Domenica 28 ottobre 1979 - Roma, stadio Olimpico - Roma-Lazio 1-1

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28 ottobre 1979 - 2016 - Campionato di Serie A 1979/80 - VII giornata

ROMA: Tancredi, Rocca, Peccenini, Benetti, Turone (40' De Nadai), Santarini, Amenta, Di Bartolomei, Pruzzo, Ancelotti, B.Conti. A disp. P.Conti, Ugolotti. All. Liedholm.

LAZIO: Cacciatori, Tassotti, Citterio, Wilson, Manfredonia, Zucchini, Garlaschelli, Montesi, Giordano, Nicoli, Viola. A disp. Avagliano, Manzoni, Todesco. All. Lovati.

Arbitro: D'Elia (Salerno).

Marcatori: 6' Zucchini, 16' Pruzzo.

Note: giornata nuvolosa, terreno allentato. Ammoniti Di Bartolomei (28', gioco falloso), Manfredonia (34', fallo su Turone, che ha riportato una contusione con ferita alla coscia destra ed è stato costretto ad abbandonare il campo), Zucchini (35', fallo su Amenta). Giordano è rimasto fuori campo per un minuto al 6' per una botta alla testa. Espulsi al 82' Montesi ed Amenta per reciproche scorrettezze. Angoli 6-2 per la Lazio (2-2 nel primo tempo). Durante il primo tempo due palloni sono finiti tra il pubblico, non sono stati restituiti; nella ripresa un terzo pallone, finito in curva Nord, è stato rilanciato in campo bucato. L'incontro è stato ripreso utilizzando un quarto pallone, mentre per regolamento più di tre palloni non possono essere utilizzati.

Spettatori: totali 55.396, di cui 34.096 paganti, per un incasso di lire 156.858.000, e 21.300 abbonati, per una quota partita di 113 milioni. 40 mila circa quelli che hanno assistito alla gara.


Il biglietto (ridotto) in "Curva Nord"
Il biglietto (intero) in "Curva Nord"
Wilson cerca di calmare i tifosi
La cronaca della gara
I capitani e l'arbitro prima dell'inizio della gara
Maurizio Montesi e Amenta espulsi
La rete di Zucchini
(Gent. conc. Sig. Lorenzo D'Amario)
Pruzzo in azione
(Gent. conc. Sig. Lorenzo D'Amario)
La rete di Vincenzo Zucchini per il vantaggio biancoceleste
Il pareggio di Pruzzo
Le squadre a centrocampo
Alcuni tifosi parlano a Wilson
Wilson verso la Curva Nord
L'espulsione di Montesi e Amenta
Da Il Messaggero, la traiettoria del razzo
Le Forze dell'Ordine in un fotogramma
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Viola in azione
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Quella che doveva essere una giornata di festa per le squadre romane, che celebravano l'ennesimo derby della capitale, si è trasformata in un'assurda tragedia senza precedenti. Mancavano una manciata di minuti alle 14 quando un razzo partito dalla curva sud centrava il volto di un ignaro tifoso laziale Vincenzo Paparelli, meccanico di 33 anni, seduto nella curva opposta, conficcandosi nell'occhio sinistro. Scene di panico fra i tifosi limitrofi che scappano inorriditi, mentre altri, cercavano di richiamare i soccorsi con ampi gesti. Un ragazzo cerca di intervenire cercando di togliere il petardo dall'occhio di Paparelli ma ci riesce solo a metà e dal foro sul viso e da dietro la testa esce del fumo. Arrivano i medici ed una barella che lo porta nell'antistadio della Curva Nord dove c'è un'ambulanza che di corsa, a sirene spiegate, cerca di raggiungere l'Ospedale Santo Spirito dove però il povero Paparelli giungerà cadavere.

La notizia fa il giro dello stadio in un attimo, mentre alle 14,15 viene data in diretta durante il prologo della trasmissione televisiva 90° Minuto mandando in agitazione non poche famiglie che avevano congiunti all'Olimpico. Immediata la reazione della tifoseria biancazzurra che tentava in tutti i modi di bloccare la gara, mentre gran parte del pubblico lasciava gli spalti in preda ad una comprensibile paura. Negli spogliatoi si decideva di giocare per motivi di ordine pubblico, ma la gara poteva iniziare solo dopo che alcuni giocatori si erano recati sotto la curva nord per parlamentare con i tifosi inferociti.

