Domenica 9 novembre 1997 - Roma, stadio Olimpico - Lazio-Sampdoria 3-0
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9 novembre 1997 - 2.756 - Campionato di Serie A 1997/98 - VIII giornata
LAZIO: Marchegiani, Gottardi, Grandoni, G.Lopez, Pancaro, Fuser, Almeyda, Marcolin (75' Venturin), Nedved, R.Mancini (86' Rambaudi), Casiraghi (75' Boksic). A disposizione: Ballotta, Di Lello, Chamot, Signori. Allenatore: Eriksson.
SAMPDORIA: Ferron, Balleri, Mannini, Dieng, Laigle, Franceschetti (69' Tovalieri), Boghossian, Veron (78' Vergassola), Morales (72' Salsano), Montella, Klinsmann - A disposizione: Ambrosio, Vagnati, Hugo, La Monica. Allenatore: Menotti.
Arbitro: Sig. Pellegrino (Barcellona Pozzo di Gotto).
Marcatori: 25' Marcolin (rig), 68' Nedved, 87' Boksic.
Note: ammoniti Veron, Dieng, Casiraghi, Mannini, Marcolin, Gottardi, Balleri, Fuser. Calci d'angolo: 3-4.
Spettatori: paganti 8.825 per un incasso di lire 335.375.000, abbonati 31.689 per una quota di lire 917.839.369.
La Gazzetta dello Sport titola: "Prosegue l'effetto derby per i biancocelesti, travolta l'ex squadra di Mancini e Eriksson. La Lazio è una sinfonia di gol. Ne fa tre alla Samp: e l'acuto di Boksic è da applausi. Marcolin apre le marcature su rigore (primo gol nella Lazio). Il raddoppio di Nedved chiude ogni speranza e solo Ferron, prima del capolavoro di Boksic, evita la goleada".
Continua la "rosea": La regola del tre appartiene ormai alla matura Lazio, che in otto giorni, dopo Roma e Rotor Volgograd, riserva uguale trattamento alla Sampdoria. Che, a sua volta, si specchia negativamente nella stessa statistica e in alcuni misteri che richiederebbero qualche spiegazione da parte di Menotti. Dopo il Milan, ecco i biancocelesti del mai abbastanza rimpianto Roberto Mancini per un 3-0 che non fa una piega. Dal divino Mancio l'essenziale oltre a un grande affetto, ricambiato, verso quella spanna di curva in blucerchiato. Una finta chissà quante volte consumata negli allenamenti di Bogliasco ai danni di Balleri che ci è cascato come un pollo, uncinandogli la gamba destra. Si era in area col bravo arbitro Pellegrino a non più d'una decina di metri. Rigore e match sbloccato per la Lazio dopo appena 25'. Mancini avrebbe poi potuto astenersi dall'infierire. Marcolin l'inedito killer dal dischetto (primo gol in carriera con la maglia della Lazio). Un po' per via della già dichiarata (e approvata da Eriksson) rinuncia al tiro di Mancini, un po' per la panchina sulla quale sedeva, e ci sarebbe stavolta rimasto fino alla fine, il rigorista Signori. L'opera biancoceleste sarebbe stata completata nella ripresa dal bomber di stagione Nedved (20') proprio nel momento meno felice della Lazio e nel finale tutto in discesa (42') dal subentrato Boksic, autore d'un pallonetto degno quello sì del miglior Mancini. Della Lazio è piaciuta molto la tranquilla padronanza dei propri immensi mezzi e, questo è ormai accertato, della propria ampia e qualificata rosa di titolari. Mancavano ieri all'appello Nesta, Favalli, Negro, Chamot e Jugovic. Ovvero l'intera difesa-tipo della passata stagione e la mente pensante del centrocampo di Eriksson. Schieratasi con Gottardi-Grandoni-Lopez-Pancaro, con i primi due all'esordio stagionale in campionato, la difesa ha fatto ugualmente bella mostra di sé. Quanto alla linea mediana, il tecnico svedese ha preferito Marcolin a Venturin, cioè tecnica e piede buono a temperamento e dinamismo, potendo contare su quel piccolo formidabile folletto (ancora trascurato dalla critica) che è Almeyda, capace di moltiplicarsi ovunque. Una coppia che, sorretta dagli esterni a tutto fiato Fuser e Nedved, ha funzionato alla perfezione per quasi un'ora.
