Il primo scudetto

Da LazioWiki.

Lo "stemma 1905" come appare in un documento ufficiale datato 23 aprile 1906
Lo "scudetto 1906" sulle divise di due dei quattro podisti ritratti davanti alla Casina dell’Uccelliera; la recente ricostruzione dell’emblema operata sulla base di tecniche di fotocolorimetria
Lo scudetto
Samuel Pickwick fa il suo solenne annuncio: "La Lazio è nata azzurra!"
La foto di Pagliani secondo arrivato alla gara dei 30 km del 12 maggio 1904, pubblicata su La Stampa Sportiva
La Gazzetta dello Sport del 20 maggio 1904
La foto di repertorio della Gazzetta dello Sport in occasione del primato dell’ora stabilito da Pagliani a Piazza di Siena il 30 dicembre 1905
La foto posata a Villa Borghese nel settembre del 1906, reduce il campione biancoceleste dalla conquista a Torino del titolo UPI sui 25 km. La fonte è il giornale capitolino Gli Sports del 1910
Pagliani mentre fissa il nuovo record della mezz’ora a Piazza di Siena, il 21 giugno 1908: canotta bianca con la scritta, ma senza più lo scudetto
Lo Statuto-Regolamento 1923
L’articolo dello Statuto-Regolamento 1923 che prescrive il bianco e il celeste come colori ufficiali
Pagliani alla partenza del cross country nazionale "Coppa Duca di Sparta" disputato a Roma l’11 novembre 1908
Romano Zangrilli, campione italiano di marcia di resistenza, foto apparsa sul settimanale La Stampa Sportiva del 2 luglio 1905
La spilla originale dello Sport Pedestre Genova, società dagli smalti biancorossi fondata nel 1897
Il retro della spilla. Le frecce rosse indicano le parti realizzate a sbalzo tramite punzonatura meccanica; la freccia verde indica la superficie posteriore dello scudo che, non essendo a sbalzo, appare piatta
Un diploma stampato per il decennale sociale, dove si vede bene lo stemma con l’aquila che tiene lo scudo della città di Genova
Emilio Lunghi nel giugno 1908, quando scese a Roma e stabilì a Piazza di Siena, davanti al re Vittorio Emanuele III, il record mondiale dei 1000 metri piani. Sulla sua maglia campeggia lo stemma con l’aquila "laziale"

Eureka!

Ogni entusiasta contiene un falso entusiasta, ogni amante un falso amante, e ogni uomo di genio un falso uomo di genio. Potremmo aggiungere – nello strano caso dello "scudetto 1901" evocato da un sito laziale "biancazzurro" – che ogni primo scudetto contiene un falso primo scudetto. Ma illustriamo bene la "quaestio", giacché non tutti i lettori possono essere consapevoli dei dettagli minuti e controversi riguardanti le scaturigini della ultracentenaria Società Sportiva Lazio. Noi di LazioWiki, non molto tempo fa, abbiamo accertato, con discreta documentazione, la primogenitura del cosiddetto "emblema 1905": lo scudo svizzero a "strisce bianco-celesti" (secondo la dizione originale di Ballerini) con aquila e cartiglio azzurro. Rimarchevole esemplare araldico che compare sul berretto di Bruto Seghettini in una foto scattata a Villa Borghese il primo ottobre del 1905. Emblema dapprima forgiato in metallo, da appuntarsi come spilla sulla stoffa, e poi planato su una delle più antiche carte da lettere intestate della Podistica; un documento conservato all’Archivio Storico Capitolino e datato 17 marzo 1906. Incunabolo prezioso rinvenuto per via delle virtù benedettine del consocio Impiglia, probabilmente anche lui inseribile a pieno titolo nelle ambigue riflessioni notturne di Paul Valery.

