Sabato 16 ottobre 1999 - Udine, stadio Friuli - Udinese-Lazio 0-3

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16 ottobre 1999 - 2.856 - Campionato di Serie A 1999/00 - VI giornata

UDINESE: Turci, Gargo, Zanchi, Bertotto, Giannichedda, Genaux (76' Bisgaard), Fiore, Jorgensen, Poggi (55' Warley), Margiotta (62' Sosa), Muzzi. A disposizione: Renard, Sottil, Van der Vegt, Esposito. Allenatore: De Canio.

LAZIO: Ballotta, Pancaro, Nesta, Mihajlovic, Favalli, Conceição, Almeyda, Veron (67' Simeone), Nedved, Salas (85' Inzaghi), Boksic (72' Sensini). A disposizione: Mondini, Gottardi, Couto, Marcolin. Allenatore: Eriksson.

Arbitro: Sig. Rosetti di Torino - Guardalinee Sigg. Galvani e Coppola - Quarto uomo Sig. Blasutto.

Marcatori: 30' Veron, 42' Boksic, 84' Mihajlovic.

Note: giornata plumbea, terreno in buone condizioni. Amminiti: Genaux, Jorgensen, Margiotta, Almeyda, Favalli per scorrettezze. Angoli 5-2 per l'Udinese. Recupero: 1' p.t., 4' s.t.

Spettatori: 19.439 di cui 15.584 abbonati. Incasso £. 580.866.128.


La rete di Juan Sebastian Veron
Alen Boksic scocca il tiro dello 0-2
Gioia biancoceleste
La punizione vincente di Sinisa Mihajlovic
Il difensore serbo abbracciato dopo la rete
Juan Sebastian Veron in azione

La gara contro l'Udinese vede i biancazzurri dominare per tutti i 90 minuti di gioco. Molti giocatori sono reduci dalle trasferte con le rispettive nazionali e solo 24 ore prima dell'incontro Eriksson può contare sui suoi ragazzi. Già al 2' una progressione di Boksic finisce fuori di poco. All'8' è Veron ad entrare in area e tirare addosso a Turci. Al 22' una bella azione corale dei biancazzurri è fermata per un fuorigioco di Almeyda. I biancazzurri, padroni del campo, al 30' passano con Veron che si coordina su un traversone e fa partire un destro imparabile. Al 43' il raddoppio porta la firma di Boksic che, con un destro piazzato, sigla la rete. Al 45' il cileno Salas sfiora la terza rete tirando sul palo esterno dopo aver scartato Turci.

La ripresa vede al 57' l'udinese Muzzi sprecare una grande occasione per riaprire la partita tirando sopra la traversa a pochi passi da Ballotta. Due minuti dopo è Bertotto a calciare mandando la sfera uori di un soffio. La partita si smorza, ma c'è il tempo per la terza rete biancazzurra siglata con una magistrale punizione da Mihajlovic, che fa sbattere la palla prima sulla traversa e poi in goal. Con questa vittoria la Lazio si riporta solitaria in testa alla classifica. Per gli uomini di Eriksson una bella prova di forza.


La Gazzetta dello Sport titola: "Una Lazio mostruosa. Gara perfetta e tre splendidi gol: Udinese schiantata, campionato avvertito. Lo schieramento friulano (tre punte, tutte poco propense a rientrare) aiuta i biancazzurri, forti di un centrocampo perfetto: qualità da Veron, quantità da Almeyda, rifornimenti continui dalle fasce grazie a Conceição e Nedved. Partita chiusa nel primo tempo da un gran tiro al volo di Veron e da una bordata di Boksic. Nella ripresa il solito siluro di Mihajlovic".

Continua la "rosea": La prestazione della Lazio cade sui dettagli: Conceição ha una calza su e l'altra giù, Veron la maglietta mezza fuori dai pantaloncini, Salas non si è fatto la barba e Pancaro ha il pizzetto un po' storto. Se anche questi particolari fossero stati curati, si dovrebbe parlare di partita perfetta, inviando la cassetta del match a quanti sostengono che la perfezione non sia di questo mondo. Come spiegare gli U2 o i profiteroles, altrimenti? E' senz'altro possibile, per non dire probabile, che De Canio abbia agevolato la mostruosa superiorità tattica romana con la scelta suicida delle tre punte (se il Milan gliene aveva mandate contro solo due, una ragione ci sarà stata). La stessa incapacità di alzare il ritmo, scelta obbligata contro rivali migliori, viene pagata. Ma motivare una grande prova soltanto con gli errori avversari è un esercizio triste, perché il calcio è fatto anche di campioni, la Lazio per esempio ne ha tanti, e quando giocano bene tutti assieme hai voglia a non sbagliare. Ti costringono loro, alla figuraccia. Gli appassionati di moduli possono annotare la bella rivincita del classico 4-4-2 sul modaiolo 3-4-3; ovviamente è l'interpretazione a fare la differenza, e il 4-4-2 di Eriksson, con le frequenti sovrapposizioni di Pancaro (soprattutto) e Favalli, le volate esterne di Conceição e Nedved, il barrierone centrale composto da tre uomini (Almeyda, Almeyda e Almeyda) e Veron in continuo inserimento potrebbe quasi fare a meno delle due punte, tanto è offensivo. Già un centrocampo così ha pochi precedenti nella storia; se ci aggiungete la possibilità che ha la Lazio di raggiungere Boksic e Salas direttamente da dietro, con i lanci di un Mihajlovic in grado di farti la riga in mezzo ai capelli da 60 metri di distanza, il massacro è presto spiegato.

