Patarca Volfango
Allenatore delle Giovanili e Responsabile Scuola Calcio, nato a Roma il 29 aprile 1945 e ivi scomparso il 7 dicembre 2017.
Da calciatore ha militato nella Tevere Roma (campione d'Italia Juniores nel 1962/63), Alatri, Lecce, Venosa, Stefer (Coppa Italia Dilettanti nel 1967/68), Frascati, Albano, Montecompatri, Eur. Alla Lazio dal 1981, già allenatore del S. Basilio Lazio e Quarticciolo. Sotto la presidenza Cragnotti fu inviato negli Stati Uniti per insegnare calcio in alcuni stages. Nel 2005 ha lasciato la Lazio per contrasti con la dirigenza. Nel 2007 è stato responsabile dell'area tecnica del Lanciano.
Così il sito online de "La Gazzetta dello Sport" ricorda la figura di Volfango Patarca nel giorno della scomparsa:
Lutto nel mondo Lazio: nella notte è venuto a mancare Volfango Patarca, per anni allenatore e responsabile del settore giovanile biancoceleste. Fu lui a fare il provino ad Alessandro Nesta, il capitano più vincente della storia della Lazio, e a scovare campioni del calibro di Di Vaio, Di Biagio e Di Canio. Con quest'ultimo aveva un rapporto particolarmente forte perché entrambi sono nati e cresciuti nello stesso quartiere di Roma, il Quarticciolo. Nato nel 1945 (aveva 72 anni), da giovane lui stesso era considerato un ottimo talento ma non riuscì a sfondare per colpa di un carattere considerato troppo forte. Per questo si è sempre rivisto in Di Canio, un ribelle per natura. Una volta Di Canio restò in panchina durante una finale che la Lazio giocò con la Lodigiani. Patarca non era d’accordo con la scelta del tecnico, ma non mise bocca sulla decisione. Sulla reazione di Di Canio sì, però. Perché Paolo, frustrato dalla panchina e dalla sconfitta, lanciò il proprio borsone in mezzo alla strada, sotto la pioggia, minacciando di smettere di giocare, poi scappò a casa. Volfango raccolse il materiale che si era sparso per la strada, rimise tutto dentro il borsone e corse a casa Di Canio. Lo sgridò di fronte ai genitori, gli fece capire che non era quello il modo di reagire.
Altro episodio nel 1982: l'Italia aveva appena vinto il Mondiale in Spagna e Patarca vide l'adolescente Paolo sventolare il tricolore stando in piedi sul tetto di una macchina. Gli intimò di scendere perché stava mettendo a rischio la carriera con atteggiamenti sconsiderati. Il suo ricordo più dolce è sempre legato a Di Canio, ma quel giorno aveva accanto a sé anche due futuri campioni. Era il 1989 e Paolo segnò il gol decisivo nel derby andando ad esultare sotto la Curva Sud (quella dei romanisti). Patarca era in tribuna e aveva portato con sé due futuri campioni: Alessandro Nesta e Marco Di Vaio, che esultavano accanto a lui. Quell'estate Patarca decise anche di far giocare Nesta contro Di Canio in una partita di beneficenza che lui stesso aveva organizzato. La parte più romantica e significativa del rapporto fra Patarca e la Lazio è che il mister non era laziale. Anzi. Ma gli amori in età adulta sono quelli più forti, quelli più sinceri, perché consapevoli, perché maturi. Quando nel 2005 lasciò la Lazio, Bruno Conti provò a portarlo alla Roma. Lui però rispose picche, perché ormai si sentiva laziale, ormai lo era, e non voleva tradire quei colori. Ha amato i laziali con tutto se stesso, proprio come le migliaia di bambini che ha fatto diventare grandi. Alcuni in campo, altri fuori. Proprio per questo la notizia della sua scomparsa sconvolge il mondo Lazio.
Un articolo tratto dal Corriere dello Sport del 9 dicembre 2017 ricorda così Volfango Patarca:
"Ciao Patarca, maestro vero. Ha legato il suo nome alla Lazio, ha scovato e lanciato tanti campioni. Allenatore e talent scout, si è spento a 72 anni. Scoprì Di Canio, Di Biagio, Nesta e Di Vaio".