Il 10 gennaio 1908 i nostri colori vengono definiti bianco-celesti

La novità dello scudetto 1901 bianco e azzurro, generosamente regalata alla Polisportiva nel giorno del suo centoventunesimo compleanno, consiste in una "perizia fotocolorimetrica" effettuata su una delle più famose fotografie dei pionieri: quella che ritrae i "quattro podisti" in posa davanti a un edificio, e due di loro hanno la canotta bianca con ricamata la scritta "Lazio" e uno scudettino applicato sul torso. L’analisi segue gli standard scientifici più moderni: l’algoritmia della scala dei grigi secondo la metodologia "deep learning" sperimentata alla Berkeley University of California. Tutto ciò, a prima vista, è abbastanza impressionante. Il risultato dell’analisi – lo stemmino pare proprio non sia biancoceleste – ha spronato a una pubblica esultanza che definiremmo di tipo pickwickiano: l’illustrissimo e panciuto Samuele Pickwick, P.G. M.C.P., che si alza imperiosamente sulla seggiola, pieno di vita e di slancio, per annunciare la scoperta rivoluzionaria al mondo intero: La Lazio è nata azzurra... ve l’avevo detto io!!

"Tonalità turchese intenso" – per l’esattezza. E qui già potremmo argomentare che la differenza tra il color turchese e il color "celeste acceso" è minima. Ma riprenderemo quest’aspetto più in là. Qui ci preme piuttosto sottolineare un errore di base nella teoria pickwickiana: l’immagine dei "quattro podisti" non è del 1901, bensì dell’estate del 1906. Fu presa davanti alla Casina dell’Uccelliera di Villa Borghese, a quei tempi ribattezzata Villa Umberto. Da quell’anno, infatti, la Casina prospiciente il recinto sportivo Parco dei Daini era la nuova sede sociale, ottenuta grazie alle conoscenze del presidente Fortunato Ballerini. LazioWiki ha svolto il suo studio particolare sulla foto, senza per questo scomodare gli algoritmi del Berkeley, ed è giunta alla sua affidabile conclusione. Lo "scudetto 1901" va, dunque, riposizionato un bel tratto più avanti nella timeline. D’altronde, due tra le immagini più importanti della fase pionieristica – quella del maggio 1904 posata a piazza d’Armi e l’altra dell’ottobre 1905 a Villa Borghese – non presentano l’emblema pickwickiano suddetto, e questo suona un bel po’ strano, no? Non un cambiamento da poco, lo slittamento dello "scudetto 1901” al 1906, giacché lo rende meno antico rispetto all’emblema 1905. Che non per niente la SS Lazio Generale ha brevettato. Lo sappiamo che sembra che stiamo parlando della Sacra Sindone, ma tant’è... Le domande che ora si dovrebbero porre sono le seguenti: 1) Perché lo stemmino misterioso apparve a metà del 1906 sulle divise dei podisti? 2) Per quanto tempo ci rimase? E soprattutto: che valore riveste nella storia araldica della SSL?


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Pericle Pagliani

Chiariamo subito come siamo arrivati alla datazione 1906 dell’immagine dei "quattro podisti". Ci è bastata una conoscenza quasi calligrafica della carriera sportiva del più rilevante personaggio ritratto: Pericle Pagliani. Il grande storico bolognese Marco Martini, nella sua monumentale Storia dell’atletica italiana maschile, lo definisce "il primo atleta vero della Lazio". Nativo di Magliano in Sabina, Pagliani si tesserò alla SPL nel 1904, in automatico per l’assorbimento della Società Esperia dalla quale proveniva. Corridore di mezzofondo e fondo, stabilì un bel numero di record e vinse diversi titoli nazionali. Fu, unitamente a Dorando Pietri, il nostro più valido maratoneta fino ai primi anni ’20, orgogliosamente tesserato sempre alla Lazio, a parte una parentesi con la Colombo e un breve periodo da professionista. Abbiamo molte immagini di Pagliani, quasi tutte tratte da giornali coevi. Esaminiamone alcune. Nel 1904, allorché, il 12 maggio, giunge secondo in una gara di 30 km a Milano, Pagliani indossa una maglia bianca girocollo; un numero copre il petto, ma un disegno sulla Gazzetta dello Sport lo ritrae senza scritta. Un’altra immagine del Pagliani atleta concerne il primato dell’ora stabilito a Piazza di Siena il 30 dicembre del 1905.

