Ciotti Sandro
Calciatore, musicista e giornalista. Nato a Roma il 4 novembre 1928 e ivi deceduto il 18 luglio 2003.
Giovane giocatore della Lazio, poi della Viterbese nel 1948/49, del Forlì nel 1953/54, dell'Anconitana e del Terracina nel 1955/56, Sandro è il figlio del giornalista Gino Ciotti. Inizia la sua carriera scrivendo per numerosi giornali nazionali. Nel 1958 Ciotti entra alla RAI e si afferma presto come uno dei più bravi radiocronisti di sport e di musica. Ha un grande successo anche in televisione e conduce numerose edizioni della Domenica Sportiva e di altre popolari trasmissioni. Non si contano le partite, i "Giri" d'Italia" e di Francia che segue e racconta con la sua inconfondibile voce roca, piena, intrisa di toni ora secchi ora epici, il lessico sempre preciso e corretto. Sandro Ciotti è stato la versione italiana di "The Voice". Non bravo come Sinatra a cantare, con l'americano condivideva però l'immensa passione per la musica, come testimoniano i tanti servizi curati da Ciotti per oltre quaranta edizioni del Festival di Sanremo. Ciotti era strepitoso nel narrare le imprese degli eroi del calcio. Il calcio degli anni Sessanta e Settanta: allo stadio andavano ancora le famiglie, papà e mamma mettevano nel cestino il panino con la frittata, si poteva seguire la partita mischiati assieme ai tifosi avversari. Quello delle figurine che si attaccavano sull'album con la coccoina e Ciotti e Ameri non stavano sulla raccolta Panini ma era come se ci fossero.
Era il calcio di quando non si poteva sapere il risultato del primo tempo prima che cominciasse il secondo e allora tutti con la radiolina all'orecchio perché Ameri, Ciotti, Bortoluzzi in studio - Provenzali, Ferretti, Luzzi dai campi della Serie B - svelavano il mistero mentre cominciava "Tutto il calcio minuto per minuto".
Sandro Ciotti il calcio non solo lo raccontava: prima di tutto lo amava. Era una delle sue grandi passioni assieme allo scopone e alla musica. Gli piacevano molto anche le donne ma, al pari di un altro romano "doc" come lui (Alberto Sordi), non ha mai voluto saperne di sposarsi. Come padrino di battesimo aveva avuto Trilussa. Tuttavia, invece di mettersi a fare il poeta, da ragazzo Sandro suonava il violino e coltivava già il pallino del giornalismo. Calciatore nelle giovanili della Lazio, entra nel 1942 con il ruolo di difensore. Impegnato in severi studi di violino Ciotti arrivava sempre tardi all'allenamento pomeridiano e solo la pazienza e la signorilità dell'allenatore Dino Canestri gli permettevano di essere tollerato dai dirigenti. I molti interessi non gli hanno consentito di avere successo nel calcio e non arrivare ad esordire in prima squadra. Tuttavia la Lazio è sempre stata nelle sue corde e con lei il Torino.
La sua voce aveva preso quel timbro così roco e caratteristico dopo quattordici ore consecutive di diretta sotto la pioggia, durante le Olimpiadi di Città del Messico nel 1968. Quel suono unico gli è rimasto appiccicato addosso facendo di Ciotti il simbolo di trent'anni di calcio radiofonico e televisivo. Dal teleschermo era diventato modello per chi, come lui, non voleva saperne di riporre nell'armadio le camicie con il collettone stile anni '70, tornate di moda proprio quando Sandro se n'è andato. L'uomo e il cronista erano stimati da tutti, compresi i fuoriclasse amanti dei silenzi stampa e quelli dalla vita disordinata. Quando Johan Cruijff, ancora giocatore, disse sì al progetto di film sulla sua vita calcistica, pose solo una condizione: che la regia fosse affidata a Sandro Ciotti, "Il miglior giornalista sportivo che abbia mai conosciuto". Ne venne fuori "Il Profeta del Gol", una gemma di documentario.
In un articolo di stampa Sandro Ciotti così racconta la "sua" Lazio
Per me la Lazio è soprattutto un callo. Quello che inalbera il dito piccolo del mio piede sinistro da una lontana domenica del '43. All'epoca era abitudine sacrale di ogni club far "sformare" le scarpe nuove destinate ai titolari dai componenti della squadra ragazzi. A me toccarono quelle di un famoso bomber dell'epoca - Buby Koenig - idolo delle ragazzine dei Parioli. Erano scarpe di cuoio grasso di un improbabile color sabbia anziché nere come tradizione comanda (la Lazio di quei tempi aveva queste civetterie) e dopo venti minuti la frittata, anzi il callo, era fatto. Piccolo e tanto maligno da indurre alla resa anche i podologhi più prestigiosi. Ma un callo al quale voglio bene: mi ricorda un ambiente, quello della Lazio di allora, che ha rappresentato per me l'unico riscatto dalla drammatica dimensione della guerra, una sorta di oasi dove dimenticare per tre volte la settimana l'incubo della fame, delle bombe, del coprifuoco, dell'oscuramento non solo fisico di quei momenti.
Era una Lazio a conduzione paternalistica e leggermente snob (i soffitti a cassettoni e gli stucchi della sede di via Borgognona mi incutevano grande soggezione, così come le scarpe "made in England" e le cravatte Scappino di molti dirigenti), ma viva la faccia del paternalismo quando ne sia titolare un uomo come Remo Zenobi. Per noi della squadra ragazzi il grande momento era il giovedì, quando per la partitella ci mischiavamo con i titolari ai quali ovviamente davamo rigorosamente del Lei ("Per favore, mi passi la palla") e potevamo toccare (e magari anche duramente) Piola, l'idolo meno idolo che abbia mai conosciuto, oppure "Flaco" Flamini, voce cavernosa e piede di velluto che inventava palle-gol a getto continuo. Il titolare col quale avevo maggior confidenza era comunque Uber Gradella per il fatto che ci incontravamo spesso al conservatorio di Santa Cecilia dove lui andava a lezione di canto e io di violino. Tempi in cui chi non rispettava certe regole tattiche dettate dal responsabile delle minori Canestri ("Mai offrirsi in linea con un compagno all'avversario portatore di palla", "Mai battere centralmente un calcio di rimessa", "Mai aspettare la palla, ma andarle incontro", eccetera) doveva sorbirsi, tra gli sfottò dei compagni, una bella serie di giri di campo.
Spesso fatti gareggiando con i cani, dal momento che ci si allenava al cinodromo della Rondinella in concomitanza con le corse canine. Il nostro centravanti si chiamava Pasqualucci e aveva un tiro al fulmicotone, ma una volta ciccò una palla-gol con un sinistro troppo molle. "Non ha il sinistro" mormorò qualcuno all'orecchio di Canestri. "No: non ha mangiato" replicò il "Sor Dino". A proposito di mangiare: mi fanno ridere quelli che parlano di "odio antico" tra Lazio e Roma. La Roma si allenava all'Apollodoro, cioè a dieci metri dalla Rondinella e i ragazzi erano allenati da Guido Masetti che un giorno arrivò con un sacco pieno di pagnotte militari catturate chissà dove e chissà come. Volle che i suoi "lupetti" le dividessero con noi. Che "odio" è?
Sandro Ciotti in maglia Lazio Ragazzi 1947
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