Domenica 24 novembre 1996 - Roma, stadio Olimpico - Lazio-Sampdoria 1-1
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Campionato Italiano di calcio Divisione Nazionale Serie A 1996/97 - 10ª giornata - Lazio-Sampdoria 1-1
LAZIO: Marchegiani, Negro, Nesta, Chamot, Favalli, Fuser, Baronio, Nedved (77' Piovanelli), Rambaudi (73' Buso), Casiraghi, Signori. n.e. Orsi, Fish, Marcolin, Grandoni, Venturin. All. Zeman.
SAMPDORIA: Ferron, Balleri, Mannini, Mihajlovic, Pesaresi, Veron (71' Invernizzi), Franceschetti, Laigle, Carparelli (80' Sacchetti), R.Mancini, Iacopino (69' Karembeu). n.e. Sereni, Salsano, Montella, Evani. All. Spinosi. D.T. Eriksson.
Arbitro: Sig. Boggi (Salerno).
Marcatori: 6' R.Mancini, 82' Negro.
Note: ammoniti Negro, Baronio, Favalli, Laigle, Franceschetti, Balleri. Espulso Pesaresi al 34' s.t. per doppia ammonizione. Calci d'angolo: 8-1.
Spettatori: 32.813.
Di testa. Torsione mirabile, su traversone di Laigle, gesto aggraziato, folgorante. Resta annichilito Chamot, arrancante sulle spalle dell'avversario già lontano. Vola inutilmente Marchegiani. Mancini libera così, dopo sei minuti, un talento creativo pari alla sua tendenza autodistruttiva. Che si materializza più tardi: di sinistro. Sul filo del fuorigioco, saltando Marchegiani in dribbling, mancando la porta per eccessivo decentramento. E che conclude la sua parabola nel finale, attraverso l'altro piede, il destro, che liscia il pallone nel momento del rinvio determinante, come l'ultimo dei calciatori improvvisati, e consegna a Negro la possibilità del pareggio. Mancini è l'inizio ed è la fine, il capo e la coda. In mezzo, però, all'interno di questo lungo segmento, ci sono due squadre precarie e bizzarre, una partita appassionante per quantità di occasioni costruite e poi sprecate, per due terzi dalla Lazio e per il resto dalla Sampdoria. C'è una squadra, quella di Zeman, che si salva con un difensore solo a nove minuti dalla chiusura, dopo aver schiantato il suo muso contro un portiere inaccessibile, travestito da saltimbanco paratutto. E c'è un avversario condensato in uno schema elementare, attesa e contropiede, difficile comunque da decifrare, che sciala senza ritegno, le mani bucate e il rimpianto dietro l'angolo. Il disegno di Eriksson, quello indipendente dalle evoluzioni istantanee di Mancini, poggia le basi su un centrocampo molto coperto e le corsie laterali bloccate. Temendo la potenza offensiva laziale, il tecnico della Sampdoria chiama Iacopino e Carparelli alla consegna permanente sulle fasce, mentre gli altri tre della linea mediana (Veron, Franceschetti e Laigle) misurano i propositi poco ispirati di Fuser, Baronio (all'esordio dal primo minuto in questo campionato con la maglia biancoceleste) e dell'acciaccato Nedved.
Ma in larga parte i timori di Eriksson vengono smentiti dal campo. Negro si riscatta solo nel periodo conclusivo, Favalli è inesistente e a sinistra fa male quanto un moscerino, Rambaudi è disastroso (esce tra un mare di fischi a metà ripresa per fare posto a Buso), Nedved e Fuser sono intermittenti (meglio comunque il primo del secondo), Baronio poco autoritario, per quanto in possesso di qualità tecniche di prim'ordine. Così la Samp ha gioco quasi facile, ma non riesce a soffocare gli umori straripanti di Signori e Casiraghi in attacco. La lotta tra questi due con l'intera difesa blucerchiata riassume il senso della gara, consumatasi nell'inseguimento laziale non agile, anzi parecchio contorto, eppure categorico, sfrontato. Ferron fa miracoli, si supera in due circostanze, inventando interventi assolutamente mostruosi su Casiraghi (appoggio al volo su cross di Signori nel primo tempo, colpo di testa mirato nella ripresa) ed esaltando Balleri, Mihajlovic e Mannini, autori di prestazioni ben al di sopra della media sampdoriana. Il pareggio realizzato da Negro alla fine è giusto, ma è pure inutile per tutti. Arriva, tra l'altro, con la Sampdoria in inferiorità numerica per l'espulsione di Pesaresi, Sampdoria vanamente risistemata da Eriksson in quel breve lasso di tempo (dal 34' al 36') con Carparelli immediatamente sostituito da un più robusto Sacchetti. Perché è la capacità di distruzione di Mancini ("mi sono addormentato", confesserà il capitano durante "Novantesimo minuto") a chiudere il cerchio. Imprevedibilmente.
Fonte: Corriere della Sera