Nell’occasione, la "rosea" pubblica una foto di repertorio, e qui il campione sabino ha la canotta bianca con la scritta, ma senza lo scudetto. Il 25 marzo 1906, il nostro vince il Premio Lazio, prova nazionale sui 20 km bandita annualmente dalla SPL. Il 31 dello stesso mese, nell’ambito delle selezioni a Roma per formare le squadre da mandare alle Olimpiadi Straordinarie di Atene, trionfa nella gara delle cinque miglia, e non sappiamo che tipo di maglia abbia usato quel giorno. Tuttavia, sulla scorta del fatto che la Podistica occupa la Casina dell’Uccelliera solo il primo maggio del 1906, va da sé che la foto dei "quattro podisti" non possa essere stata posata prima; a nostro avviso, essa va collocata in piena estate, considerando i costumi e l’abbronzatura. La foto è di quelle mai apparse sui giornali, giunta a noi direttamente da album familiari. Potrebbe essere stata scattata ad agosto, alla vigilia della partenza di Pagliani per la maratona Arona-Pallanza, dove si ritirò a pochi chilometri dal traguardo quand’era in testa. Ad ogni modo, è certo che nella stagione 1906-1907 Pagliani gareggia, quando la temperatura lo consente, esibendo la canotta con la scritta e lo scudettino biancazzurro che lo identifica, agli occhi degli spettatori, come un esponente della "Lazio" di Roma.

Esiste una famosa foto posata su una terrazza di Villa Borghese, il Pericle con la fascia tricolore a tracolla conquistata ai campionati nazionali UPI 25 km svolti a Torino nel settembre del 1906. Immagine che abbiamo trovata ripubblicata sul giornale Gli Sports nel 1910, quando già era passato nelle file della Cristoforo Colombo. Non ci sono distorsioni della canotta, per cui si vede meglio la forma dell’emblema, poco abbinabile a uno "scudo svizzero" e piuttosto riconducibile a uno "scudo sagomato". Nel 1908, il 21 giugno, Pagliani fissa, sulla pista in carbonella di Piazza di Siena, il record italiano della mezzora di corsa. Una stupenda istantanea ce lo mostra in piena azione, con la canotta bianca di nuovo priva dello stemmino. Lo scudetto in questione – a nostro parere – fu fatto in casa. Il colore turchese-azzurro, quello dell’algoritmo, non ci disturba più di tanto. All’epoca, non si era precisi sulla tonalità: la Canottieri Aniene, nata gialloceleste a strisce orizzontali, sciorinava divise e costumi di gara che variavano dal cilestrino all’azzurro marino. I nuotatori della Rari Nantes Roma, pure, avevano stemmi celesti o azzurri, digradanti nelle varie sfumature: un cliché fiumarolo. Uno stemma ufficiale della Rari Nantes Waterpolo 1901, un altro dello Sporting Club Roma, sono simili a quello applicato sulle loro canotte nel 1906 dai due podisti laziali: Pagliani e Mariani.

Ciò che importa veramente è sapere il motivo per cui non venne utilizzato lo stemma della SPL, che campeggiava sui documenti già da diversi mesi in quell’estate del 1906. Semplice: era troppo complesso da realizzare. La Lazio non disponeva delle finanze per produrlo in un laboratorio tessile o in sartoria. Che lo "scudetto 1901" sia stato un qualcosa di estemporaneo, rapportabile a un’iniziativa di singoli non dettata dalla dirigenza, lo si evince dal fatto che se ne sia poi perduta la memoria; almeno fino alle attuali discussioni.


