Glorioso Giulio
Lanciatore di baseball, nato a Udine il 4 gennaio 1931 deceduto a Roma il 20 giugno 2015.
La sua carriera si svolge dal 1948 al 1974. E' considerato il più grande giocatore italiano di tutti i tempi, fu campione d'Italia con la Lazio nel 1955. Nel 1949 gioca con la squadra dei Ferrovieri. L'anno successivo arriva alla Lazio. Dopo un'esperienza nelle leghe minori USA, torna alla Lazio, squadra che lascerà al termine della stagione 1958 quando approda alla Roma, dove giocherà due stagioni. Nel 1961 passa alla Europhon Milano e dal 1963 milita nel Nettuno per tre stagioni. Nel 1966 gioca nella Tanara Parma e l'anno successivo torna a giocare nella Lazio. A 43 anni, nel 1974 chiude la carriera nella Roma.
Così lo ricorda Vincenzo Cerracchio:
Il 31 agosto del 1952 allo stadio Nazionale (poi Flaminio) accorsero in dodicimila. Venghino signori venghino, debutta quello strano sport di mazza e palla (o palla e base, fate voi) che fa impazzire l'America. Già, quella era la nazionale di baseball al suo primo incontro internazionale contro la Spagna. E sulla locandina c'era scritto: "Le regole saranno spiegate con l'altoparlante..." A guidare quell'allegra brigata coi pantaloni alle caviglie, la magliettona larga con la scritta Italia e l'immancabile cappello...da baseball, c'era un ragazzo di 21 anni, il lanciatore. Si chiamava Giulio Glorioso, era nato a Udine ma Roma era la sua città di adozione, la Lazio il suo club di elezione. Vinse sette scudetti, il primo proprio con la sua Lazio, un titolo europeo nel 1954 e una Coppa Campioni con il Nettuno nel 1965. Vanta tuttora il record di strike out (2.884) e di vittorie (235 contro 83 sconfitte). E' stato il miglior lanciatore di sempre del nostro baseball. E la SS Lazio oggi lo piange come l'atleta più rappresentativo delle migliaia che hanno difeso i colori biancocelesti, alla stregua di Piola, di Coppi, di Nostini, dei grandi nuotatori e pallanuotisti che vinsero le Olimpiadi. Aveva compiuto 84 anni lo scorso 4 gennaio. Glorioso e la Lazio, dunque, Magia di quello stadio dove il baseball italico nacque, nonostante la sconfitta, 3-7, contro gli spagnoli molto oriundi in verità. Evento benedetto da Pio XII a Castelgandolfo e impreziosito dal lancio della prima pallina niente meno che da parte di Gregory Peck, il bellissimo attore fuggito dal set di "Vacanze romane" e dalle incessanti attenzioni (beato lui) di Audrey Hepburn. Vallo a spiegare oggi ai giovani chi era Peck e chi era Glorioso...
L'americano gli disse solo "Go, Giulio. Adesso tocca a te. Buon lavoro di strike. Ciak si gioca, si lancia". Esistono per fortuna filmati di quei momenti, istantanee di quel lancio, di quell'incontro. Gli azzurri, scelti da Sam Corallo e William Parmiggiani, cognomi che non lasciano spazio a illazioni sulla loro origine italo-americana, alloggiavano in via Veneto come i divi del cinema. Giulio era un fenomeno: a 16 anni faceva l'interbase per il Gilda, in omaggio all'esplosiva Rita Hayworth e pare si fosse negato a Brigitte Bardot di venerdì, perché di sabato doveva presentarsi all'Acquacetosa per giocare... La storia del baseball ha inizio con questa partita e con quest'aurea misteriosa di uno sport apparentemente incomprensibile e lento. "Poteva andar meglio per voi", commentò alla fine Gregory Peck, visti gli errori, gli impacci, le tattiche sbagliate. "Ci dicevano: attenti a non rovinare i campi di calcio", ricordava con malcelata rabbia Glorioso. Che visse per intero anche il sogno americano, che portò il baseball sul monte di lancio, lui che era stato giavellottista come altri erano partiti da calciatori. "Il pubblico fu uno spettacolo – ricordava sempre di quell'esordio – l'ingresso in campo ci fece tremare le gambe. Quella Spagna era piena di oriundi, ne abbiamo importati troppi anche noi, frustrando le speranze dei giovani. Hanno dimenticato le bandiere, hanno ucciso i nostri sforzi di sviluppo. La stretta di mano di Gregory per noi romani fu il massimo, il salto di qualità dal pionierismo. Io andai in America e ci sarei rimasto, ma tornai per fare il militare, convinto che si dovesse giocare di più, sostenere questo sport bellissimo. Invece mai decollato davvero".
