Lazio. Una Lazio da vertice che ha annichilito l'Udinese con un 2-0 targato Mancini & Fuser, concedendosi il lusso, sullo 0-0, di fallire con Jugovic un rigore (parato da Turci) e di colpire subito dopo un palo con Nedved. Una Lazio che domenica, all'Olimpico, si giocherà lo scudetto con la Juventus. Nessuna squadra in questa stagione aveva dominato al Friuli come quella di Eriksson. Una lezione per i bianconeri di Zaccheroni che, in casa, non perdevano dalla prima giornata (Fiorentina). Sul loro campo Bierhoff e compagni segnavano da ben 29 partite consecutive, ma ieri sono rimasti a secco consentendo al bravissimo Marchegiani di allungare a 685' il suo record laziale di imbattibilità. Superiorità collettiva, certo, ma chi ha fatto la differenza, è stato Roberto Mancini. Suo il tocco di rapina, sul tiro-cross di Fuser, che al 33' ha sbloccato il risultato dopo l'errore di Jugovic dal dischetto (18'). Ancora di "Mancio" il delizioso assist di tacco che ha consentito a Fuser di piazzare il colpo del ko in apertura di ripresa (12'). In stato di grazia, Mancini cava dal suo repertorio prodezze come un prestigiatore estrae magie dal suo cappello a cilindro. Classe ed esperienza al servizio di questa bella Lazio che Eriksson ha saputo assemblare nel migliore dei modi attorno a Mancini, Nedved (fondamentali i suoi cambi di marcia), Boksic e Jugovic, quattro assi.
La difesa è solida, il centrocampo filtra e costruisce, le punte fanno paura. Oltre a un gioco di qualità e quantità, la Lazio ha dimostrato di avere carattere: pronta reazione all'incidente di percorso casalingo col Piacenza, nessun abbattimento per il penalty fallito da Jugovic. Ieri, per fermare Boksic ci volevano tre uomini; per neutralizzare Mancini c'è voluto un fallo in area di Bertotto. Graziata da Jugovic, l'Udinese non ha mai trovato il modo di rendere Bierhoff pericoloso. Con Walem sotto tono, con Amoroso e Poggi in giornata-no, con il solo Helveg a spingere ogni tanto sulla fascia destra, il bomber tedesco (sotto gli occhi di Rummenigge) non riusciva a liberarsi dalla morsa Nesta-Negro. Nel primo tempo, l'unico tiro insidioso lo scagliava Calori, da oltre trenta metri, facendo fare un figurone a Marchegiani. Da un cross di Boksic scaturiva l'azione vincente della Lazio. Al volo Fuser sparava un bolide sotto porta e Mancini lo dirottava alle spalle di Turci. Un gol da opportunista, un vantaggio meritato. Ad Amoroso capitava una buona opportunità ma centrava in pieno... Bierhoff. E nella seconda frazione, la Lazio legittimava l'importante successo. All'Udinese non bastava sostituire l'evanescente Walem con l'ex romanista Statuto. In contropiede, Nedved non sfruttava un intelligente servizio di Mancini. Ci riusciva, invece, Fuser che, smarcato dal bellissimo tocco di classe di Mancini, stendeva Turci con un missile imparabile all'incrocio dei pali.
Con due gol all'attivo, la Lazio non aveva più problemi ad amministrare la partita. Al 25', Nedved mancava una palla-gol, imitato da Bierhoff al 42': sul traversone di Locatelli, Oliver alzava troppo la mira e spediva in curva l'occasione per aumentare almeno il suo bottino nella classifica cannonieri. Al fischio finale di Treossi, la Curva Nord invocava e incoraggiava i beniamini sconfitti. Non si deve vergognare l'Udinese di aver perso di fronte a tanta Lazio. Se la Champions League resta un sogno, proibito, le porte dell'Europa sono sempre aperte per i friulani e per Zaccheroni che sembra avere già in tasca un biglietto con destinazione Real Madrid.
La Repubblica titola: "Colpo Mancini-Fuser. Udinese ko, Lazio vola".