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Lo "scudetto americano"

Ricapitolando, la Podistica Lazio sorge bianca all’orizzonte del 1900. Nella tarda estate del 1904 inaugura una bandiera a strisce biancocelesti verticali (ma forse orizzontali, in omaggio alle leggi dell’araldica) e, come panoplia, nel 1905 aggiunge uno scudo svizzero che include un’aquila; arma che si compone di un cartiglio azzurro con la scritta "S. Podistica Lazio" e ha come smalti sette strisce bianche e celesti; di un "celeste acceso" – sarebbe stato puntualizzato in seguito negli statuti. In particolare, fa testo lo Statuto e Regolamento Generale edito dalla SPL nel 1923, laddove, all’articolo 66, si legge: "In genere, il bianco-celeste in tutte le gare sportive dovrà ritenersi come il distintivo della "Lazio"". Dopo attenta analisi, questo impagabile documento, che la SS Lazio Generale custodisce in formato digitale, è stato archiviato come autentico dallo storico dello sport Marco Impiglia. E stiamo parlando del più accreditato studioso dello sport romano, scopritore della prima partita di calcio giocata dalla Lazio e della più antica foto di gruppo, databile con certezza, della Podistica. Sciocche e pretestuose appaiono le proteste di chi vorrebbe che il suddetto documento sia un sofisticato falso. Il bianco-celeste, dunque, fu l’abbinamento di colori scelto dalla Lazio: il bianco originario cui si aggiunse il celeste dei footballers.



E qui ci riportiamo, con la nostra speciale Macchina del Tempo, al sabato del 14 maggio 1904. Nella dimora del loro capitano Sante Ancherani, i pionieri laziali, aiutati dalle loro donne, "compongono" la prima divisa: un’elegante camicia di flanella metà bianca e metà celeste, comparabile a quella bianconera sfoggiata dai rivali della Virtus. Quel medesimo giorno, in un appartamento poco distante, il poeta Rainer Maria Rilke scriveva: Le mie mani cercano amore... A partire dall’autunno del 1904, e lungo svariate stagioni, i podisti si cimentano invece con maglie e canotte sia bianche, con la classica scritta azzurra "Lazio", sia biancocelesti (ad esempio, Romano Zangrilli il 18 giugno del 1905 a Vercelli, quando si aggiudica il campionato italiano di marcia 30 km). Nel 1906 appare lo "scudetto Pagliani" (così ci piace chiamarlo, in onore del più glorioso rappresentante della sezione atletica leggera), che serve a segnalare gli smalti sociali. Non avendo un carattere ufficiale, può essere azzurro invece che celeste: dov’è lo scandalo? Nel novembre del 1908, poco dopo le Olimpiadi di Londra – dove pure Pagliani gareggia nella individuale six miles e nella prova a squadre delle tre miglia – le divise dei podisti presentano una ulteriore novità: al Cross Country Nazionale disputato a Roma, tre dei sei iscritti corrono con una maglia bianca a maniche corte che reca sul davanti, in posizione centrale, un vistoso simbolo: uno scudo francese moderno a strisce verticali.

Anche in questo caso, i podisti "amateurs" laziali non fanno che adeguarsi – secondo il loro estro e liberi nella scelta – alla moda imperante, quella diffusa dagli atleti sui campi olimpici. Nel mondo, i più eccelsi cultori del track and field esibiscono uno stemma nazionale cucito all’altezza del plesso solare sulle maglie generalmente candide. I tre col nuovo stemma rispondono ai nomi di Augusto Cocca (che si classificò secondo) Arnaldo Steffenini (terzo) e Felice Mariani (ottavo). I due restanti componenti del sestetto nella storica immagine, pubblicata sul bollettino della Federazione Ginnastica, sono: Olindo Bitetti (abbracciato da Pagliani, e che non sembra avere lo stemma) e Filippo Brunner (con la vecchia maglia "Lazio", ma senza lo stemmino 1906). Pagliani, dal canto suo, non si esibì quel giorno con la nuova maglia molto fica. Si riteneva oramai talmente riconoscibile dalla gente da permettersi di indossare un’anonima girocollo bianca. Esattamente come era accaduto per la casacca creata in casa dai calciatori, e che aveva funto da volano per determinare i colori del vessillo (estate 1904) e dello stemma sociale (estate 1905), è lo spirito di emulazione a guidare i tre podisti della SPL. Ragazzi di modesta levatura agonistica che gradiscono avere sulle loro divise – nell’occasione di un evento speciale come un campionato italiano a squadre – un "emblema di appartenenza" pareille a quello dei super-atleti internazionali. Star come lo statunitense Melvin Sheppard, vincitore di tre medaglie d’oro a Londra e del quale leggevano, ammirati, le imprese sui giornali.


