Domenica 8 marzo 1998 - Roma, stadio Olimpico - Lazio-Roma 2-0
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8 marzo 1998 - 2.779 - Campionato di Serie A 1997/98 - XXIV giornata
LAZIO: Marchegiani, Pancaro, Nesta, Negro, Favalli, Fuser, Venturin, Jugovic, Nedved (71' Gottardi), Boksic (74' Casiraghi), R.Mancini (87' Marcolin). A disposizione: Ballotta, Grandoni, Almeyda, Rambaudi. Allenatore: Eriksson.
ROMA: Konsel, Cafu, Zago, Aldair, Candela, Tommasi, Di Biagio (67' Helguera), Di Francesco (84' Scapolo), Paulo Sergio, Delvecchio, Totti. A disposizione: Chimenti, Pivotto, Petruzzi, Dal Moro, Gautieri. Allenatore: Zeman.
Arbitro: Sig. Boggi (Salerno).
Marcatori: 50' Boksic, 62' Nedved.
Note: ammoniti Cafu per gioco scorretto e Nedved per comportamento non regolamentare. L'arbitro Boggi ha sospeso la gara per circa un minuto per il fumo sprigionato da fumogeni proveniente dagli spalti. Calci d'angolo: 3-3. Recuperi: 2' pt., 4' st.
Spettatori: 70.000 circa per un incasso complessivo di Lire 2.578.029.369 (abbonati 32.238 per una quota di Lire 962.038.369, paganti 37.212 per un incasso di Lire 1.625.990.000).
Questa città porta solo i colori del cielo: il bianco e il celeste. Per la Roma quest'anno non c'è scampo e non c'è storia, sconfitta su tutta linea quattro volte su quattro e pilotata da Zdenek Zeman, che soccombe ancora una volta e si consegna ai posteri con un'etichetta terribile, che nemmeno cent'anni, nella sanguigna tradizione delle stracittadine romane, riusciranno forse a cancellare. La Lazio, puntuale e inesorabile, ha ripresentato il conto: con il diciottesimo risultato utile consecutivo, tra campionato e coppe, si è lasciata alle spalle l'Inter e insegue la Juve, con quattro lunghezze di svantaggio. E' stato un derby a strappi, accattivante da subito, pieno di errori e di occasioni da gol, mai noioso, monocorde, non incantevole sul piano del gioco eppure sempre vivo, come se dovesse esplodere da un momento all'altro. E' partito con buone promesse da parte della Roma, migliori di quelle della Lazio, più attenta a prendere le misure e ad aspettare che passasse la baldanza dell'avversario. Poi, tra la metà e la conclusione del primo tempo, è lievitata la Lazio, che ha cominciato a marcare una chiara supremazia sotto il profilo tattico e a schiacciare i giallorossi, agevolata dalla superiorità numerica a centrocampo, dai tremori difensivi di Aldair e compagni e dall'immobilismo di Zeman, che ha assistito allo sbandamento collettivo senza muovere paglia. La costruzione della gara messa a punto dal boemo non è stata troppo dissimile dalle precedenti.
Chi si aspettava una Roma più accorta, più prudente in confronto ai tre derby persi nel corso della stagione, è rimasto deluso. E' vero che Candela ha ridotto le sue avanzate sulla fascia sinistra, forse pure costretto dalla serata balorda di Di Francesco, ma dall'altra parte Cafu ha svolto il suo lavoro senza pause, nel pieno rispetto delle antiche consegne, e insufficientemente coperto alle spalle da Tommasi. L'avvio frizzantino, concretizzatosi in una rovesciata di Di Biagio in area al 4' (assist di Delvecchio e parata a terra di Marchegiani) e in una stoccata di Paulo Sergio al quarto d'ora, non ha impressionato la Lazio. Soffrendo la sovrastante qualità tecnica del centrocampo biancoceleste, la Roma si è fatta lentamente risucchiare dai suoi tentennamenti e da una sorta di blocco psicologico, che ha via via lasciato il campo alla sicurezza interiore dell'avversario. A differenza delle altre sfide, stavolta la Lazio ha mancato in maniera incredibile occasioni da gol a ripetizione. Attaccava la sinfonia Mancini (13', piattone sbilenco su servizio di Boksic), imitato da Boksic (25', cross di Fuser), da Fuser (31', assist del croato) e ancora da Boksic (due volte: 32', rovesciata fuori misura a porta vuota e al 45', cross radente di Fuser). Per la verità pure la Roma, in un paio di circostanze, si era allineata all'andazzo svirgolato della partita: sfortunata al 39' con Totti, la cui girata di testa veniva salvata sulla linea da Venturin, e improvvida con Delvecchio al 29', che mandava in curva sempre di testa, a pochi metri da Marchegiani.