A questo punto, la cronaca della gara passa in sott'ordine, in quanto le due squadre profondamente provate dai fatti menzionati decidevano tacitamente di non farsi del male per non aggravare la situazione già incandescente che la vittoria di una o dell'altra avrebbe potuto far esplodere in maniera ancora più drammatica. La rete di Zucchini al 6' e il pareggio di Pruzzo 10 minuti più tardi sono solo un'appendice ad una giornata tragica per lo sport italiano. Le forze dell'ordine sono alla ricerca degli autori del folle gesto, grazie anche alle segnalazioni dei tifosi giallorossi vicini al gruppo che viene ritenuto responsabile del gesto. Doveva essere una giornata di sport ed invece una vedova piange il giovane marito disteso nell'obitorio dell'ospedale.


► Il Corriere dello Sport titola in prima pagina: “Assassinio all’Olimpico". "Ucciso un tifoso laziale da un razzo metallico sparato da un teppista della curva opposta”. Poi la cronaca di una partita surreale, dal titolo “Sotto il peso dell’angoscia”.

È il derby più infame che ci sia mai stato nella nostra storia calcistica. Accanto al dolore di moglie e di figli, c’è la nostra vergogna. Non si è giocato al grido di “Serie B!”, come sempre succede. Si è giocato sotto il peso di una invettiva feroce che lacerava non solo la scena, le atmosfere, ma anche le coscienze di tutti: “Assassini!”. La gente, quella di parte laziale, pretendeva che la gara non si giocasse. Ha accolto la sua squadra con un invito accorato e prepotente: “Fuori, fuori!”. Fuori dal campo, dall’Olimpico, fuori da questo pomeriggio atroce. La partita si è giocata: via via è diventata un fatto ambiguo, meschino, insopportabile. Era stato ucciso uno spettatore.

Lo striscione. È stato uno striscione provocatorio, dettato da una malintesa rivalità sportiva, ad accendere ire furibonde, a far scattare i folli meccanismi della violenza. Lo striscione era laziale e insultava Francesco Rocca: “Rocca bavoso, i morti non resuscitano”. Rocca era in campo, un’ora prima della partita, con alcuni compagni di squadra, stava provando le condizioni del terreno di gioco. Vedeva, leggeva, e si sentiva l'animo invaso da sentimenti di rabbia e di pietà. La rabbia per la dignità offesa prevaleva sulla pietà umana. Reagiva in modo quasi isterico, piangeva. Già a questo punto, era tutto guastato, corrotto. Già il derby era una cosa volgare.

Lo sparo. Il terreno di conquista dei tifosi laziali è la curva Nord. Quello di servitù romanista è la curva Sud. Nella curva Sud si accendeva un bagliore violento e breve. La fiammata di uno sparo. Il rimbombo non sembrava, subito, uno di quei fragori che ormai ci accolgono e ci accompagnano in uno stadio. Una scia sinistra percorreva tutto l’Olimpico. E dall'altra parte una scena concitata volgeva subito nel drammatico, nel tragico. Fughe, assembramenti, ritorni, soccorsi, invocazioni, grida. Uno spettatore era stato colpito in pieno volto. La notizia era immediata, gelida, mozzafiato: era morto. Sarebbe morto più tardi, in ospedale. Era stato ucciso.

Violenza. Il meccanismo della violenza scattava un’altra volta. La curva Nord, quella laziale, era devastata in pochi minuti. Tutto sfasciato, con furori disperati. Vetri, transenne, argini, fino in campo. La forza pubblica riusciva ad impedire che attraverso il terreno di gioco la folla si proiettasse dall'altra parte.

Scenario. Mezz’ora prima della partita, lo scenario era di una desolazione agghiacciante. La curva Nord quasi vuota. Erano scappati. Un’altra notizia sconvolgente: stavano aggirando, dall’esterno, la curva Sud. Non era, fortunatamente, vero. Verso la zona alta degli spalti, e in prossimità degli ingressi, folti e minacciosi gruppi di tifosi. Rottami intorno. Qualche striscione superstite. Il campo zeppo di forze di Polizia, i cani eccitatissimi.

Le squadre. Entravano in campo le squadre. La curva Nord sembrava ripopolarsi. Si riversavano tutti ai bordi del terreno di gioco. Si rivolgevano alla Lazio, sembrava volessero cercarli uno per uno: “Fuori, fuori!”. La Lazio non doveva giocare. E si sovrapponeva un coro ancor più violento, “assassini!”. Tutta la Curva Sud assisteva, incredula, sbigottita, silenziosa. Pino Wilson, il capitano, andava verso i tifosi. Parlamentava, discuteva. Non sembrava che riuscisse a convincerli. L'arbitro D’Elia aspettava quasi al centro del campo: un petardo gli scoppiava vicino.

