Domenica 2 maggio 1999 - Udine, stadio Friuli - Udinese-Lazio 0-3
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2 maggio 1999 Campionato di Serie A 1998/99 - XXXI giornata
UDINESE: Turci, Bertotto, Calori, Pierini, Genaux, Giannichedda, Walem, Jorgensen (46' Bachini), Locatelli (46' Sosa), Poggi, Amoroso (84' Navas). A disp. Wapenaar, Zanchi, Gargo, Van Der Vegt. All. Guidolin.
LAZIO: Marchegiani, Negro, Nesta, Mihajlovic, Pancaro, Sergio Conceicao (52' Gottardi), Stankovic (74' Fernando Couto), Okon, Lombardo, R.Mancini (80' De La Peña), Vieri. A disp. Ballotta, Nedved, Lombardi, Salas. All. Spinosi - DT Eriksson.
Arbitro: Pellegrino (Barcellona Pozzo di Gotto).
Marcatori: 30' Mihajlovic (rig), 48' Vieri, 57' R.Mancini.
Note: ammoniti Vieri per fallo di mano, Sergio Conceicao per gioco falloso, Locatelli per simulazione. Angoli: 3-2 per l'Udinese.
Spettatori: 30 mila circa. Paganti 13.048, incasso 612.727.000. Abbonati 15.776, quota 383.653.000.
La Lazio sbanca Udine con una dimostrazione di grande forza e determinazione, bissando il successo di Genova e mostrando una reazione di orgoglio e personalità dopo la sconfitta nel derby e quella contro la Juventus, passi falsi che hanno riportato il Milan ad un passo dalla vetta e pronto, proprio in questa domenica apparentemente favorevole ai rossoneri, al clamoroso sorpasso.
La lotta per lo scudetto è ancora incerta, la Lazio ha un piccolo ma importante vantaggio, il Milan riesce a far sua la partita con la Sampdoria solo al 95' con una fortunosa rete di Ganz, dopo una serie di occasioni fallite dai doriani. A fine partita, soddisfazione per la vittoria da parte di Eriksson (autore di scelte coraggiose, come l'accantonamento di Salas, Nedved e Boksic e la scelta del redivivo Paul Okon per la regia a centrocampo) e dei calciatori, ma rammarico per le notizie giunte da Milano nei nei minuti di recupero.
► La Gazzetta dello Sport titola "La Lazio torna a ruggire - Successo importantissimo per i biancazzurri sul campo dell'Udinese - Mihajlovic-Vieri-Mancini confermano il primo posto - Non è la Lazio di qualche tempo fa, ma i sintomi della riscossa ci sono tutti: dopo la Samp, atterrata l'Udinese. Senza strafare, soffrendo. E capitalizzando un episodio fortunato (il rigore di Bertotto) per poi dilagare".
Evidentemente Bertotto non vuole entrarci in questa storia di scudetti già vinti, persi, recuperati. Due settimane fa aveva spianato la via al Milan con un fallo di mano nella sua area che rimane inesplicabile e, per non dare la sensazione di avercela con la Lazio, ieri si è ripetuto con una mano malandrina su Mancini che ha rotto l'equilibrio di una partita fino a quel momento senza volto e senza padroni.
Scherzi a parte, il rigore al 30' trasformato da Mihajlovic con un rasoterra potente al punto giusto per annullare l'intuizione di Turci, ha costituito la svolta della partita. La sensazione è che ci fosse il fallo di Bertotto, anche perché il pallone deviato da Vieri aveva scavalcato l'intera difesa bianconera e stava spiovendo davanti a Mancini solo a dieci metri da Turci. Magari il laziale ha spettacolarizzato la caduta, ma sotto il fumo c'era l'arrosto di un intervento del difensore teso ad ostacolare l'azione dell'attaccante.
Da questo momento la Lazio ha capitalizzato al massimo un vantaggio potremmo dire anche insperato, perché la squadra di Eriksson era rimasta molto bloccata davanti alla propria area di rigore, senza riuscire a dare aria alla sua manovra. I tentativi di rilancio erano affidati solo a improbabili lanci per l'onnipresente, ma anche isolatissimo, Vieri. Mancini piazzato accanto a lui toccava pochi palloni e da questi non cavava nulla d'importante. Giocava al posto di Salas, ma non poteva essere Salas nello scatto e nella potenza.