Tuttavia, il divario tra le due formazioni, divario non solo tecnico, ma soprattutto di mentalità e di consapevolezza dei propri mezzi, è riemerso in tutta la sua interezza nella ripresa. La Lazio ha come sentito di avere ormai in pugno la partita e l'avversario. Questa sensazione di forza prevalente si è materializzata dopo cinque minuti, quando Boksic, riprendendo la respinta di Konsel su una punizione calciata da Jugovic, ha frantumato le speranze giallorosse e messo la Lazio nelle condizioni di decollare verso il secondo posto. La Roma è impallidita e Zeman è andato nel pallone, perfino ripreso da Boggi per una protesta troppo veemente. Il raddoppio di Nedved (gol da posizione impossibile, susseguente a un salvataggio di Zago su tiro debole di Fuser) ha messo il timbro definitivo a quanti ritenevano che il quarto derby della stagione potesse in qualche modo restituire alla Roma una piccola porzione della dote persa nei tre confronti precedenti.
"I ragazzi hanno disputato una grande partita, è stato il derby più bello: l'abbiamo dominato". Eriksson sprizza felicità da tutti i pori. I biancazzurri hanno vinto la quarta stracittadina della stagione, un record che sarà difficilmente superabile dai rivali della Roma. E, soprattutto, hanno agganciato quella seconda posizione in classifica che li rilancia prepotentemente nella lotta per la conquista del campionato: "Scudetto? E' meglio non pronunciare la parola", sottolinea scaramanticamente il tecnico laziale. Il quale, però, sa perfettamente che d'ora in avanti sarà proibito sbagliare. E avverte: "Vedo un pericolo: si gioca troppo, siamo in lotta su tre fronti. Avremo due partite alla settimana, forse è meglio. Forse no. Ma un fatto è certo: non abbiamo vinto ancora nulla, è presto per festeggiare...". L'azionista di maggioranza della Lazio, Sergio Cragnotti, aveva scommesso con Boksic che non sarebbe arrivato a quota 10 gol. E' stato smentito. "Pago, sono ben lieto di farlo - dice sorridendo -. Ora puntiamo a entrare in Champions League". Tutt'altro umore in casa giallorossa: Sensi se ne va scuotendo la testa e non pronuncia una parola, Zeman continua nel suo personale silenzio-stampa. Aldair si presenta ma sembra un pugile suonato: "La Lazio è più organizzata di noi", ammette sconsolato. E rivela: "Abbiamo sbagliato tutto. Zeman ci aveva detto come dovevamo giocare, noi non lo abbiamo fatto...".
La Gazzetta dello Sport titola: "Questa è una super Lazio. Vince il derby, sorpassa l'Inter ed è seconda a 4 punti dalla Juve. Prova di forza della squadra di Eriksson che si impone per la 4a volta consecutiva nel derby. Ora i biancocelesti sarebbero in Champions League e puntano allo scudetto guardando l'unico avversario che hanno davanti, la Juve, alla quale hanno rosicchiato altri 2 punti".