Raccontano che il suo caricamento (quella sorta di danza del braccio prima del lancio) fosse unico: la veloce più veloce di tutto il baseball. Aveva tutto: scioltezza, resistenza, fisicità, dedizione al gioco e una maniaca voglia di perfezionismo. Dal 1949 al 1972, dalla Lazio...alla Lazio. Il suo diritto viaggiava a oltre 80 miglia per 9, 10, 11 inning: 140-150 lanci. Per ribattere colpo su colpo alle performance del suo grande rivale milanese di quegli anni, Gigi Cameroni. Ma Giulio aveva qualcosa in più, lo dice il suo palmarès infinito, lo dicono le sue curve al veleno. Lo chiamavano "Capoccione", forse perché un po' lo era, per la maniacale professionalità, forse per le lontane origini friulane. E allora lunedì pomeriggio i labari biancocelesti si abbasseranno in onore di un atleta immenso, di un laziale vero, di un campione tra i tanti, di un innamorato del baseball che non mancò mai di dire la verità. Il nuovo "diamante" biancoceleste di San Paolo porterà il suo nome. Glorioso fu quel baseball...
Così scrive Il Messaggero annunciando la sua morte:
Il baseball italiano in lutto per la morte di una delle sue bandiere: Giulio Glorioso. Il campione originario di Udine, ma romano di adozione, è scomparso all'età di 84 anni. Il suo nome è indelebilmente legato al mondo del baseball italiano e della Capitale. Ha giocato a lungo con la Lazio - che di recente gli ha intitolato il nuovo impianto di via Galba, a Roma - ma anche con Nettuno, Parma, Milano e Roma. Tra i primi a essere "indotti" nella "Hall of fame" del baseball italiano, Glorioso vanta ancora oggi, come lanciatore, il record di strike out con 2.884 in 11 campionati. E' diventato un mito del baseball, giocando prima da esterno e poi da lanciatore. Nel '51 ha realizzato la prima no-hit (partita senza concedere battute valide a un avversario) della storia del baseball italiano. Ha esordito nella prima Nazionale contro la Spagna nel '52. Nel '60 ha realizzato un'altra no-hit, con la maglia azzurra, contro l'Olanda. Ha vestito 68 volte la maglia dell'Italia tra il '52 e il '73 e ha vinto sette scudetti. Oltre che grande lanciatore, anche nel box di battuta si è fatto valere con 45 fuoricampo all'attivo e 512 battute valide. Nel 2004 ha ricevuto il premio "Le stelle di Roma" in compagnia con grandi nomi del mondo dello sport quali Bruno Zauli, Adriano Panatta, Amedeo Amadei, Nando Martellini, Fulvio Bernardini, Giancarlo Fisichella.
"Il Presidente Riccardo Fraccari in rappresentanza del Consiglio Federale e il Segretario generale Giampiero Curti a nome dello staff della Federazione partecipano al dolore di tutto il movimento - si legge in una nota della Fibs - che perde una stella assoluta dei diamanti italiani e non solo". Su tutti i campi un minuto di raccoglimento.
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