Quando Marcolin è calato e il centrocampo della Samp ha dato per un momento l'impressione (si era ancora sull'1-0) di poter finalmente proporre qualcosa di concreto, è arrivato il gol di Nedved (su assist...involontario di Casiraghi) e poi, con un pizzico di ritardo, i cambi giusti. Che hanno definitivamente chiuso una partita nella quale Fuser e Casiraghi, ai quali Ferron ha negato più d'un gol, si sono prepotentemente proposti all'attenzione di Cesare Maldini. Sconcertante la prestazione della Sampdoria. Mancavano Mihajlovic e Pesaresi e la difesa italo-francese Balleri-Mannini-Dieng-Laigle ha fatto acqua, specie sul versante transalpino. Veramente inspiegabile, però, la strana formula che prevede Morales trequartista dietro Montella e, nel caso specifico, il rientrante Klinsmann. La Samp ha infatti due centrocampisti di tutto rispetto e di comprovata capacità creativo-offensiva quali Veron e Boghossian. Sacrificarli al servizio d'un Morales che d'importante ha solo (almeno per quello che si è visto ieri) la storica maglia numero 10 che fu di Mancini è veramente un delitto. Pari solo a quello di tenere in campo per l'intero match un Klinsmann che definire a corto di preparazione è poco. La Samp ha avuto un momento, primi 20' della ripresa, in cui avrebbe potuto tentare qualcosa di più che tenere palla sullo 0-1, ma Menotti ha buttato dentro l'ottimo Tovalieri (per giunta per Franceschetti) fuori tempo massimo, quando si era ormai sullo 0-2. Il primo impegno per Marchegiani, fin lì insidiato solo da...Marcolin, è arrivato a un quarto d'ora dalla fine. Troppa grazia per la Lazio. La Samp dei campioni del mondo d'epoca deve urgentemente trovare diversi equilibri. Difficile dire se essi possano arrivare, nell'anno di grazia 1997, attraverso Menotti '78 e Klinsmann '90.
In un altro articolo è riportato:
Mancini-day, l'uomo batte il calciatore Per un paio d'ore, nel pomeriggio di ieri, il Roberto Mancini uomo non è andato d'accordo con il Roberto Mancini giocatore. Il primo guardava quelle familiari maglie blucerchiate, incredulo di essere dall'altra parte. Il secondo cercava di restare immune alle scosse continue che arrivavano dai nervi. In apparenza ha vinto quest'ultimo, ma in definitiva è l'uomo che esce alla grande da questo confronto con il suo passato, con se stesso. E' difficile trattenere il turbine dei sentimenti quando davanti ti ritrovi Moreno Mannini a marcarti. Uno con cui hai giocato trecento e passa volte insieme. Ed i sentimenti negativi non hanno prevalso nemmeno al pensiero di quell'Enrico Mantovani che ha contribuito in maniera decisiva a spezzare la favola sampdoriana del Mancio. Ed è stato meglio così, perché le favole hanno un lieto fine e trascinare un rapporto saturo - quello fra giocatore e società - avrebbe distrutto tutto. Peccato solo per quelle scaramucce a fine gara tutte doriane fra qualche ultrà ed una signora che inneggiava a Roby. Del resto Mancini è tipo da scatenare comunque passioni forti. In partita il giocatore ha cominciato un po' defilato, come fa spesso. Quasi a voler entrare in punta di piedi. Poi, col passare dei minuti è entrato nel vivo e l'istinto e la passione per quella sfera che rotola ha preso il sopravvento.