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Lo "stemma 1905" e la sua filiazione genovese

È vero che il passato ci chiede continuamente di essere interrogato. Non molto tempo fa, navigando sul web, ci siamo imbattuti in un’inserzione che proponeva una spilla che, se non fosse stato per il blasone dello scudo svizzero, recante una croce latina, si presentava identica al più antico stemma della Lazio. Diverso il nome della società inciso sul cartiglio tenuto dal becco dell’aquila: "Sport Pedestre Genova". Ci siamo consultati e il nome diceva qualcosa: era il club di un "crack" italiano dell’atletica leggera, il genovese Emilio Lunghi. Le ricerche sono subito partite. Lunghi, classe 1886, è stato per davvero l’atleta che strabiliò americani e inglesi, stabilendo primati mondiali e cogliendo l’argento ai Giochi Olimpici di Londra 1908 in una delle gare che tutti volevano vincere: gli 800 metri piani. Un ragazzo straordinario, nobile d’animo, di fisico "nordico", la pelle bianchissima, le proporzioni meravigliosamente adatte alla corsa di mezzofondo. "Amateur" di stampo decoubertiniano, Lunghi scese più volte a Roma a gareggiare sul tracciato di Piazza di Siena e anche allo Stadio, nel 1911 quando era passato nelle file dello Sport Club Italia di Milano. Ma il meglio della sua carriera lo espletò nelle file dello Sport Pedestre Genova.

Fondato il 16 giugno del 1897, il sodalizio aveva i colori biancorossi, era affiliato all’Unione Pedestre Italiana e si dedicava alla marcia, alle corse e all’atletica pesante. Lo presiedeva Giovanbattista Orengo, il direttore sportivo era Giovanbattista Rota. Queste notizie le estrapoliamo dalla rivista La Stampa Sportiva. Giornale che concede anche le informazioni sul luogo del possibile "contatto" tra i podisti laziali e i podisti genovesi. Che dovrebbe essere avvenuto a Vercelli nel 1905, nel corso di "feste sportive" includenti i campionati UPI. La comitiva che partì in treno dalla Capitale alla volta di Vercelli, il venerdì sera del 16 giugno 1905, era formata da cinque autentici campioni tiberini. Per la Lazio, il corridore Pericle Pagliani, iscritto alla Corsa di Resistenza di 25 km, e il marciatore Romano Zangrilli, desideroso di un confronto diretto con i rivali del nord. Entrambi con reali prospettive di vittoria, e soprattutto Zangrilli, al quale un torinese della "Atalanta" aveva strappato il primato dell’ora stabilito l’anno avanti sul tracciato di Piazza d’Armi. Poi c’erano Colombo Salvucci e Coccia Angelo, della Società Giovane Roma. Due valenti marciatori che avevano iniziato nella Ginnopodistica Esperia, il club biancoverde del quartiere Prati assorbito nel 1904 dalla Lazio.