Continua la "rosea": E quattro! Quattro derby, quattro vittorie della Lazio. L'ultima, ieri, perfino imprevedibile nella sua perentorietà. Lazio in Champions League e sfidante ufficiale della Juve (non perde da 13 giornate, dal giorno in cui fu sconfitta proprio a Torino, da allora 10 vittorie e 3 pari) che dovrà scendere all'Olimpico il prossimo 5 aprile. Prove generali mercoledì per il retour-match di coppa Italia. Un 2-0 dopo il quale è lecito sognare. Non casuale che a siglare il successo siano Boksic e Nedved, vento dell'est capace, solo per limitarsi al campionato, di realizzare fin qui 19 gol. Tutti, si badi bene, su azione. Sovvertiti i pronostici che volevano la Roma, reduce da quattro vittorie consecutive, in crescita fisico-dinamica. E che ipotizzavano una Lazio un po' appannata. Niente di più falso. Complice forse il fatto di giocare di notte conoscendo i risultati favorevoli del pomeriggio, i biancocelesti affrontano il derby con una lucidità e una saldezza di nervi feroce. Da squadra consapevole dei propri enormi mezzi. Aspettano la Roma, la contrano e la trafiggono dopo avere molto dilapidato. Vittoria netta, limpida. Non c'è arbitro (l'ottimo Boggi, nella circostanza) che tenga. Il 4° round stagionale propone la prima volta in assoluto di Zago, l'anti Boksic e il Delvecchio che soppianta Balbo. Andrà male per entrambi. Il menù, per il resto, è quello dei tre derby precedenti. Lazio attendista, Roma con l'irrinunciabile tridente. Bastano tuttavia pochi minuti, per comprendere come i giallorossi non abbiano voglia di consegnarsi al nemico nello stesso modo con cui l'avevano fatto nelle precedenti occasioni.
Cafu parte poco, e Candela non parte per niente. Le altre trovate di Zeman riguardano l'arretramento di Totti, che si sottrae a Pancaro partendo quasi da metà campo, e un Aldair che cerca senza troppa fortuna di impostare il gioco. La risposta della Lazio è assai semplice: squadra più corta che mai col sacrificio di Jugovic che aspetta in zona Cafu. Se quello parte Mancini non lo insegue ma si dirotta sui piedi di Di Biagio, altrimenti dirimpettaio di Jugovic. Accoppiate rigorose, nonostante la zona collettiva, le altre: Negro-Delvecchio, Favalli-Paulo Sergio, Fuser-Candela, Venturin-Di Francesco, Nedved-Tommasi e Boksic-Zago. Sebbene bloccata tatticamente, la partita è bella e ricca di occasioni. Roma prudente ma con una difesa ugualmente approssimativa, e Lazio in difficoltà solo su palle inattive. Che procurano alla Roma tre palle-gol nel primo tempo, senza seguito ulteriore: la rovesciata di Di Biagio da punizione di Cafu e torre di Delvecchio che Marchegiani si ritrova tra le braccia; la spallata di Totti su corner di Cafu che Venturin toglie di testa dalla porta proprio sulla linea, e la punizione di Totti che Marchegiani alza oltre la traversa. E' la Lazio tuttavia che va al riposo vantando grossi crediti: le sue palle gol sono infatti addirittura cinque e, calcolando che Mancini è un assente ingiustificato, testimoniano del disagio in cui Boksic, tanto devastante quanto impreciso, pone l'intera retroguardia di Zeman. Il croato svelle Zago prima del quarto d'ora ma l'assist per Mancini è sciupato da un piattone ciabattato; poi approfitta dell'errore di Candela ma Fuser rovina tutto; quindi ci sono i cross bassi di Fuser e Pancaro dalla destra, sui quali Boksic spunta puntuale sul palo opposto coordinandosi però male: una volta il pallone è fuori d'un niente, un'altra l'incornata in volo è perfino eccessiva, tanto che il pallone resta lì, a disposizione di Konsel.