Rubati. Cominciava la partita, che storia assurda, in quelle condizioni. Il gioco era fervido quasi per una voluttà, per una tensione che doveva scaricarsi, per un'ansia di riscatto. Ma poteva mai esserci, attraverso un fatto agonistico, il riscatto di un’azione omicida? E poi, si precipitava in momenti grotteschi, con riferimento al gioco, alla gara, sia beninteso. Mentre la Lazio affollava, attaccando, l’area romanista, quella laziale era invasa da poliziotti che rinculavano; sotto le minacce del pubblico. Cacciatori usciva di porta per invitarli a sgombrare. Era agghiacciante: “assassini!”. Era commovente: “Fuori, fuori!”.

La curva Nord aveva concordato il suo piano: boicottaggio della partita. Il primo pallone finiva sulle gradinate, dietro la porta di Cacciatori, al 7’. I tifosi se ne impossessavano per non restituirlo. Il secondo, arrivava in zona ai 30’. Un raccattapalle che cercava di recuperarlo era accolto a sassate. Entrava in campo uno spettatore e ghermiva anche il secondo pallone. Un terzo era invece raccolto da Cacciatori che doveva però proteggersi dal fitto lancio di oggetti.

La storia continuava e al 60’, terzo pallone catturato, era Bruno Giordano che andava come ambasciatore di una pace impossibile. Gli ripetevano “fuori”, riaccendevano l’invettiva “assassini”. Giordano riusciva ad ottenere ii pallone. Poco dopo (67’), ennesimo episodio predatorio e nuovo intervento di Giordano, visto il successo precedente. Gli davano subito il pallone, ma bucato.

L’arbitro D’Elia se ne impossessava, si dirigeva verso la panchina romanista. Nasceva un equivoco: sembrava che D’Elia dichiarasse sospesa la partita. Accorrevano tutti i laziali, erano momenti confusissimi, invece D’Elia faceva riprendere, con il quarto pallone nuovo. Ma quando, qualche minuto più tardi, fermava Giordano che si era liberato in area, fischiando un inesistente gioco pericoloso, si capiva che la sua principale preoccupazione era ormai quella di condurre la gara in quella situazione di parità ormai affermatasi. Del resto, era tutto scaduto a cose stanche, forzose.

Avvilente. Abbiamo assistito a queste vicende, abbiamo vissuto un pomeriggio pieno di ribellioni emotive: a tanti fatti assurdi, a tante vergogne. Adesso vi raccontiamo la gara. È un’altra delle cose forzose. Scusateci, se di questo derby non ci importa proprio niente.

La Lazio. La Lazio ha avuto tante più occasioni della Roma. Avrebbe potuto vincere largamente. Giordano ha avuto un momento strepitoso, dieci minuti, dal 20’ al 30'. Quattro occasioni da gol, in due è stato sfortunato, nelle altre è stato bravissimo Tancredi. E Tancredi è stato bravo anche nel finale, su Garlaschelli. Tancredi, un autentico protagonista.

La Roma ha giocato in modo squinternato. Liedholm ha detto che è stata la sua peggiore partita di quest'anno. Verissimo. Sono riemersi tutti i difetti di fondo. Difesa labile, Santarini e Turone con il loro marchingegno tattico sono riusciti a controllare Giordano solo quando il centravanti, all’inizio, è rimasto stordito da una botta alla testa e andava per ii campo come un vagabondo senza cognizione della sua realtà. Quando si è infortunato Turone ed è entrato De Nadai, e Peccenini è passato al centro assicurando un più assiduo controllo, le cose sono molto migliorate. Centrocampo (giallorosso) in grave difficoltà perché Tassotti ha quasi annullato Ancelotti, e Viola ha troppo spesso anticipato il furente Benetti che lo ha martirizzato di falli, e Bruno Conti ha concluso poco. Il solo Amenta ha vinto spesso con Zucchini.