Così la palla ritornava sempre ai difensori e centrocampisti dell'Udinese che si gettavano ad ondate sulle barriere biancazzurre. Una sorta di ping-pong anche stucchevole perché fitto di errori specie da parte udinese, in quanto Walem non azzeccava un lancio che uno, Jorgensen veniva imbrigliato da Conceicao a sinistra e a destra Genaux era improponibile per gare di tale livello. In mezzo Locatelli giocava alle spalle delle due punte Poggi e Amoroso, ma a così stretto contatto da facilitare il lavoro di Nesta e compagni. I tre si muovevano in un fazzoletto, dall'esterno non arrivavano suggerimenti precisi e così ogni tentativo di scambio fra i talentuosi attaccanti bianconeri finiva su una gamba, su una testa, sul corpo dei tanti biancazzurri che chiudevano il varco davanti a Marchegiani.
Era l'esemplificazione perfetta di ciò che si deve fare per rendere sterile la manovra offensiva. In pochi metri i giochini, le finte, i palleggi di fino naufragavano completamente: e così la Lazio, senza strafare e, anzi accettando umilmente il copione della classica partita in trasferta, tutta sofferenza e poca gloria, riusciva a cavarsela correndo un solo pericolo e cioè quando Amoroso tirava da fuori area, Marchegiani respingeva e per un pelo lo stesso brasiliano non ribatteva in rete.
Da parte sua, la Lazio aveva avuto un'unica occasione da gol quando finalmente Conceicao al 20' era riuscito a spingersi lungo la fascia fino alla trequarti e da qui aveva raggiunto Vieri con un ottima parabola che aveva scavalcato Calori; il centravanti aveva girato di testa da pochi passi, ma proprio in bocca a Turci.
Quando alla mezz'ora il rigore di Mihajlovic ha sbloccato lo 0-0, le due contendenti si allontanavano l'una dall'altra: la Lazio acquistando sempre maggiore fiducia, dando ad uno straordinario Vieri sempre più assistenza, l'Udinese invece sprofondando in un'altra prestazione desolante, tipo quella offerta contro il Milan.
Guidolin ha cercato ad inizio ripresa di smuovere le acque presentando Sosa e Bachini al posto di Locatelli e Jorgensen e qui riproponendo di colpo quel 3-4-3 che era stato gettato tra le anticaglie delle tattiche in disuso. Poggi si è allargato a destra, Amoroso a sinistra e Sosa si è piazzato in mezzo. Ebbene, l'Udinese ha reagito come un corpo che rigetta un organismo estraneo. E' andata a picco sotto i colpi di una Lazio che in 12' ha segnato prima di testa con Vieri (punizione di Mihajlovic); poi sempre di testa con Mancini su cross dal fondo di Lombardo che riprendeva il pallone respinto dalla traversa su destro di Vieri; e nel frattempo c'era stata anche una respinta di Pierini su bordata di Stankovic con palla forse già entrata in porta.
Insomma un dilagare assoluto della capolista che non trovava più ostacoli. L'Udinese si era dissolta, non ne azzeccava una, Amoroso irriconoscibile, Poggi volenteroso ma individualista, Sosa a servire di testa palloni agli avversari, Walem che continuava a sbagliare o al massimo a colpire un palo quando finalmente ne faceva una giusta. Eriksson poteva quindi gestire al meglio la partita, togliere Conceicao già ammonito e quindi a rischio, risparmiare un po' di fatica a Stankovic e a Mancini, mettendo in campo in sequenza Gottardi, Couto e De la Peña.
Non ne veniva penalizzato il rendimento della squadra perché l'Udinese aveva già mollato, avvilita dal 3-0. E così, quella che poteva essere la giornata più a rischio per la capolista, si è trasformata in un trionfo. Il gol della vittoria milanista giunto quando allo stadio Friuli la partita si era già conclusa, ha riportato i biancazzurri alla realtà di una competizione che sarà sofferta sino alla fine. Sarà difficile rivedere la Lazio sontuosa di qualche mese fa, ma una squadra dura a morire e tutt'altro che sbollita questo è poco, ma sicuro.