La chance più ghiotta, Alen la dilapida quando Konsel gli esce incontro oltre l'area e cicca il rinvio: troppa fretta nel calciare al volo spalle alla porta sguarnita, con maggiore freddezza c'era da filarsela via palla incollata al piede. Ma è una partita le cui indicazioni sono già chiare. La superiore cifra tecnica della Lazio è evidente e le somme si tirano nel primo quarto d'ora della ripresa. La Roma, questo può essere l'aspetto meno prevedibile, capitola su palla inattiva, proprio la strada con cui aveva creato qualche problema agli uomini di Eriksson. La punizione (5') e' di Jugovic, una sassata complicata dall'aprirsi della barriera tra Di Biagio e Tommasi che si stacca. Konsel vede il pallone all'ultimo momento e respinge come può, Boksic è un killer per rapidità e, stavolta, freddezza. La Roma è come atterrata da un colpo di maglio e la Lazio lo capisce. Comportandosi da grande squadra. Cercando cioè il colpo del k.o., senza calcoli. Attaccando, solo ora, pancia a terra. La trama che (17') porta sul 2-0 è da Oscar dello spettacolo e della suspence. Una sequenza folle: Mancini-Boksic-Konsel-Fuser-Zago-Nedved. Con la parata disperata del portiere austriaco sul croato e il successivo salvataggio sulla linea del brasiliano. Fin quando non arriva da posizione impossibile il boemo (quello in campo, naturalmente...) per il fendente di sinistro. Il derby numero quattro finisce qui. La stagione della Lazio? Quella comincia ora.
In un altro articolo del quotidiano sportivo è riportato:
Eriksson, scommessa vinta Ha vinto la scommessa Eriksson. E a rivedere le cose in questa frizzante serata che sa di primavera, sembra quasi tutto scontato. Ma Svennis la sua scommessa sui gol che Boksic avrebbe segnato in questa stagione l'ha fatta nell'estate scorsa, quando il cavallo croato di ritorno dalla Juve suscitava più perplessità che entusiasmi. Un amico romanista allora sfidò il tecnico svedese: "Ma quanti gol vuoi che faccia Boksic, in Italia non va mai in doppia cifra. Scommetto che non arriva a 10". Eriksson, fine psicologo, evidentemente riponeva già grandi speranze su Alen perché suscitò la sorpresa dell'interlocutore: "No. A 10 non accetto. Facciamo 15". L'amico accettò la puntata convinto di dover aspettare solo la fine della stagione per incassare la cena di rito. Invece siamo agli inizi di marzo e Boksic ha già raggiunto quota 15: 10 in campionato e 5 in coppa Italia. Tutti su azione. Con una media-gol sui minuti giocati superiore a Batistuta, Ronaldo e Del Piero. Eriksson ha vinto più di una cena. E' riuscito a trasformare un enorme potenziale in macchina da gol implacabile. E le occasioni mancate nel primo tempo dal croato, rafforzano il concetto. Oggi più che mai Boksic è diventato decisivo per questa Lazio ormai matura per grandi obiettivi. E in questa notte magica, in attesa che ne seguano altre, va però ricordato il problema contratto. I 27 miliardi fissati come clausola di rescissione dal giocatore diventano, a ogni gol segnato, sempre più appetibili per i concorrenti italiani e internazionali della Lazio. Alen a Roma sta bene e si sta godendo questo lungo periodo denso di soddisfazioni. L'idea di lasciare la sua villa dell'Olgiata non lo sfiora, e si è visto anche ieri sera, nonostante le anticipazioni di mercato. E' compito della Lazio però "blindare" il contratto del croato. Perché va bene l'ingresso in Borsa e tutte le nuove implicazioni finanziarie. Ma un patrimonio di questo valore non può essere assolutamente dilapidato.
La Repubblica titola: "Colpo Boksic-Nedved, la Roma si arrende".
L'articolo prosegue: La Lazio sarebbe in Champions League, si è presa il secondo posto in classifica con una partita all'inizio sorniona che poi ha illuminato con un paio di colpi dei suoi maestri, marcando così ancora una volta la sua differenza con la Roma, alla quale ha inflitto la quarta sconfitta nell'anno, un bilancio davvero deprimente per lei. Finché si è giocato a ritmi d'approccio la squadra di Zeman sembrava potesse tenere il campo, ma appena c'è stato il colpo di genio la gara è finita: questa Roma, contro questa Lazio, è destinata a finire sempre così, come una macchina senza freni scivolerà sempre in una discesa. E' stato soprattutto Boksic a disarticolare la difesa romanista, contro di lui Zago è apparso un lentone da oratorio, mentre il croato, appena aveva un po' di campo a disposizione, creava rovine dove andava. Si era illusa del suo primo tempo la Roma, dove aveva avuto una buona iniziativa, ma questo le era successo anche nei tre derby precedenti, persino in quello perso per 1-4. Ma la superiore maturità tattica della Lazio alla fine ha prevalso, anche se l'attendismo degli uomini di Eriksson all'inizio ha creato perplessità, la si vorrebbe qualche volta più decisa, con il comando del gioco dalla sua, più convinta della sua forza, più pronta ad esibirla. Ma evidentemente il suo carattere è un altro, il meglio le viene sempre dopo quando poi riesce finalmente a segnare e con Boksic in queste condizione può accadere facilmente. Anche in un primo tempo che era stato apparentemente equilibrato c'era stato un equivoco di fondo: la Roma sembrava avere fatto la partita ma le occasioni, tante, erano state tutte della Lazio.