Il rovescio. Rovesciate le parti a ne esce una Lazio padrona del centrocampo, con un Viola efficacissimo, di una umiltà esemplare, con un Nicoli che nessuno si aspettava così energico al suo rientro dopo molti mesi. Con un Montesi sempre presente e lo stesso Zucchini che, in difficoltà con Amenta, non è stato comunque decisamente battuto. Davvero, sembra che Zucchini stia per ritrovarsi. Giordano ha furoreggiato finché la partita è stata viva. Nel secondo tempo, infatti, la consapevolezza di una realtà assurda, ha spento il gioco. Anche la Roma poteva giovarsi della buona disposizione del suo cannoniere, Pruzzo, che ha vinto spesso contro un Manfredonia costretto a fatiche immani.

Episodi infelici. Il gioco fortunatamente, almeno il gioco, non è stato violento. Ci sono stati pochi momenti infelici. Nel finale del primo tempo sono venuti quasi alle mani Giordano e Pruzzo (impegnato in fase difensiva) e Montesi stava per complicare le cose con il suo minaccioso intervento. All’83’ Amenta ha commesso un fallo su Montesi e lo ha rialzato da terra bruscamente. Montesi gli ha rinfacciato le brutte maniere. Gli ha dato uno schiaffo, Amenta ha reagito, espulsi entrambi.

Gol e altre vicende. La Lazio è subito passata in vantaggio con Zucchini, ma statisticamente si tratta di un autogol di Rocca. Da Nicoli (5’) a Garlaschelli, cross, testa di Zucchini. Tancredi ha detto che senza la deviazione (braccio) di Rocca avrebbe parato. Non è sembrato. La Roma ha pareggiato al 16’. Fallo di Zucchini su Amenta. Punizione battuta dallo stesso Amenta. Pruzzo ha anticipato Manfredonia e di testa ha battuto Cacciatori. Pruzzo sarebbe riuscito spesso a prevalere su Manfredonia.

La Lazio ha cominciato ad affermare una superiorità costante. Rocca non si è mai mosso dalla sua zona: neppure un inserimento. Era il più frastornato. Una prova di un grigiore intenso, ma aveva la disperazione dentro. Giordano dal 20’ e al 30’. Cross di Citterio, testa di Giordano, sembrava gol, Tancredi ha respinto in modo prodigioso. Giordano che dopo essersi liberato di tre avversari ha mandato appena fuori. Giordano che invitato da Viola ha superato Turone e tirato in modo magistrale: ancora una brillante respinta di Tancredi. Giordano lanciato da Citterio: bel tiro appena fuori. Poi Garlaschelli in ultimo (66’), ancora su prezioso lancio di Viola. Poderosa conclusione al volo e ultima prodezza di Tancredi. Intermezzo di Pruzzo che al 52’ ha battuto di testa su invito di Ancelotti. Cacciatori ha recuperato appena in tempo.

Basta, basta, per carità. Vogliamo dimenticarla subito, questa partita.


Il Messaggero titola: “Orrore sul derby”. Prosegue il quotidiano romano: “I gravissimi incidenti verificatisi prima della partita avrebbero dovuto farla rinviare: le squadre hanno risentito della tragedia, giocando come in trance. Roma-Lazio è finita in pareggio, con un gol per parte, dopo il vantaggio iniziale biancoazzurro e la rimonta romanista. La gara che non si doveva giocare ha visto per prima in gol la Lazio, grazie a una deviazione di Rocca su tiro di Zucchini. La Roma ha recuperato con Pruzzo, sempre nel primo tempo. Due espulsioni (Montesi e Amenta) e un brutto fallo di Manfredonia su Turone, che si è infortunato: lo ha sostituito De Nadai”.

Il derby omicida non doveva essere giocato, per ricordare a tutti dove stiamo andando a finire. Tornando a casa senza la partita, le persone ragionevoli, che costituiscono una maggioranza impotente, avrebbero avuto il tempo per meditare e gli ottusi teppisti, nella loro rabbia, avrebbero capito che un uomo era morto, ucciso da un altro uomo, da uno di loro, per rabbia. Invece s'è giocato perché niente, se non il nostro particolare, riesce a scuoterci in questa tremenda società senza amore. Viviamo nell'odio, che esplode ad ogni pretesto, e tanto più grande è l'occasione tanto più grande diventa.