► La Gazzetta dello Sport riporta le reazioni dallo spogliatoio, con le dichiarazioni del tecnico Eriksson "Pronti a vincere tutte le finali - Il tecnico dei biancazzurri lancia i suoi avvertimenti al Milan - Eriksson: "Per lo scudetto come per la coppa, ogni partità sarà decisiva" - Ha tenuto fuori per scelta tecnica Nedved e Salas, ha preferito Okon a centrocampo. E quando s'è trattato di far uscire Sergio Conceicao non ci ha pensato su. L'allenatore biancoceleste, dunque, può gioire per questa vittoria".
UDINE - E poi dicono che Sven Goran Eriksson è un debole. D'accordo che è facile parlare dopo, a risultato acquisito, ma lo svedese che sta inseguendo con grande determinazione il suo primo scudetto ha operato scelte coraggiose sulla Lazio che a Udine ha conquistato la sua ottava vittoria in trasferta, record stagionale ormai imbattibile in questo campionato. Mettere fuori Nedved e Salas in un colpo solo, mandare in tribuna Boksic (seppur febbricitante ieri) e puntare su Okon a centrocampo sono mosse che hanno lasciato perplessi molti addetti ai lavori. Eriksson senza clamori, ma con decisione ha dato un messaggio chiaro anche allo spogliatoio. E, se non era abbastanza chiaro, al sesto del secondo tempo si è avuta l'ulteriore conferma: fallo inutile a centrocampo di Sergio Conceicao, già ammonito che ha rischiato l'espulsione, Io svedese fa segno a Gottardi di togliersi la tuta e trenta secondi dopo il portoghese è sostituito. in questo momento nessuno può permettersi errori ed Eriksson ha preso in pugno saldamente la situazione, se mal l'avesse persa.
“Non è stato facile scegliere di lasciare fuori campioni come Nedved e Salas - ammette Eriksson - ma avevo bisogno di equilibri a centrocampo e per questo ho preferito mettere Okon, che è più difensivo. Dovevo decidere fra Couto e lui, ma Paul quando sta bene è un grande giocatore e lo ha dimostrato anche qui a Udine. Lo avevo seguito in tutta la settimana e la risposta è stata positiva anche in partita. Può essere stata una sorpresa per gli altri, non per me”. E adesso, dopo due anni in cui aveva pensato anche di smettere, per quest'australiano dai piedi buoni si aprono nuove prospettive: il suo contratto è in scadenza. ma la Lazio si sta già muovendo per rinnovarlo.
Eriksson ha seguito con un orecchio anche il risultato di San Siro: “Solo alla fine del primo tempo ho sentito che il Milan era in vantaggio. Poi, verso la fine, ho capito che la Sampdoria aveva segnato II 2-2 perché qualcuno in fondo alla panchina aveva una radiolina. Certo, quando dopo il fischio finale, in mezzo al campo, abbiamo appreso del 3-2. un po' di dispiacere c'è stato, ma sono convinto che è cambiato ben poco. A questo punto il calendario conta molto relativamente. Se vogliamo vincere Io scudetto dobbiamo pensare di conquistare tre successi, anche se potrebbero bastarne due. Ecco, con quella di Birmingham di Coppa delle Coppe, la Lazio giocherà altre quattro finali e per concludere in gloria bisognerà vincerle tutte. Non sarà facile, ma cl proveremo”.
Oggi Eriksson è più sicuro della sua Lazio di quanto potesse esserlo fino a qualche giorno fa: "Ho rivisto contro l'Udinese la mia vecchia squadra, quella che a lungo ha dominato campionato, che ha ripreso a vincere con grande carattere, giocando un buon calcio e mostrandosi quasi spietata in certi momenti. Una Lazio che ha giocato con la personalità della prima in classifica, lasciando molto poco in avanti a un avversario tutt'altro che arrendevole. Ora so davvero che possiamo vincerle tutte e se ci riusciremo non avremo bisogno di guardarci indietro, di pensare al Milan. E' vero, arrivato a un certo punto, avevamo mollato, ma poi ci siamo ripresi, abbiamo capito che fin quando saremo davanti anche di un solo punto, come adesso, resteremo padroni del nostro futuro".