Un paio di chance erano nate per errori a centrocampo, specificatamente di Di Biagio e di Candela, altre da cross dalla destra, sui quali la difesa romanista tentennava e si salvava per puro caso. L'occasione più clamorosa era al 26', quando Boksic, a porta vuota, con Konsel lontano, mandava di ginocchio fuori, la palla passava a dieci centimetri dal palo. C'era curiosità sulla prova di Zago, che aveva dato consistenza alla difesa romanista nelle ultime gare, ma il brasiliano ha penato terribilmente contro Boksic che l'ha saltato bellamente quando ha voluto. La Roma aveva costruito molto poco, una conclusione di Di Biagio al 5' del primo tempo, in rovesciata, e una deviazione da corner di Totti al 24', con salvataggio di Venturin sulla linea. Qualche buon lancio in profondità ma a mancare erano continuità, aggressione, compattezza, tutte le qualità che Zeman non riesce a insegnare a questa squadra. Su alcune palle lunghe c'era addirittura qualche imbarazzo dei centrali laziali, Delvecchio toccava bene un paio di palloni alti: ma alla lunga era il compatto centrocampo laziale a prevalere, approfittando anche della serata non brillante di Di Biagio. La Roma credeva di poter continuare così, con Totti che tentava il numero, al 1' della ripresa, proprio su punizione del 10, c'era un colpo di testa di Di Biagio. Ma ecco arrivava di nuovo puntuale la lezione di calcio: al 4' c'era una punizione dal limite dell'area romanista, neanche troppo vicina. Ma la botta di Jugovic era terribile, Konsel respingeva come poteva, sulla palla il primo ad arrivare era Boksic che sparava tra le gambe di Tommasi e Di Biagio.
Si capiva che la partita era finita lì, la Roma si slabbrava come le accade nei momenti difficili, cominciavano i buchi in difesa (e non che nel primo tempo, a ritmi più blandi, non ce ne fossero già stati): e al 16' arrivava il raddoppio, dopo uno sbandamento del centrocampo romanista, con palla a Boksic nella metà campo libera della Roma. Konsel riusciva in qualche modo ad arginare l'azione, la palla vagava verso Fuser che saltava un difensore e poi cercava l'angolo basso. Si allungava Zago a deviare una palla che forse finiva fuori, ma non riusciva che a mandarla verso Nedved. Qui il boemo tirava fuori un numero da artista, calciando prontamente di sinistro, infilando la cruna dell'ago, in uno specchio di porta davvero esiguo.
Tratte dal quotidiano romano, alcune dichiarazioni post-gara:
Eriksson, si sa, misura le parole, e con esse le emozioni, le delusioni. Sentir pronunciare da uno come lui la parola "capolavoro" è un evento. Sentirgli dire "niente è perfetto nella vita, ma questo ci si avvicina parecchio" è un momento da gustare. Più scontato che la sua analisi sul gioco della Lazio guardi alla globalità dell'azione: "Noi abbiamo creato tante occasioni con gli attaccanti, e ci siamo resi pericolosi anche con gente che partiva da dietro". Ma siccome dietro ogni tecnico c'è un uomo, e un cuore che batte, è un'istantanea da ricordare il suo sguardo che si abbassa per ammettere: "Sì, ho detto 'Madonna che bello', quando è cominciato a salire il coro che scandiva il mio nome. Non era tutto lo stadio, ma bastava già così". Sven Goran Eriksson individua un momento particolare per la nascita della sua Lazio, un concentrato di emozioni, ma anche di numeri che fanno paura, dalle 18 partite senza sconfitte alle 10 vittorie consecutive nelle notturne all'Olimpico. Questo momento risale al periodo peggiore, quello dei punti persi e delle sconfitte indiscutibili: "Ci è servito perdere partite come quella contro la Juve e l'Udinese. Abbiamo imparato tanto, da allora abbiamo cambiato totalmente atteggiamento. Da metà dicembre è molto difficile batterci. Tutta la squadra lavora con più attenzione, gli attaccanti non hanno paura di correre per quaranta metri per aiutare i compagni in difficoltà".