Chiudeva il drappello degli avventurosi Giuseppe Pace, anche lui della Giovane Roma, marciatore di fondo e discreto ciclista. Pace di mestiere faceva lo strillone di giornali come Pagliani, per cui la loro amicizia comprendeva sport e lavoro in simbiosi. Possiamo immaginarceli, i cinque "sudisti", a giocare a carte e mangiare panini nelle venticinque ore buone che impiegavano i treni nella tratta Roma-Torino, più il cambio per raggiungere Vercelli. A parte Pace, tutti ottennero ottimi risultati: Zangrilli trionfò nel Campionato Marcia di Resistenza di 30 km, mettendosi alle spalle Salvucci e Coccia. Una gara in solitario di Zangrilli e Salvucci, d’accordo i due sul ritmo stabilito al minuto, e poi l’allungo del migliore: il ragazzo in biancoceleste nativo di Norma. Nel Campionato Corsa di Resistenza 25 km, Pagliani dovette inchinarsi a Dorando Pietri, il carpigiano che sarebbe diventato famoso per la maratona olimpica persa a causa di una overdose di stricnina. Ci si aiutava, così, in quei tempi pionieristici: strane miscele fatte in casa, "bombe" chimiche che ti portavano a un soffio dalla Morte oppure ad abbracciare la dea Nike. Lo Sport Pedestre Genova, dal canto suo, trionfò nel Campionato Italiano di Mezzofondo, stabilito in 1.500 metri. Primo giunse Lunghi, secondo il consocio Roberto Penna.

Giusto l’alessandrino che l’anno dopo, di leva militare a Roma, si esibirà con la maglia della Lazio a Frascati; anche lui partecipante alle Olimpiadi londinesi, tra l’altro, per diretto intervento dell’organizzatore della spedizione azzurra, il presidente Ballerini. Zangrilli a Vercelli gareggiò con una canottiera bianca e celeste a larghe fasce orizzontali, probabilmente confezionata in casa. I genovesi, invece, disponevano di maglie tutte uguali, eleganti e alla moda: T-shirt a collo alto e le maniche bordate di rosso. Vermiglia la banda trasversale all’altezza del cuore, con la scritta "Sport Pedestre Genova" finemente ricamata in filo d’argento. Ma, soprattutto, la società ligure aveva stampato sontuosi diplomi e coniato spille riproducenti lo stemma del club: l’aquila che sosteneva lo scudo svizzero dell’arme municipale. E allora, la domanda fatale, immaginiamo che ve la siate posta pure voi: ma non è che, niente niente, una di quelle spillette, Lunghi o Penna, o qualcun altro degli atleti genovesi in trasferta a Vercelli, la regalarono ai colleghi laziali? Già, perché, tre mesi dopo, la vediamo apparire a Villa Borghese sul berretto di Bruto Seghettini. Così si usava, infatti; e la riprova sta in una nota immagine di Luigi Bigiarelli, colta nel 1902 in Francia.

La spilla-emblema della Podistica Lazio al 99%, fu prodotta nel laboratorio di via del Babuino di Galileo Massa; uno dei nove fondatori e appartenente a una famiglia di medaglisti e fonditori di assoluta eccellenza. Non dovrebbe essere stato difficile, per il bravo Galileo, farne una copia identica, nel momento in cui aveva il modello a disposizione. Fabio Bellisario ci spiega come si svolse l’intera operazione. E illustra le caratteristiche della prima spilla della Lazio, con la sua pacifica aquila alpina che, in brevissimo tempo, sarebbe stata stampata sulle carte intestate della Lazio. E, a proposito, la spilla dello Sport Pedestre Genova ora fa parte del "reliquiario" di LazioWiki. Sta dentro un cofanetto di velluto blu.