L'articolo prosegue: Alé Udin, canta la gente negli ultimi minuti, quando è chiaro che per l'Udinese non c'è più mezza possibilità. La prima notizia è questa: ci può ancora essere una partita di fondamentale importanza, con due squadre in corsa per lo scudetto, e può essere ben giocata, ben arbitrata, ben vissuta, anche se perde la squadra di casa e perde perché l'altra è troppo forte e non sbaglia nulla. O quasi: sbaglia un rigore con Jugovic, altri tre gol, due con Nedved e uno con Gottardi, sbaglia la Lazio perché la perfezione non esiste, ma qualcosa di assai vicino alla perfezione è la partita della Lazio, illuminata da un grande Mancini ma forte come squadra. Forte e bella da vedere, con ribaltamenti di fronte da manuale, una difesa di ferro: Marchegiani non prende gol da 685 minuti, l'Udinese nelle precedenti 29 gare casalinghe aveva sempre segnato almeno un gol. Sono numeri significativi. Dunque, dopo questa partita la Lazio è perfettamente autorizzata a pensare allo scudetto. All'opaca prova col Piacenza ha dato una spallata, con un'esibizione scintillante. Concentratissima e in condizioni difficili. Di scudetto non parla più l'Udinese, il cui campionato resta comunque prodigioso. Il pubblico canta, invece di fischiare, perché capisce una cosa che capirebbe anche un bambino: contro questa Lazio non c'è niente da fare. Si sa che l'Udinese ha bisogno di profondità e spazio come i koala di foglie d'eucaliptus.
La Lazio questi spazi glieli nega ed è molto abile a ritagliarseli, con una maniera di giocare che sarà vecchia di vent'anni, come sostengono alcuni addetti ai lavori, ma a me non pare e peraltro in questa primavera '98 è terribilmente efficace. Boksic in avanti ad alzare la selvaggina di piuma (a scompaginare le difese), Mancini un po' più indietro a prendere la mira, e subito dietro a lui altri assatanati provvisti di moto perpetuo e piede buono. Che nel calcio serve sempre. Anche l'Udinese ha un suo gioco, e spesso ha funzionato. Ma risultano impietose le differenze tra Bachini e Fuser, tra Giannichedda e Jugovic. Il gioco è monco, per errori di precisione ma anche per inferiorità tecnica. Aggiungiamo che nessuna delle punte friulane è particolarmente ispirata. Non Bierhoff, non Amoroso, tantomeno Poggi. L'Udinese non decolla sulla fasce esterne e a centrocampo patisce la superiorità di tocco dei laziali. Walem si sacrifica come un San Sebastiano, lo rimpiazza Statuto che non farà meglio, anzi. La Lazio gioca subito per vincere e ci riesce. Già al 19' potrebbe segnare: Mancini è steso in area da Bertotto, Jugovic si fa bloccare il rigore da Turci e, un minuto dopo, Nedved di destro dal limite colpisce il palo. La Lazio non si abbatte, segno di maturità. L'Udinese non si scuote, segno di relativa impotenza. Gol rapinoso di Mancini (deviazione sotto porta su fendente diagonale di Fuser) al 33'. La reazione è tutta in un tiro di Amoroso che rimbalza su Bierhoff.
La Lazio chiude il discorso all'11' s.t.: altra invenzione di Mancini, che di tacco smarca Fuser, gran destro e pallone all'incrocio. Sullo stadio scende un silenzio che vale più di un applauso. Grazie, è stato bello crederci, alla fine li chiameranno ugualmente sotto la curva. Per l'Udinese è finito il sogno più grande, rimane in piedi quell'altro, legato alla zona Uefa. Non penso che la squadra sia destabilizzata dalle voci (o certezze) sulla partenza di Zaccheroni, per Madrid o altra destinazione. La botte dà il vino che ha, in una zona di profonda cultura enoica questo non è un proverbio come un altro. Il vino dell'Udinese è buono, non ha girato in aceto, ma quello della Lazio è meglio. Sportivamente, non è il caso di farne un dramma. Infatti, nessuno ne ha fatto un dramma. Ed Eriksson si raccomanda più volte ai suoi tifosi: non ingolfate Formello, state tranquilli. Si può morire di troppo amore. Forse morire no, ma star male sì. E questa Lazio così in salute vuole isolarsi per esserlo ancora. Domenica all'Olimpico c'è la Juve.