Dopo 24' il tocco magico: a tu per tu con Balleri il fuoriclasse capisce di avere la grande occasione. Davanti ad una mia invenzione, ha pensato il calciatore, il buon Davide ha due possibilità: abboccare o far fallo. Buona la seconda. E quando Marcolin realizza dal dischetto, prevale l'uomo: non c'è voglia di esultare. Stessa cosa quando raddoppia Nedved. L'uomo soffre a vedere la Samp perdere, mentre il giocatore si diverte a smistare assist, come quello mandato alla stelle da Fuser per una zolla galeotta. Poi Eriksson gli regala una sostituzione raccogli-applausi ed ancora una volta l'uomo istintivamente saluta per primi i tifosi sampdoriani in tribuna, poi il gesto verso la curva laziale. Ed alla fine è ancora l'uomo che corre verso il centro del campo ad abbracciare l'amico Moreno, il quadretto è concluso da Fausto Salsano che riserva uno scappellotto all'avversario tornato compagno al fischio finale. C'è pure il tempo per raccogliere un mazzo di fiori, regalo di un club doriano. Quindi la corsa in macchina verso la sua Genova in compagnia del fido Viganò e della moglie Federica: a loro il Mancio affida i segreti di una giornata particolare.
Dal Corriere della Sera, articolo a firma di Franco Melli:
Ormai abbonati alle triplette (nove reti in otto giorni), i biancazzurri non fanno sconti neanche alla Sampdoria. E' il giorno del grande ex Mancini che comunque non appare per nulla emozionato a giocare contro la sua squadra per oltre 3 lustri. La gara non ha storia. Al 25' Almeyda va in pressing a murare Dieng e l'alleggerimento rimpallato, complice pure Mannini, scatena "Mancio" che imbocca l'area, versante mancino, quasi sul filo del fuorigioco; dribbling automatico per tagliare fuori Balleri. Giravolta e tacco, il controllore abbocca, e lo aggancia: il rigore è sacrosanto. Ora occorre chiudere la bravata che valorizza una Lazio coraggiosa, addirittura ispirata nel presentare l'imprendibile Nedved quale terzo attaccante, per impedire le incursioni di Laigle e degli altri esterni doriani. Seduto Signori, chi batte il rigore? Mancini delega Marcolin (schierato da vice Jugovic), forse paventando spifferi di nostalgia canaglia associati alla bravura del vecchio amico Ferron, che già s'è superato per disinnescare Casiraghi. Esecuzione azzeccata: l'ingombro sentimentale evapora, l'impegno diventa una normale cavalcata della Lazio di novembre, sempre meglio assestata sull'elastico 4-4-2 senza amnesie né sbilanciamenti.
Merito dei supplenti Gottardi e Grandoni, saltuariamente impegnati a sigillare l'accoppiata Montella-Klinsmann; ma nel prosieguo travolgente risaltano i cambi di marcia timbrati Nedved, la forza d'urto che assicura Casiraghi, le volate scoperchianti d'un Fuser degno d'una maglia azzurra da titolare, sabato prossimo a Napoli. Mancini preferisce l'affiancamento intermittente dei tre protagonisti, salvo portare il libero Mannini sull'orlo dell'espulsione, con uno slalom ubriacante. La Sampdoria subisce e non azzarda reazioni credibili. I rifornimenti imprecisi di Franceschetti (che Tovalieri sostituisce troppo tardi) e le omissioni accumulate da Veron, acuiscono giusto i rimpianti per la belle époque rappresentata dal fantasista di Jesi. Montella è un fantasma che l'evanescente Morales, detto "Matute" non sa materializzare. Qua si tratta di quantificare la disfatta blucerchiata sotto l'intensità e i colpi trancianti di Nedved, che innesta Casiraghi a raffica. Balleri e il portiere Ferron rattoppano, prima d'abbassare sconsolati la guardia, causa una triangolazione Mancini-Fuser-Nedved. Sprint più botta a colpo sicuro, Laigle respinge provvidenziale nell'area flipper, senza ottenere la tregua auspicata. Traiettoria corta, Casiraghi prevale e il ceko fissa il raddoppio.
Cosa importa se Fuser vanifica l'assist successivo di Mancini, esagerando nell'alzo al momento del tiro? Gli avvicendamenti di parte preludono al mini-show conclusivo griffato Boksic, tanto per ricordare al pubblico che restano sontuose le alternative offensive di Sven Goran. Basta permettere al croato di prendere velocità e scroscia l'applauso nella sfida della nostalgia: Laigle e Mannini vengono saltati come birilli, prima del prodigio balistico di sinistro a scavalcare Ferron. Batte le mani pure Signori, ridotto a capitano non giocatore. La Lazio scavalca gli ostacoli con "la regola del tre", allontanandosi pure dai suoi errori di campionato. I sampdoriani ne certificano il momento magico.