Eriksson non parla mai di rivincite, ma senza che nessuno glielo chieda sbotta: “Abbiamo dimostrato una volta in più di non essere cotti né fisicamente, né mentalmente. Questa Lazio ci crede e ci crederà sino In fondo a questo scudetto. Ma sarebbe sbagliato pensare adesso che la partita decisiva sarà quella di Firenze. Perché prima dobbiamo pensare a battere il Bologna. Guai a pensare ad altro che non sia la partita successiva".
Il profeta svedese ha dettato la strada. il suo gruppo lo segue ancora convinto, anche chi è rimasto in panchina a dispetto dei tanti miliardi di costo dei cartellini. E sì, perché da Nedved a De la Pena, passando soprattutto per Salas ieri in panca, c'erano circa 100 miliardi di valore. Bravo Eriksson, sei riuscito a non farti schiacciare dal peso di quel danaro e di quei nomi.
Si analizza poi la prova di Roberto Mancini: “Mancini, nuovo giorno di gloria con l’Udinese – Il tecnico svedese punta su di lui e lo jesino lo ripaga con una prestazione all’altezza. È il diciassettesimo gol ai friulani. Un nuovo record per Mancini che, però, pensa soltanto al traguardo finale: lo scudetto.
Udine - Domanda: Eriksson. l'esperimento di Mancini centrocampista è finito? "No. Tutt'altro. Ma quando arriva l'Udinese il Mancio sotto porta combina sempre qualcosa di buono. Sarà l'aria, sarà qualcos'altro ma riesce sempre a segnare...". Quasi ghigna lo svedese-napoletano che oltre alla tattica si è affidato un po' alla cabala. Sedici volte Roberto Mancini aveva fatto gol all’Udinese e non si è fermato nemmeno ieri di fronte al numero scaramanticamente più ostico, quello che non segnano nemmeno come fila nei posti dell’aereo: il 17. Un perfetto cross-assist del vecchio amico Attilio Lombardo e il Mancio è pronto di testa a girare il 3-0. Il gol che ha dato la mazzata definitiva all'Udinese. Una vittoria che, per carattere e personalità, ricorda quella ottenuta al Friuli un anno fa, li 28 marzo, sempre dalla Lazio. Allora finì 2-0 e Mancini realizzò Il gol che sbloccò la partita dopo che Jugovic aveva calciato malissimo un rigore procurato dal solito Bertotto su Mancini. Stavolta, con il difensore udinese pronto ancora a mettere le mani sullo scudetto (dopo quello col Milan, ecco l'abbraccio a Mancini), Mihajlovic non ha perdonato col suo sinistro segnando il suo ottavo gol personale.
E a proposito di classifica cannonieri, la Lazio può vantare da oggi tre uomini in doppia cifra: dopo Salas (13), ecco che Vieri e Mancini hanno raggiunto quota dieci. E proprio per Mancini è un traguardo particolarmente prestigioso, visto che per parecchio tempo Roberto ha agito da centrocampista puro. Con questo gol Mancini raggiunge Roby Baggio in vetta alla classifica dei cannonieri in attività: 158 gol, anche se Baggio stasera potrà rispondere all'Olimpico. Ma l'unico primato che interessa oggi al fantasista di Jesi, l'unico con quale baratterebbe tutti gli altri primati personali, è quello della classifica: non oggi, ma il 23 maggio, quando serve per vincere lo scudetto.
La Gazzetta dello Sport descrive le sensazioni ed emozioni del testa a testa tra Lazio e Milan, che ha vissuto un’altra domenica cruciale: “Eriksson e la lotta a distanza con i fantasmi del sorpasso”.
Schumacher sorpassa Coulthard e vince. Una maledizione, povero Eriksson. Fino a pochi minuti dalla partita, il tecnico svedese è stato aggredito da questa parola: sorpasso. Il Milan con la Samp ha vita facile, la Lazio a Udine rischia grosso: la settimana è sfilata tra ipotesi di ribaltoni, con Eriksson schiacciato contro l'armadio, per impedire che lo scheletro saltasse fuori. Lo scheletro di Roma-Lecce '85-86, naturalmente. Quella domenica (20 aprile 1986), la sua Roma, dopo aver concluso un entusiasmante rimonta ai danni della Juve, si suicidò in casa davanti ai pugliesi. Eriksson esordi ai microfoni sussurrando: “La vita non è sempre bella”. Aveva un elegantissimo vestito nero e capelli corti, tagliati il giorno prima, raccontano le cronache dell’epoca. Preamboli di festa. Come le “lupe d'oro” distribuite quel giorno dal sindaco di Roma, Claudio Signorello, sulla pista dell'Olimpico, prima della partita: lupe che menarono gramo come gufi.