Tratte dal quotidiano romano, alcune dichiarazioni post-gara:
Perfetti, o quasi. Una prestazione superlativa, una vittoria ineccepibile. La reazione migliore dopo la prova opaca di domenica scorsa contro il Piacenza. La Lazio fatica a contenere la soddisfazione per una vittoria cercata, inseguita, meritata per tutti i novanta minuti di gioco. Solo mister Eriksson, forse perché svedese, prova a fare il pompiere. "E' stata una bella partita, non poteva andare meglio. Una vittoria importante, però invito i tifosi domani (oggi, ndr) a moderare il loro entusiasmo, a Formello. Abbiamo bisogno di tranquillità, di lavorare concentrati. Il momento è delicato, ci aspetta una settimana molto importante". Per lo sprint finale, la Lazio cerca e chiede un po' di pace "perché - continua il mister - abbiamo tanta voglia di arrivare in qualche posto. Lasciamo stare lo scudetto, ma gli obiettivi non mancano. Vincere a Udine non è facile per nessuno, ci siamo riusciti perché abbiamo disputato un'ottima gara".
Uscire vittoriosi da una gara contro l'Udinese però può essere più facile se in squadra c'è un giocatore come Mancini. Lui giura che non c'è nulla di personale con i friulani, ma con la rete segnata a Turci, i suoi gol realizzati in carriera ai bianconeri raggiungono quota 15: un caso? "Ma sì, e poi tutta la squadra ha cercato di fare del suo meglio per vincere. Per noi è un momento importante, ma non mi sono depresso domenica scorsa, non mi esalto dopo questa vittoria. A Udine siamo scesi in campo con la volontà di vincere. Abbiamo sbagliato anche un rigore, ma c'era ancora molto da giocare: e così è stato. Il campionato però è ancora lungo, ci sono molti scontri diretti. E la Lazio può persino giocare meglio di come ha fatto vedere a Udine. Ma di questo ne siamo da sempre convinti. E' dall'inizio che siamo consapevoli di quello che potevamo e possiamo fare in questa stagione. Stiamo facendo una grande rincorsa: andiamo avanti per la nostra strada, domenica dopo domenica".
Nel clima generale di festa, impreziosita anche per la soddisfazione di aver segnato il gol che ha praticamente chiuso la partita, a Fuser comunque non manca lo spirito per una stoccata polemica a Zeman. "Sbaglia a dire certe cose, non è giusto, e comunque alla fine del campionato vedremo chi avrà fatto meglio. La Lazio ha giocato un'ottima gara, siamo stati forti, non abbiamo concesso niente e non abbiamo sbagliato nulla: continuando a giocare così, può raccogliere risultati importanti. Dedico il gol alla mia famiglia, se lo merita". Anche Zaccheroni, allenatore dell'Udinese, ha il dente avvelenato. No, la sconfitta non c'entra nulla, anzi: "La Lazio ha dominato dall'inizio alla fine, ha dimostrato maggiore personalità, è la squadra più forte del campionato anche se la Juve è più continua". Ma allora, mister, cosa c'è che non va? "Mi è dispiaciuto vedermi già seduto su altre panchine quando non c'è nulla di confermato e proprio alla vigilia di questa partita, per noi tra le più importanti della stagione".
Dalla Gazzetta dello Sport:
Non sta nella pelle Diego Fuser. E' felice per questa Lazio dirompente. E tracima con le parole così come in campo fa impazzire gli avversari, costretti ad inseguirlo per tentare di bloccarlo. Un altro gol bellissimo, il settimo in campionato, nono stagionale. E poi quel pallone spiovente, difficile da addomesticare, tramutato in splendido assist per Mancini, che ricambierà alla sua maniera nella ripresa. Diego ha tanta voglia di urlare la propria gioia. E di zittire chi, come Zeman, in settimana aveva criticato il gioco della Lazio. "Non ho mai avuto in campo la sensazione di forza, di grande strapotere di una squadra, come oggi contro l'Udinese. Dicevano che eravamo mezzi morti dopo la partita contro il Piacenza e questa è la nostra risposta migliore. Una partita eccezionale, tutta la squadra sta bene fisicamente e mentalmente. Eravamo caricatissimi e non abbiamo sbagliato nulla. Il morale del gruppo era rimasto altissimo anche dopo il pari di domenica scorsa. Abbiamo fatto tanta fatica per arrivare sin qui, non potevamo mollare giusto adesso". Una squadra che gioca così, non può perdere lo scudetto...Diego sorride, ma mantiene la consegna: "Noi non vogliamo parlarne. Anche perché l'Inter purtroppo ha vinto nel finale e dunque ci sarà da soffrire. Ma non ci tiriamo indietro. E in sette partite può ancora succedere di tutto. Stanchezza? Macché ci stiamo divertendo. Sappiamo che a questo punto della stagione non sono ammessi errori, ma questa situazione ci sta dando degli stimoli incredibili".