L'unico ostacolo, con la Juve a quattro punti e l'Inter alle spalle, per lui è rimasto il calendario: "Spero che duri, questa squadra, perché l'unica insidia vera è il dover giocare due volte a settimana. Dobbiamo fare troppe partite, è vero. Ma abbiamo anche l'obbligo di provarci dappertutto. A cominciare da mercoledì in Coppa Italia contro la Juve. Lo garantisco: questa società prima o poi vincerà. Speriamo prima, più che poi". Se Eriksson raggiunge la sala stampa dopo la partita, l'altro grande protagonista del derby non si fa vedere. Chissà se Boksic ci avrà pensato. Alla notte di Lione, a quell'azione fortemente voluta che permise a Winter di segnare. Andò contro gli schemi, il croato, e per questo fu ripreso da Zeman. Ed ora ci si ritrova qui, all'Olimpico, con Boksic tornato in biancazzurro dopo la parentesi juventina, e Zeman passato sull'altra panchina di Roma. Non è difficile immaginare il sapore del primo gol in un derby di campionato contro Zeman. "Se avessi pensato solo al denaro sarei andato al Barcellona o al Manchester" diceva Boksic in estate.
Cragnotti gli aveva offerto un quadriennale da dodici miliardi netti, con una promessa: un premio supplementare allo scoccare del decimo gol in campionato. Questo gol è arrivato, ed ora il presidente è "pronto a pagare, anzi a raddoppiare". Un po' del merito va anche ad Eriksson, che ha saputo accettare i ritmi del croato in allenamento, le sue astensioni dalle sedute del venerdì per dedicarsi ai massaggio. E accettando, lo svedese si gusta ora i gol, le frequenti impennate, gli ingressi in campo mezz'ora prima degli altri. Boksic, lasciato libero, vale questo. C'è chi ha capito.
Dalla Gazzetta dello Sport:
Che la Lazio non fosse sazia dei tre precedenti derby vinti si è capito alle 5 della sera. O meglio qualche minuto prima, quando Del Piero riusciva a pareggiare il gol dell'Udinese. Tutta la squadra era riunita nel salotto-bar della foresteria di Formello per assistere in pay-per-view alle partite di Parma e Udine. Alla fine il gruppo poteva essere soddisfatto della sconfitta dell'Inter, col secondo posto a tiro. Invece prevaleva il disappunto per quel pari della Juve. Sergio Cragnotti è naturalmente euforico, ma non tanto per la supremazia cittadina ormai consolidata, piuttosto per le rosee prospettive. Il finanziere non nasconde l'obiettivo: "La vetta a questo punto è a soli 4 punti, e sono pochi. Se continuiamo così nessun traguardo ci è precluso. Siamo grandi, di un'altra categoria. Mi ha impressionato la capacità della squadra di controllare a proprio piacimento la partita, colpendo poi al momento giusto. Credo che questa sia una delle più belle prove della squadra, sapientemente guidata da Eriksson. Grande la cornice di pubblico, che sta cominciando a capire il valore immenso di questo gruppo. E' la mia stagione più bella alla Lazio". Il favoloso Boksic inorgoglisce il patron che ha sempre creduto nel giocatore. Cragnotti però sorvola su quella clausola rescissoria fissata a 27 miliardi, diventata oggi una cifra appetibile per la concorrenza: "Ad Alen devo già pagare la scommessa per i 10 gol segnati in campionato. Sono pronto a raddoppiare se continuerà".