Da La Stampa:
Lazio un po' timorosa in avvio (ci si preoccupa soprattutto di non scoprire una difesa decimata dalle assenze), Samp che tiene palla senza mordere. Ululati razzisti della curva Nord contro Dieng che non si scompone. Però Lazio vicina al gol al 22' in contropiede. Pancaro crossa, botta al volo di Casiraghi e bella parata di Ferron. Mancini fino a questo momento non si è visto in attacco, quando lo fa è devastante. Doppia finta in area, Balleri abbocca e lo aggancia. Rigore, batte Marcolin ed è gol. Almeyda domina a centrocampo. La Samp cerca di rimontare e si scopre. Ferron la salva con uscite spericolate su Casiraghi e Fuser. Deve arrendersi al 20' della ripresa. Nedved tira, il portiere sampdoriano respinge, nuovo tiro di Casiraghi. Sballato, ma Nedved aggancia e segna. Due tiri senza grandi pretese di Tovalieri (entrato a dar man forte al duo fantasma Montella-Klismann) e un colpo di testa di Boghossian sono tutto quello che la Samp sa fare. Partita finita. Si fa male Casiraghi, leggera distorsione al ginocchio sinistro, entra Boksic che si mangia subito un gol. Esce Mancini, sommerso dagli applausi e Boksic si riscatta: palla conquistata a centrocampo, doppio dribbling che addormenta Dieng e Mannini (quest'ultimo cade addirittura), poi pallonetto splendido che condanna Ferron. Applausi per due minuti buoni. Eriksson sorride. E in panchina c'era, inutilizzato, Signori.
La Repubblica titola: "Lazio, la regola dei tre gol".
L'articolo così prosegue: Roma, Rotor o Samp cambia poco, la Lazio va avanti con tre gol a partita e la Samp è avversaria morbiduccia e confusa. S'è tanto parlato, in settimana, delle difficoltà di Mancini, per la prima volta contro la squadra del suo cuore, quella in cui ha passato una vita sportiva, ma le vere difficoltà, come s'è visto, erano sull'altra sponda, quella doriana. Mancini s'è messo il silenziatore, forse solo ieri sera ha sbrinato i ricordi. In campo, niente saluto ai tifosi e ai compagni di ieri, e una ventina di minuti per entrare in partita: avvio magro, un passaggio sbagliato a Pancaro, un contrasto molle con Boghossian, questo si vede e si annota, il resto s'immagina. Dentro, un gran gomitolo in movimento. Il pallone ha questo di buono, che a volte ti fa innestare il pilota automatico, non c'è bisogno di grandi ragionamenti, l'istinto basta e avanza. Succede al 24', Mancini appena dentro l'area si ferma, cambia passo e direzione dopo una finta sulla sinistra. Balleri abbocca, è rigore. Non lo tira Mancini, che ha picchiato la faccia sul prato e si massaggia. Ma non lo tirerebbe comunque, mai lo tirerebbe. Si avvicina al pallone Marcolin a lenti passi da contadino, lo appoggia sul dischetto, tira angolato e segna, anche se Ferron (migliore in campo) intuisce il tiro.
La partita è segnata, la Samp non è rassegnata ma macina a vuoto. Entrambe le squadre hanno importanti assenze difensive (di qua Negro, Nesta e Favalli, di là Mihajlovic e Pesaresi). La Samp ne soffre prima del rigore (volo di Ferron su girata di Casiraghi al 22') e dopo: Ferron respinge su Fuser al 26', esce fra i piedi di Casiraghi al 30' e gli devia una sventola al 46'. La Lazio non soffre per due motivi, essenzialmente. Perché Eriksson ha un centrocampo che funziona e, grazie al lavoro anche in fase di copertura di Almeyda e Marcolin, tranquillizza l'ultima linea e perché la Samp non ha attacco e nemmeno, come in passato è accaduto, alternative all'attacco, cioè inserimenti al tiro dei centrocampisti. La Lazio, rilanciata anche nel morale dal clamoroso esito del derby, è attualmente fra le squadre più in forma, e questa può essere la sola attenuante della Samp, che s'è presentata all'appuntamento con molta superficialità. Al rispettabilissimo, anche senza Jugovic, centrocampo laziale, Menotti ha opposto un manipolo di sbandati cui Franceschetti ha cercato, senza molto successo, di dare ordine e consistenza. Arrivato finalmente a pensare che forse Morales è un lusso come rifinitore dietro le due punte, Menotti lo ha arretrato, lasciando a Veron il compito di fare il guastatore a tuttocampo. Veron ha guastato essenzialmente il gioco della Samp, sbagliando un'infinità di passaggi ed esibendo una preoccupante mancanza se non d'umiltà di realismo. Morales è un po' meno dannoso, ma non illumina e non argina. E una difesa valida solo in Ferron e Mannini non può durare in eterno.