La risposta migliore a chi sostiene che quello della Lazio sia un gioco superato: "Zeman non ha mai vinto niente nella sua carriera e credo che farebbe meglio a star zitto. Noi la risposta la diamo sul campo e poi Eriksson è un grande allenatore: ha vinto scudetti in Svezia e Portogallo, anche coppe europee giocando diverse finali. Zeman al massimo ha vinto un campionato di serie C ed uno di B. Allora non dovrebbe poter parlare di gente che invece ha conquistato risultati importanti. Credo che la partita della Lazio a Udine sfiori la perfezione. Certo, non si può giocare sempre così, ma abbiamo una buona organizzazione di gioco e quando stiamo bene riusciamo a dare spettacolo. Zeman ha le sue idee, e noi le rispettiamo, ma nella vita bisogna rispettare tutti, specialmente chi raggiunge risultati. Zeman come persona mi sta simpatica e gli auguro sinceramente di poter vincere qualcosa. Ma lasci stare questa Lazio che sta vivendo un suo periodo eccezionale". Sottolineata dalle 23 partite utili, 16 in campionato e 7 nelle Coppe. Serie costruita con ben 17 vittorie. Nessuno vince tanto come la Lazio in Italia e in Europa. E in questa squadra che si proietta a livello internazionale verso la sua prima semifinale Uefa a Madrid, Diego Fuser ha sempre un ruolo importante: "Sto vivendo una stagione positiva, che spero proprio si concluda con il Mondiale. Sinceramente credo di meritarmelo".
"Siamo stati quasi perfetti". Eriksson pronuncia la frase arrossendo, con pudore. Però questa Lazio non può proprio nascondersi. Al Friuli ha dato una grande dimostrazione di forza. Una sensazione che le altre grandi non avevano lasciato, visto che l'Inter qui aveva perso e la Juve pareggiato in extremis. "Meglio di così proprio non potevamo fare. Una partita bellissima contro un avversario forte, cui abbiamo concesso pochissimo. La squadra è fisicamente e mentalmente a posto. E' il modo migliore per cominciare un ciclo di eccezionale importanza. Una vittoria conquistata così dà grande morale". Provi a parlare di scudetto, ma Eriksson si chiude in difesa: "L'Inter ha vinto ed è sempre davanti. Però oggi abbiamo dato una risposta molto chiara a chi pensava che stessimo mollando in campionato. Ci sono ancora sette partite. Ma ora dobbiamo concentrarci sulla coppa Uefa. Sulla gara che ci aspetta martedì a Madrid". Una prestazione del genere è la risposta migliore a chi, come Zeman, aveva bollato come antico il gioco della Lazio. Eriksson glissa: "Certo, se continuiamo a giocare così, credo proprio che di strada ne faremo tanta". E fra le tante note liete ce n'è solo una negativa: l'ammonizione di Venturin, che salterà per squalifica la partita contro la Juve. Eriksson avrebbe potuto provare Almeyda nel finale. "Ma la squadra aveva equilibri che funzionavano - spiega il tecnico - e non volevo toccarli. Sono contento anche per Chamot: finalmente stiamo vedendo il giocatore che conoscevamo, sta superando tutti i problemi".