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La spilla modello nelle nostre mani

Lo studio del distintivo dello SP Genova ci consente di accertarne il processo di realizzazione. Esso è chiaramente il frutto di due metodi di lavorazione diversi che determinano il discreto valore estetico di questo piccolo manufatto. Se, nell’esecuzione dell’aquila e del cartiglio, si è fatto ricorso alla tecnica dello sbalzo su lamina metallica in ferro, con uso di punzone, nello scudo vero e proprio si è operato tramite la procedura dello smalto dipinto. Per quel che riguarda l’aquila e il cartiglio, vediamo che, nella prima fase, l’artista ha creato l’immagine in rilievo per "via di levare", tramite sgorbie e cesello, direttamente su una matrice metallica dura che ha poi funto da punzone. Da tale operazione ha ricavato, sulla faccia posteriore della lamina, il negativo dell’immagine, il cui positivo è rimasto sbalzato sulla faccia anteriore. Tale antichissima tecnica, usata senza punzone quando ciò che si vuole ottenere non ha i caratteri della serialità, è ben visibile osservando la parte posteriore dello stemma. Il disegno è piuttosto raffinato e presenta un buon grado di accuratezza. La lavorazione dello scudo è stata altrettanto minuziosa. Vi è rappresentato lo stemma del Comune di Genova, una croce latina vermiglia su campo bianco.

Blasone realizzato con la tecnica dello "champlevé", per il quale con una puntasecca si riporta il disegno voluto sulla faccia anteriore. Quindi con un bulino si toglie il metallo, laddove deve andare lo smalto, fino alla profondità di circa un millimetro. Dopo aver reso scabra la superficie per favorire l’adesione tra smalto e metallo, si sgrassa con acidi e si passa una spolverata di smalto fondente che, cotto, per una particolare reazione chimica che avviene tra smalto e metallo, va a costituire la base della pittura. Un fine pennello e dei colori vetrificabili contribuiscono ad abbellire. La cottura per la fissazione dello smalto, che risulta coprente, è eseguita a non elevata temperatura, circa 380°. Attualmente, queste procedure sono cadute in disuso e la smaltatura si esegue a freddo con resine sintetiche. Per dare il tocco conclusivo alla sua creazione, l’artigiano ha limato con precisione le piccole imperfezioni e ha lucidato a mano l’oggetto. Purtroppo, la spilla-distintivo è priva sia del nome dell’artista che di quello del laboratorio. Dal tipo di procedure messe in opera e considerati i materiali, si può presupporre la sua originalità: non siamo in presenza di un falso. Mentre il "modello Lazio" non ha firme di alcun genere, un altro tipo di spilla, posta in circolazione in quegli stessi anni dallo SPG, reca la dicitura M. Nelli e C. Firenze.

La ditta Nelli era molto conosciuta, serviva tutto il centro-nord Italia con i suoi prodotti eseguiti su commissione: diplomi, medaglie, targhe, coppe, spille e distintivi. Il titolare, Mario Nello Nelli, era un valido marciatore e fu uno dei pionieri della Lazio, già tra i fondatori della Società "Nera" nel 1898. Ci si potrebbe chiedere: ma se fosse stato lo SPG a imitare la SPL, e non viceversa? La quantità di materiali (diplomi, medaglie, spille, targhe e perfino una maglia coll’emblema cucito), fatti uscire dal sodalizio sportivo genovese tra il 1897 e la Grande Guerra, porta a credere che l’uovo sia nato dalla gallina. Tra l’altro, c’è un dettaglio che fa riflettere: il cartiglio ha la lunghezza giusta per inciderci sopra "Sport Pedestre Genova" e non "Società Podistica Lazio". Per questa ragione, Massa fu costretto a troncare la prima parola in una esse puntata. Erano trascorsi pochi anni dalla nascita dello Sport Pedestre Genova, ma il termine "pedestre", un francesismo, aveva già ceduto al più moderno "podistico". Così, istituendo nel 1907 il brevetto Fortior, lo SPG lo chiamò Fortior Podistico. Rimane un solo mistero da svelare: chi fu l’autore del disegno? A chi dobbiamo l’aquila della Podistica? Si pensava che avesse un suo preciso valore "alpino", voluta da Ballerini per battezzare la sezione escursionistica nel 1906. Ma pare proprio che non sia andata così. Olimpia, bella metallica, è arrivata a Roma per caso già nell’estate del 1905: un’Aquila Reale discesa a volo planato dalle Alpi Liguri.





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