Stavolta la Lazio ha fatto la parte della lepre, ma, dopo essersi messa in tasca più di mezzo scudetto, ha permesso al Milan di sfilarglielo a poco a poco, tanto che nell'aria sibilano le “s” di sorpasso che sarebbe beffardo come il mancato sorpasso di allora. Eriksson ha il vestito scuro, ma non è passato dal barbiere. Nessun sindaco in pista. Ma no - si convince lo svedese -- questa è tutta un'altra storia. Quella domenica al cinema davano "Nove settimane e mezzo" e "La mia Africa', su Italia 1 c'era Drive In: è passato un secolo.
Sì, però quando mister Sven incrocia Franco Causio, team-manager dei friulani, che è nato a Lecce, sulla sua schiena gli corre uno strano brivido e quando, dopo un quarto d'ora di gioco, arriva la notizia del gol di Ambrosini, il brivido è una scarica elettrica. Ecco il sorpasso. Ora è il Milan la lepre. La Lazio rincorre pesante, coperta come un convalescente: con la prudenza di Lombardo al posto dei guizzi di Nedved e i gol di Salas stivati in panchina. L'Udinese ha già avuto una palla gol. Lo scheletro danza per tutta la stanza.
Ci vuole un rigore di Mihajlovic per ricacciarlo nell'armadio. Sinisa segna e scopre, sotto la maglia, il simbolo serbo del bersaglio (target) reso famoso dalla guerra del Kosovo. In quella domenica d'aprile dell’86, i giornali si aprivano con un appello che suona di tremenda attualità. “S’impone un cessate il fuoco generale, altrimenti la situazione potrebbe diventare tremendamente pericolosa". Anche In quei giorni stavano piovendo bombe Usa, ma a Tripoli. Ieri sembra oggi, ma fino a un certo punto, perché quell'appello lo firmò il Presidente del Consiglio, Bettino Craxi, e il ministro degli Esteri era Giulio Andreotti. In 13 anni qualcosa è cambiato.
Se ne convince definitivamente Sven Goran Eriksson al 3' della ripresa, quando Vieri raddoppia. No, non è più tempo di fantasmi, l'armadio per oggi è blindato. Il Milan faccia ciò che vuole a San Siro, ma si scordi il sorpasso. Quello di Schumacher a Imola basta e avanza. Oli ultras laziali agitano il loro striscione per ringraziare Turci, impotente sull'inzuccala di Vieri. Sullo strisciane c'è scritto: “Turci, scansate anche oggi”. Il riferimento alla prestazione del portiere udinese contro il Milan, criticata da Cragnotti, ovviamente. non è-affatto casuale.
La Lazio, tornata lepre, ritrova un passo bello e leggero. Mancini si sdraia per accompagnare in rete li 3-0 e, a questo punto, neppure lo scheletro di Oudini riuscirebbe a evadere dall'armadio. Anzi, nei minuti che seguono, il pomeriggio laziale si fa improvvisamente radioso, non una, ma due volte: perché il Milan sprofonda a - 3 (gol di Montella), risorge (gol di Leonardo) e risprofonda di nuovo (gol di Franceschetti). Roba da sindaco in pista e lupe a lutti. Il d.s. laziale Terraneo (che ha un passato da portiere del Lecce e del Milan) alza le braccia in tribuna. Lo scudetto sembra tornato in fondo alle tasche.
Quando, alla fine, Eriksson solleva le sue verso i tifosi, il Milan non ha ancora segnalo il terzo poi. Sven forse pensa: “La vita a volte è bella”. Gli riferiscono della carambola assassina di Ganz e il suo sorriso si fa un po' più svedese. Ma in fondo, con una giornata in meno e il Milan in partenza per il Delle Alpi, la vita continua a non sembrargli bruttissima.