Poi Eriksson lancia un appello alla tifoseria: "La gente dev'essere intelligente e capire il momento. L'eccessiva euforia non ci serve. La festa ce la meriteremo quando avremo vinto qualcosa di importante. Ora invece ci servirebbe un po' di tranquillità per allenarci oggi e preparare bene la partita di martedì in Spagna". Un appello accorato, dopo l'ultima invasione vissuta a Formello proprio due domeniche fa, dopo la vittoria a Genova con la Samp ed alla vigilia della partita di Auxerre. E per la trasferta di Madrid (la squadra partirà domattina con volo charter) Eriksson dovrà rinunciare ancora a Pancaro (stiramento al retto femorale destro) e allo squalificato Nesta. Con Chamot riconfermato, ecco che Grandoni e Lopez si giocheranno un posto da titolare. E Nella Lazio grandi numeri ci sono quelli eloquenti di una difesa ed un portiere che hanno lasciato a secco l'Udinese che segnava nel suo stadio da 29 partite consecutive. Così Marchegiani ha portato a ben 685 minuti la sua imbattibilità. Questo gli consente di salire in nona posizione (alla pari con Vieri, portiere dell'Inter '70-'71) nella graduatoria di sempre dei numeri 1 con la più lunga serie senza gol subiti. Un bel biglietto da visita per la Juve.
Esagerato in campo, misurato fuori. Nei sotterranei dello stadio Friuli, Roberto Mancini sembra un maestro di yoga: "Non mi sono depresso per il pari contro il Piacenza, non mi esalto ora". Però un successo per 2-0 fuori casa è l'occasione giusta per concedersi qualche stilettata: "Ieri le critiche, oggi gli elogi. Detto con franchezza: sono in grado di capire da solo se la mia prestazione è stata buona o cattiva". Tutto qui ? Non può essere. "La Lazio ha disputato una grande partita. C'erano le condizioni perché questo accadesse: l'Udinese è un avversario che attacca. Se due squadre puntano a vincere, lo spettacolo è garantito". Sempre più in alto, verso lo scudetto, ma senza farlo sapere in giro: "La situazione resta incerta e difficile. Si corre sul filo dei minuti, l'Inter ha vinto all'ultimo secondo. Ci sono ancora tante partite da giocare e in ogni gruppo comincia a serpeggiare stanchezza". Si entra nei dettagli. Il rigore, per esempio. Mancini l'ha ottenuto con un dribbling interrotto in malo modo da Bertotto. Una voce fuori dal coro: caro Mancini, lei è stato abile a cercare la gamba del difensore. Mancini si arrabbia come se avesse subito un fallo da dietro: "Questa è una gran cavolata. Io non ho cercato niente, ho fatto una finta e ho superato l'avversario in dribbling, ma sono stato messo giù. Un rigore nettissimo". Un rigore sbagliato. "Jugovic ha commesso l'errore a causa delle condizioni del dischetto. C'erano dei buchi, il pallone era un po' sbilenco".
Un gol. Un altro gol all'Udinese, il quindicesimo gol di Mancini contro l'Udinese. "Ma io non ce l'ho con i friulani. Anzi, sono quasi dispiaciuto. E' un caso che abbia segnato tante reti all'Udinese". E quel continuo parlare ai compagni? Quel dare disposizioni ai colleghi? Vai di qua, vai di là, fai questo e fai quello. Mancini sembrava l'allenatore in campo. "Ma no - dice lui con sorriso furbo incorporato -. Il fatto è che sono esigente. Tutti i miei colleghi sono esigenti". Tanto da esigere lo scudetto? "Indietro non possiamo ritornare, eppoi io penso che si possa migliorare". Giocare meglio di ieri sarà difficile. "Ma non impossibile. Si può fare di più. Oggi si parte per Madrid, semifinale-Uefa. "Siamo tranquilli, consapevoli dei nostri mezzi. Anche se ogni tanto sbagliamo, non siamo fessi". Vladimir Jugovic conferma l'aneddoto del dischetto-traditore: "C'era un mucchio di sabbia che nascondeva un buco. Però ho sbagliato ad assumermi la responsabilità del tiro. Non stavo bene, non ero concentrato in modo giusto. Chiedo scusa a compagni e tifosi". Uno sguardo oltre la coppa: "Domenica Lazio-Juve. Una partita del genere è un onore, un piacere". Supremazia Lazio contro l'Udinese. Totale, devastante. Jugovic dice di aver già vissuto certe sensazioni: "Nella Stella Rossa e nella Juve". E la Juve di oggi? "Una signora squadra". L'ex squadra di Jugovic.
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