E’ stato uno dei maestri della scuola laziale. E ha iniettato talento nel calcio italiano. Insegnava ai bambini, gli spiegava la tecnica che li avrebbe fatti grandi. Non allenava, educava, così amava dire. Sapeva prendere per mano i giovani, sapeva farli volare facendo il loro gioco preferito. Era il gioco che piaceva anche a lui, da pazzi. E di quella capacità di trattare il pallone, con quegli occhi che diventavano piccoli piccoli, brillanti d’azzurro, terribilmente entusiasti, si vantava sottovoce, quasi con un velo di timidezza. Maestro artigiano romano-laziale, Volfango Patarca. Aveva 72 anni, è morto ieri. Era conosciuto come uno degli osservatori italiani più arguti e lesti. Le parole di Alessandro Nesta, uno dei suoi figli calcistici, sono rimbalzate da Miami. Sandro non ne avrebbe potuto scegliere di migliori. "Ci lascia un grande maestro di vita e di calcio - ha scritto Nesta sui social - un personaggio al quale devo gran parte di quello che ho fatto nella mia carriera. Ha dedicato tutta la sua vita a crescere calciatori e uomini nelle periferie di Roma, spinto solamente dalla sua grande passione per questo sport. Un abbraccio alla sua splendida famiglia". Il cordoglio della Lazio è stato riassunto in un comunicato stringato: "La S.S. Lazio, il suo Presidente, l’allenatore, i giocatori e tutto lo staff si uniscono al cordoglio della famiglia Patarca per la scomparsa di Volfango Patarca". Aveva lasciato la Lazio con l’avvento di Lotito, nel 2005, dopo 25 anni vissuti da talent scout, da responsabile della scuola calcio e del settore giovanile. Si sentì messo ai margini quando entrò in società il generale Coletta, fedelissimo del nuovo presidente. E lasciò furiosamente. Si è sempre battuto per i giovani. "Ci sono troppi stranieri nei vivai, impediscono la crescita dei nostri ragazzi. E credo che i giocatori romani siano i più forti", ripeteva.
E’ andato a caccia di talenti sino all’ultimo. Massimo Cragnotti, figlio di Sergio, di recente l’aveva richiamato per gestire la sua nuova scuola calcio. Pochi giorni fa c’è chi ha incrociato Patarca sugli spalti della scuola calcio Spes Artiglio, chiacchierava di calcio, era accompagnato dalla sua mitica agenda, sui fogli appuntava i nomi più interessanti. Tra gli anni ‘80 e ‘90 svezzò il talento di Paolo Di Canio, Marco Di Vaio e Alessandro Nesta. E anche quelli dei portieri Valerio Fiori e Flavio Roma, di Di Biagio, Di Loreto, Domizzi, Daniele Franceschini, Macheda, Pinzi e De Silvestri. Nel 2000 individuò Ciciretti, oggi al Benevento: nel 2004 frequentava la scuola calcio laziale, aveva 11 anni, il club era in crisi e Ciciretti scelse i giallorossi. Patarca era tante cose, innanzitutto un grande e limpido talent scout, un allenatore di avventura perché quando vai alla scoperta dei talenti non conosci orari, distanze, vivi sui campi di calcio, devi saper scommettere. Patarca aveva uno sguardo che vedeva lontano, i suoi occhi non sono mai invecchiati: il talento che scovava li teneva vispi. Di Canio lo scoprì nell’82: Paolo aveva 14 anni, giocava nella Pro Tevere. In molti non credevano in quel ragazzo. "Avevo ragione io...", disse Patarca. Quando allenò Nesta e Di Vaio puntò su ragazzini di 8 anni, quasi tutti arrivati in A. Nel 2012 scoppiò una polemica: Volfango segnalò Gianmarco, il nipote di Nesta, alla Lazio di Lotito e invece lo prese la Roma. Lo allenava nel Sabina Calcio: "Questa sarà la mia rivincita nei confronti di chi dalla Lazio mi ha cacciato". In quella rabbia c’era nostalgia. Nel 2005 lo chiamò Bruno Conti, provò a portarlo alla Roma. Disse no. Volfango è tra gli immortali della Lazio, tra i maestri della tecnica e dei sentimenti.
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