Sabato 21 settembre 1996 - Milano, stadio Giuseppe Meazza - Inter-Lazio 1-1
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Campionato Italiano di calcio Divisione Nazionale Serie A 1996/97 - 3ª giornata - Inter-Lazio 1-1
INTER: Pagliuca, Angloma, Fresi, Paganin II, Pistone, Zanetti, Ince, Djorkaeff, Sforza, Zamorano (75' Branca), Ganz (58' Winter). n.e. Mazzantini, Bergomi, Carbone, Festa, Berti. All. Ardemagni. D.T. Hodgson.
LAZIO: Marchegiani, Negro, Nesta, Chamot, Favalli (54' Gottardi), Fuser, Okon (81' Baronio), Nedved, Rambaudi, Casiraghi (62' Protti), Signori. n.e. Cudicini, Fish, Marcolin, Piovanelli. All. Zeman.
Arbitro: Sig. Collina (Viareggio).
Marcatori: 33' Signori, 40' Angloma.
Note: ammoniti Favalli, Ince, Fuser, Chamot, Okon, Zamorano, Casiraghi, Protti, Signori. Esordio in serie A per Paul Okon classe 1972. Calci d'angolo: 4-3.
Spettatori: 65.000 circa.
La grandezza, per definizione, non ha misura. Perciò un'Inter a tempo, perennemente in scadenza con durata massima un'ora (ieri sera appena 45 minuti), alla grandezza può legittimamente aspirare, anche se al momento la può soltanto presumere. Il pareggio con la Lazio è del tutto equo, ma fortemente deludente perché ridimensiona ad un tempo i dati adulterati di un inizio poco credibile: tre vittorie fra campionato e Uefa, cinque gol fatti, nessuno subito. Ieri sera, invece, l'Inter non solo ha dovuto patire il primo gol, ma per l'intero primo tempo si è offerta alla superiore velocità e alla migliore organizzazione di una Lazio per nulla disperata e disperante, anzi casomai più pratica e attenta rispetto al recente passato di sciaguratezza. Tra Hodgson e Zeman, meglio il secondo, perché il primo ha impiegato 58 minuti per ammettere l'errore di una squadra sfilacciata dalla presenza di una punta di troppo e di un centrocampista di meno. Avesse Hodgson iniziato con il più ragionevole 4 4 2, con Djorkaeff a sostegno del primo attaccante, probabilmente avremmo assistito ad un'altra partita e, forse, anche avuto un esito differente. Invece, vista la Lazio del primo tempo e i suoi sprechi sottoporta, il pareggio è apprezzabile, perché rende un punto e, soprattutto, l'idea di ciò che il tecnico ancora tarda a decidere. Logico che per un tempo il confronto sia risultato nettamente a favore della Lazio, in gol al 33' con Signori e raggiunta, sei minuti dopo, da un colpo di testa di Angloma, ma solo a seguito di un calcio da fermo. Infatti, sia a voler giudicare la partita come somma d'occasioni, sia a preferirla per qualità di manovra, la Lazio si era issata sull'Inter di almeno due spanne. La genesi di tanta evidente superiorità derivava dal pressing di centrocampo, settore nel quale gli uomini di Zeman sapevano alzare una sorta di argine molto elastico che trovava in Rambaudi, a destra, un interprete capace di "scalare" con intelligenza al centro.
Di lì, più Nedved che Okon sceglievano i tempi per spietate verticalizzazioni, cui erano invitati dal movimento centrifugo di Casiraghi e Signori. L'unico inconveniente all'encomiabile azione di incrocio e profondità era il difetto di lucidità che spesso le due punte più avanzate finivano per pagare. Se, infatti, Signori da solo, e poi Casiraghi e Nedved con lui, mancavano di nitore nella battuta risolutiva nel giro di tre minuti, la causa non andava cercata nell'improvvisa broccaggine, di cui i tre non soffrono, quanto piuttosto nello spolmonamento dei rientri che una squadra compatta esige pure dalle punte, sempre che voglia continuare a esserlo. Di fronte a ciò, l'Inter è sembrata prima timida, poi imbarazzata e, a tratti, perfino impotente. Le ragioni di questo atteggiamento supino appartengono ad un assetto tattico reso precario dalla scarsa consistenza di Sforza e dalla conseguente precarietà del centrocampo, in sofferenza anche per l'allungamento che Djorkaeff faceva patire alla squadra quando, dalla fase attiva, si doveva ripiegare a quella di contenimento. Non ci fosse stata la provvidenziale punizione di Ganz, trasformata dal ciclopico potere aereo di Angloma, forse sarebbe stato un problema veramente serio per l'Inter raddrizzare la gara. Che il 4 3 3 gravemente imperfetto di Hodgson possa non sopportare l'urto centrale della Lazio appare in tutta la sua macroscopica evidenza anche al tecnico inglese, che, logicamente, toglie una punta (Ganz, ma non sarebbe stato meglio Zamorano?) per un centrocampista (Winter all'esordio stagionale). Il 4 4 2 che ne consegue non solo è più adeguato alla partita, ma favorisce finalmente il decollo della manovra interista, la cui qualità, e relativa pericolosità, è direttamente proporzionale alla sicurezza che acquisisce il centrocampo. Anche per numero di occasioni la partita si ribalta (3 a 1 per l'Inter e con il sospetto di un rigore non concesso da Collina per fallo di mano di Chamot da punizione di Djorkaeff), mentre la Lazio prende ad aprirsi pericolosamente davanti ad una linea difensiva che subisce, al solito, gli inserimenti, gli aggiramenti e, naturalmente, il contropiede.
Se non proprio nel pressing, l'Inter della ripresa è preferibile all'avversario per la rapidità nella circolazione di palla e per uno spirito dardeggiante mal lesinato nel primo tempo. Stavolta, però, il gol che premia non arriva, né dal caso, né dalla singola invenzione. Anzi, nonostante il miglior possesso palla, c'è sempre da vigilare su una Lazio che zemanianamente non rinuncia ad essere se stessa, un po' maniacale con i suoi "tagli" offensivi ormai prevedibili, ma sempre coraggiosa, fino a sfiorare l'oltraggio del buonsenso, che alla fine si traduce in un buon punto, il primo di una classifica ancora agra.
Fonte: Corriere della Sera