Su questo splendido Boksic ammette invece le proprie paure Eriksson, proprio nella sera forse più bella dal suo ritorno a Roma: "Sono sincero. Questa clausola del contratto di Alen mi preoccupa. Spero che comunque ci sia modo di aggiustare le cose. Questa società ha grandi progetti e prima o poi qualcosa vincerà. Speriamo prima che poi". Sulla partita il tecnico svedese esprime soddisfazione: "La perfezione non esiste, ma ci siamo andati vicino. Abbiamo dominato. Per me questo è il più bel derby. Perché abbiamo giocato bene. Oltre che vincere abbiamo controllato bene la Roma, concedendo pochissimo ad una squadra abituata ad arrivare in rete con facilità. E poi abbiamo costruito parecchie palle gol, e non solo con gli attaccanti, anche con altri che arrivavano da dietro". Una telecamera ha zoomato durante la partita su un Eriksson stupito per i cori a lui dedicati che ha esclamato: "Madonna mia, che bello!". Svennis ammette quasi imbarazzato, però non vuol pronunciare la parola scudetto: "Godiamoci questo secondo posto. Non parliamo d'altro e concentriamoci subito sul prossimo impegno di coppa Italia contro la Juventus, per nulla facile". A chi gli sottolinea che con questi 4 derby è entrato nella storia della Lazio, Svennis ribatte: "Grazie. Ma la storia si fa alzando al cielo un trofeo. Tutti noi vogliamo farlo al più presto". Perché la fame è tanta.
Roberto Mancini lascia lo spogliatoio e ammette: "Continuo a non sentire il derby. M'interessa di più la classifica, m'interessa di più per la Champions League. E raccomando Negro e Favalli per la difesa della nazionale". Per un Mancini senza febbre da derby, c'è Dino Zoff che usa un superlativo ("grandissimo") sconosciuto nel suo vocabolario, sempre piuttosto parco di aggettivi. E Negro si presenta in sala stampa in accappatoio. Perché nello spogliatoio della Lazio è esplosa la baldoria. Ecco la fotografia: il secondo posto in classifica, il salto dell'Inter grazie al quarto successo nel derby della Capitale. "Grande, grandissimo spettacolo - chiarisce Zoff -. Così bene non li avevo visti giocare in una partita tanto importante e delicata. Una Lazio superiore sempre. Tutti bravi". Il presidente della Lazio poi rientra nel personaggio: "Ora pensiamo a mercoledì per un altro traguardo importante in coppa Italia". Chi, invece, non s'accorge quasi più di nulla è Paolo Negro. Ancora umido di doccia e degli scherzi dei compagni, ubriachi di gioia. "Come mi sento, dopo il quarto successo nel derby? Chiedetemelo domani - implora -. Adesso non mi rendo ancora conto di tutto. C'è soprattutto il nostro secondo posto in classifica, da soli".
Attenzione, però, a considerare la Lazio esaltata dalla festa. Perché i giocatori di Eriksson sanno frenare evitando i capogiri. "Scudetto? E' parola vietata - ammonisce Negro -. Non vogliamo neanche sentirla. Mercoledì c'è in ballo un traguardo storico, la finale di coppa Italia. Storico è troppo? Per me lo è, dopo 5 anni di Lazio. Con due-tre nuovi compagni, questa Lazio è diventata molto forte. Senza montarsi la testa. Questa è la nostra forza". Ma non è solo la calma dei nervi distesi, per dirla con lo slogan di una marca di tè, la forza della Lazio è anche quel Boksic travolgente. Il croato lo inquadra Fuser: "Boksic prima non inquadrava la porta con questa facilità. Adesso è freddo al punto giusto e sbaglia pochissimo. Appena gli concedono il minimo varco va e colpisce. Ora m'interessa, c'interessa di più la Champions League. Mercoledì c'è la Juve? Non mi fido. Loro hanno rinunciato? Non ci credo. Questa nostra squadra sta bene. Ci troviamo bene fra noi e in campo. La Roma? Sapevamo che cosa dovevamo fare. Però non dimenticatevi che anche in altre partite abbiamo giocato bene. Come a Bergamo".
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