Poggi, Margiotta e Muzzi se ne restano colpevolmente in zona Nesta a bighellonare, lasciando i loro compagni in perenne inferiorità numerica, e così l'Udinese, malgrado le tre punte, nei primi 45 minuti arriva una sola volta al tiro (Muzzi, fuori) a fronte del seguente bilancio laziale: 2 gol, una rete annullata (Almeyda), una traversa (Nedved a gioco fermo), un palo (Salas), 4 altre buone occasioni. In tribuna c'è chi accosta la gara a un allenamento fra la nazionale e una squadra primavera: specificasse la nazionale di quale Paese (non certo l'ultima Italia), gli si potrebbe dare ragione. Beccati gli schiaffoni nel primo tempo, l'Udinese ritrova la sua dignità di squadra accettabile nella ripresa, quando però la Lazio, paga dei tre punti ormai intascati, rallenta i colpi in vista di Maribor. Ma nel campo lasciato progressivamente libero dagli avversari, i friulani non riescono comunque a fare gioco se non col coraggioso Bertotto, che peraltro un paio di volte allarga platealmente le braccia verso De Canio invocando un compagno cui deputare il compito: con tutto il rispetto, se Bertotto fa il regista c'è qualcosa che non va, come lui per primo fa notare al suo tecnico. Il quale tatticamente non cambia nulla, limitandosi ad alternare le molte punte che ha in rosa e spingendo Jorgensen, squartato nel primo tempo da Conceição, a invadere una fascia che il portoghese non attacca più, limitandosi a controllarla. Indiziato di jet-lag, Veron gioca come se fosse reduce da una settimana di sonno prolungato e riposante: il gol con il quale stappa il risultato è stupendo (31', gran numero di Conceição sulla destra cui segue un traversone che l'argentino timbra al volo come pochi sanno fare). A metà ripresa esce per Simeone, altro reduce transoceanico, mentre il terzo trasvolatore, Sensini, dopo un po' avvicenda Boksic. Qualche spicciolo finale per Simone Inzaghi, il tutto sotto gli occhi di Mancini in tribuna, mentre Stankovic, Negro e Marchegiani, diversamente ammalati, hanno seguito la gara in tv.

Se vi pare che la rosa laziale sia una specie di Louvre del calcio, avete la nostra benedizione. Anelka dove l'avrebbero messo? All'ufficio marketing? Due sbagli da mandarlo a letto senza cena impediscono a Muzzi di riaprire in qualche modo i giochi, togliendo all'Udinese la chance di sfruttare almeno un ritorno agonistico dovuto, dopo la mattanza di prima. La solita punizione di Mihajlovic è un corollario spettacolare ma ormai ininfluente sul risultato, i friulani s'erano già arresi, volevano solo trattare la resa. Più importante, in prospettiva, il ritorno al gol di Boksic, che dopo due errori in avvio trova il colpo vincente in chiusura di primo tempo, su assist dell'onnipresente (pure in area!) Almeyda: la mossa del croato è sempre la stessa, scatto in profondità che devasta la linea difensiva avversaria e pallone che gli arriva sui piedi, da lontano (Mihajlovic) o da vicino (Veron). Il fatto che segni è invece una novità, in campionato non gli capitava da molto tempo: nel giorno in cui Salas, stranamente, manca le palle-gol a disposizione (un palo esterno più un "passaggio" a Turci), Eriksson pesca dalla sua collezione di assi un'arma nuova, o meglio rinnovata. Questo significa essere ricchi. Il palo colpito in chiusura da Jorgensen vieta a De Canio anche la minima soddisfazione di segnare quel gol che all'Udinese, contro la Lazio al "Friuli", manca da parecchi anni. Oltre che alla superiorità qualitativa degli avversari, lampante, la sua sconfitta si deve all'incapacità di fronteggiare il pressing laziale: non era semplice, ma con un centrocampista in più avrebbe potuto provarci. O con un attaccante che si degnasse di rientrare. Se ne stavano tutti e tre lì, a guardare le perfette chiusure di Nesta, ammirati. E tentare di spettinarlo?