Davanti, Klinsmann e Montella si cercano e non si trovano. Nel dettaglio, mi sfuggono i motivi di una campagna-acquisti tesa a impedire a Montella di fare il centravanti. Forse è stato troppo bravo l'anno scorso? Adesso, sia con Klinsmann sia con Tovalieri, deve girare largo e, per intenderci, provare a fare il Mancini. Non lo sa fare come Mancini e, quand'anche, in mezzo non c'è più Montella. La Lazio è più pratica, arriva al tiro in tre passaggi. Nel secondo tempo, al 3' tira alto Casiraghi, al 12' salva Ferron su Fuser, al 21' salva Ferron su Nedved, palla fuori area a Casiraghi che tenta il tiro, lo sbaglia e indovina l'assist per il raddoppio di Nedved. Il 3-0 al 42' è tutto di Boksic, che evita Laigle, va via in tunnel a Mannini e inventa uno stupendo pallonetto contro il quale Ferron può solo usare le mani per un sincero applauso.
Tratte dal quotidiano romano, le dichiarazioni post-gara:
Un mese fa era in bilico e le critiche si rincorrevano, oggi, Sven Goran Eriksson, è vampiro, Re Mida, fenomeno della tattica, idolo della piazza, allenatore in gamba. In meno di un mese ecco che è cambiato tutto e anche quello con la Samp, è stato, per la Lazio, un pomeriggio felice, pieno di gol, rigori, lame nel cuore (per lo svedese e soprattutto per Mancini), applausi, prodezze (la terza rete di Boksic inutile e bellissima preziosità), di tutto di più, insomma. Vanno proprio bene, le cose, qui, dalle parti biancocelesti: addio guai, addio turn-over stressante, addio mugugni dei tifosi. Addio tentennamenti e sconfitte (Empoli, poi Atalanta all'Olimpico) di inizio stagione: "Questo è il momento dell'Inter, ma non parliamo ancora di scudetto, non è il caso, vedremo più avanti, tutto si deciderà ad aprile", fa Eriksson, allontanando tentazioni e proclami non del tutto ingiustificati, però, visto come è andata l'ultima settimana: tre vittorie pesanti (Roma, Rotor Volgograd e Samp), nove gol fatti, uno solo subito, Nedved, un centrocampista, capocannoniere con cinque reti.
Ancora: l'esplosione di Almeyda, la fantastica forma di Casiraghi, attaccante rigenerato, l'estro ritrovato di Mancini, anche se ieri è stato meno brillante del solito, "colpa delle emozioni", sussurra alla fine. Sì all'improvviso funziona proprio tutto, strano il pallone, ma è così: va nei muscoli, la Lazio, sembra matura e di colpo è cresciuta anche nella testa, nella mentalità (a parte la scelta, scaramantica, ma comica dei giocatori di continuare il silenzio stampa). "Avere un rosa ampia si sta dimostrando una scelta azzeccata: chi entra segna. La svolta in positivo è arrivata nel derby", spiega anche il presidente Zoff. "Che bel periodo'' - dice in conferenza stampa Eriksson -, che momento felice per noi, speriamo continui. Oggi mi ha fatto piacere vincere, molto piacere: era una partita rischiosa: la squadra poteva rilassarsi e le assenze in difesa e a centrocampo erano pesanti. Invece niente, dico bravo a tutti i ragazzi, sul serio, soprattutto a quelli che giocano meno come Grandoni, Gottardi e Marcolin. La Samp ha avuto il controllo della palla e ci ha messo in difficoltà, ma alla fine ha creato poche occasioni. Bello il gol di Boksic e che partita Almeyda, uno che ha polmoni enormi e non si stanca mai ed è mostruoso per la resistenza fisica. Che freddezza e sicurezza Marcolin quando ha calciato il rigore, infine per me è un lusso avere quattro attaccanti e poter tenere in panchina Signori. Scegliere mi fa male, dover escludere qualcuno in ogni partita mi dispiace, ma questo fa parte del mio lavoro".
Poi, sulla Samp e su Mancini: "Belle emozioni: io voglio bene ai giocatori doriani, loro vogliono bene a me. Abbiamo lavorato cinque anni assieme, negli spogliatoi ci siamo abbracciati, e Mannini è venuto a stringermi la mano, in panchina, prima dell'inizio. Mai parlato della partita, mai nominata la Sampdoria a Roberto (Mancini ndr) in settimana. Non volevo metterlo in difficoltà. Non so se ha dormito: prima però era tranquillo, in campo ha fatto quello che doveva e alla fine l'ho visto davvero stanchissimo". Adesso c'è la sosta per lo spareggio della Nazionale con la Russia: "Tutti a fare il tifo per l'Italia, anch'io. Debbono andare in Francia, gli azzurri, lo spero proprio. Da una parte fermarsi per due settimane è un male perché le cose vanno bene e siamo in un buon momento, dall'altra è però un bene: la squadra è affaticata per gli ultimi impegni e poi fino a Natale dovrà sudare parecchio. Non ci sono soste, giorni di riposo, perché a questi livelli, gli impegni veramente si rincorrono".
Da La Stampa il racconto della prima gara di Roberto Mancini contro la sua ex squadra, la Sampdoria:
Di fronte alla sua vecchia Samp, il fantasista dà spettacolo e la Curva Nord lo elegge a nuovo idolo. Ora Mancini è la bandiera della Lazio. Eriksson: contro gli ex compagni, neppure un po' d'emozione. La Roma laziale è in ginocchio davanti a Mancini. Ma lui, il Roberto, insiste nel silenzio stampa. Sdegnato, forse, dalle critiche subite dopo la partita con l'Atalanta. Non ha il cuore tenero, vive da professionista nel calcio moderno. Lazio-Samp è stata la partita della nostalgia solo per i giocatori genovesi, tutti in pellegrinaggio dal vecchio maestro. Eriksson e Mancini hanno risposto con uno spietato 3-0. L'ex Bimbo d'Oro ha lasciato il suo regno in riva al mare per qualche miliardo in più e la possibilità di vincere qualcosa. E al primo incontro ha steso al tappeto quelle maglie blucerchiate amate per quindici campionati. Balleri con la mente è ancora lì, a quel fatale 24', quando Mancini ha finto di andare verso Ferron puntando invece sul fondo. Sorpreso il terzino, ha allungato il piede, Mancini è caduto e l'arbitro ha fischiato il rigore. Addio Samp. D'altra parte la società genovese è colpevole: non ha ritirato quella maglia numero dieci, anzi l'ha piazzata sulle spalle di Morales. Un tipo che non si può proprio paragonare a Mancini.
L'Olimpico quasi non bada a Marcolin che segna dal dischetto, gli applausi sono tutti per il nuovo idolo. Che l'asso biancazzurro fosse in buona giornata lo si è visto subito. Piazzato sulla destra, si è messo a lanciare Fuser. Poi visto che il compagno non ama il gol, eccolo a destra. Per fare tutto da solo. Ipnotizzato, come detto, Balleri e partita vinta. Perché questa Samp non farebbe gol neanche giocando per una settimana. Tre reti alla Roma, tre al Rotor, tre alla Samp. La Lazio vola. E la curva Nord, che prima cantava per Signori, adesso inalbera un grande striscione: "Mancio, per sempre la nostra bandiera". Il 27 di questo mese, Mancini compirà 33 anni. Il fisico però è ancora perfetto, le gambe funzionano meglio di quelle di un ragazzo. Con lui fare gol è uno scherzo: ha fatto felici Vialli, Gullit, Chiesa, Montella. Adesso è la gioia di Casiraghi & compagni. Torniamo alla partita con la Samp. C'e' qualche gioiello da incorniciare. Al 26' ennesimo lancio per Fuser che spara sul portiere. Al 35' dribbling vincente e Mannini usa le cattive per fermarlo. Non c'era altro mezzo. Al secondo minuto della ripresa, taglio di 30 metri, perfetto, con palla che cade davanti a Casiraghi. Sarebbe la copia (a ruoli invertiti) del gol al Rotor. Invece Casiraghi sbaglia. Mancini scuote la testa, un po' si arrabbia, ma cerca di non dimostrarlo. Al 37' un lancio che mette Fuser solo davanti a Ferron. Conclusione sbagliata. Basta, la Lazio vince due a zero, mancano pochi minuti alla fine. Eriksson richiama il suo campione e l'Olimpico si alza in piedi per applaudirlo. Gli elogi non toccano Mancini.
Tanto calmo in avvio ("Dobbiamo imparare a conoscerci, datemi il tempo di ambientarmi"), tanto deciso nel restare in silenzio con tutta la squadra. Dopo la sconfitta con l'Atalanta in molti chiedevano la sua testa, volevano che tornasse Signori. Ora Mancini vive la sua grande rivincita. Dice Eriksson: "Mancini è un campione, ha grande ispirazione. So che posso e devo avere fiducia in lui. Con la Samp non ha neanche avuto problemi di emozione. Adesso è laziale al cento per cento. Come me. Può sembrare strano, ma in settimana non abbiamo parlato di questa partita. Non volevo metterlo sotto pressione".
Dalla Gazzetta dello Sport:
"Il derby è stata la svolta della stagione", parola di Dino Zoff, uno per il quale il calcio non ha più segreti. Ed il presidente va oltre: "Abbiamo dimostrato la validità dell'organico, chi entra gioca bene. Il turnover? Meglio tanti buoni giocatori che pochi". Del resto quella di ieri era una squadra zoffiana, con giocatori come Gottardi e Marcolin, oltre al fantastico Nedved, su cui Dino costruì un fenomenale girone di ritorno nella scorsa stagione. E per Marcolin, al suo primo gol in campionato con la Lazio, c'è una citazione speciale di Eriksson: "Ha un piede sinistro d'oro, ha una buona visione di gioco e sa lanciare lungo. Il suo apporto è stato prezioso. Poi sul rigore è stato deciso: prima della partita avevamo detto che nell'eventualità i tiratori sarebbero stati lui o Nedved. Pavel aveva subito già diverse botte, Dario ha preso con sicurezza il pallone ed ha realizzato". Il tecnico della Lazio ha elogi per tutti: "Almeyda è un mostro per recuperare palloni. Ha due polmoni e due gambe incredibili". Quel portiere, Ferron, che è andato in panchina prima della partita ad abbracciare Sven, così come Mannini: "Loro mi vogliono tanto bene ed anch'io gliene voglio. E' stata una partita bellissima proprio per questi aspetti. I ragazzi sono stati bravi perché poteva esserci un rilassamento, invece hanno saputo concedere poco ad una Sampdoria che è stata brava nel possesso di palla, ma ha avuto poche occasioni, spero per nostra bravura".
L'argomento turnover non è più tabù, ed Eriksson lo affronta con serenità: "Avete visto che gol Boksic? Mica male, è stato spontaneo per me alzarmi ed applaudire. Certo, è veramente un gran lusso tenere in panchina senza farlo entrare uno come Signori. Mi dispiace per lui, però abbiamo scelto insieme questa strada ad inizio stagione. E sono convinto che verrà il momento per tutti". I fatti danno ragione a Sven perché gli attaccanti, a turno, vivono il loro momento di gloria. Per non parlare di Nedved: sette gol. Roberto Mancini merita un capitolo a parte per l'allenatore: "In settimana non ho mai parlato della Samp con lui. Non volevo metterlo sotto pressione. Lui è rimasto tranquillo prima, durante e dopo la partita. Però non so se ha dormito bene alla vigilia".