Un derby calcistico è un fatto sportivo per la maggioranza impotente. Per chi odia, è il pretesto. Chi va allo stadio armato e poi colpisce compie un delitto preterintenzionale. Bande indisturbate di delinquenti sicuri di farla franca aspettano la domenica per provocare e distruggere, confusi nella folla. Costoro nemmeno guardano il gioco, non gl'interessa e non lo capirebbero. Vanno per colpire vestendosi e armandosi da pseudo-guerriglieri. Indossano i caschi e si imbavagliano, nascondono mazze e coltelli. Adesso, da ieri, uccidono, perché l'odio non ha limiti né tregue. L'urlo feroce, ripetuto, rivolto ai giocatori feriti “devi morire”. Il nome di Curi scandito, recentemente, a un giocatore del Perugia che s'era fatto male. Ieri, un’infame scritta indirizzata a Rocca: “I cadaveri non resuscitano”. Ciò che una volta era, almeno, il rispetto dei sentimenti, o l’onore delle armi, ora è il motivo dell'accanimento. Perché? Era quanto i sessantamila spettatori, rimandati a casa, avrebbero dovuto chiedersi. Facciamolo tutti prima che sia troppo tardi.

La tragedia ha condizionato almeno i giocatori di Roma e Lazio che si sono mossi come in trance, spaventati dal mostruoso deviamento dello spettacolo da loro promosso. La benefica valvola di sfogo delle interpretazioni psico-sociologiche è diventata l'arma nascosta della delinquenza che agisce dovunque, negli stadi, nelle fabbriche, nelle strade e ha una sola matrice, il malessere sociale. Annientate da un fatto troppo più grande di loro, e assolutamente estranee all'idea non diciamo sportiva, sarebbe blasfemo, ma del tifo, le due squadre non hanno avuto la forza di rimuovere la loro natura, che è modesta. Liedholm, per quanto si dovesse fronteggiare Giordano, ha ribadito la difesa a zona, con Rocca stavolta a destra e Peccenini a sinistra. Lovati non aveva D’Amico, che può essere tutto oppure niente, ritrovava Nicoli e stabiliva attenti controlli alla persona: Zucchini contro Amenta, Montesi-Di Bartolomei, Nicoli-Benctti (poi Viola), Manfredonia-Pruzzo, Tassotti-Ancelotti, Citterio-Bruno Conti. Le mosse prudenti accentuavano la lentezza congenita di taluni e quella indotta di altri: e nei passi trattenuti si raffigurava la differenza tra le romane e le loro avversarie che si allontanano in classifica correndo.

La Lazio partiva bene con Garlaschelli lanciato verso Tancredi bravo a deviarne il tiro. Due minuti dopo sempre Garlaschelli, smarcato da Nicoli, centrava alto da destra, sorvolando la difesa in linea. Rocca non saltava e Zucchini alle sue spalle invece si, schiacciandogli il pallone addosso: dall'impercettibile deviazione il gol, che ci sarebbe stato comunque, e imparabile. Ma era come se nulla fosse accaduto, sembrava una recita scontata. La Roma cercava blandamente il recupero senza particolari opposizioni. Amenta, messo a terra da Zucchini, batteva una punizione a spiovere: Manfredonia, come Rocca, mancava il salto e Pruzzo dietro di lui faceva un campanile. Colpo di testa, gol.

Sul pareggio riprendevano le agitazioni dei teppisti (non importa di quale parte: il tifo li rifiuta) che lanciavano pezzi di cemento distrutto e rubavano i palloni quando finivano nella loro zona. Intanto Giordano, dopo un avvio cauto, in posizione arretrata, quasi a studiare i varchi nella difesa in linea, si avvicinava alla porta con frequenza ossessiva, sbalordendo una volta di più per la sua capacità di dribblare a testa alla. In dieci minuti, con un intervallo pericoloso (Pruzzo era sgusciato un’altra volta a Manfredonia) Giordano si procurava tre occasioni da gol.

La prima gliela negava Tancredi con un fantastico volo (colpo di testa da due metri su lunghissimo centro di Citterio). La seconda era uno slalom tra i pali giallorossi. La terza una conclusione ravvicinata, appena fuori. Si giocava in punta di piedi sino a quando Manfredonia puntando Turone non accendeva una vera mischia. Pruzzo menava una sberla a Montesi mentre Turone, sempre a terra, chiamava De Nadai che lo avrebbe sostituito prima del secondo tempo.

Si riprendeva con Ancelotti sempre più arduo per Tassotti che l'ha inseguito per l'intera partita, talvolta sgambettandolo come in questa occasione. La punizione era dal limite, ma è stata battuta cinque metri fuori da Di Bartolomei, scagliandola contro la barriera (5’). Sempre Ancelotti scappava sulla propria sinistra resistendo sin dentro l’area all’ultimo inseguitore, Zucchini. Passaggio a mezz'altezza per Pruzzo, che l’incornava mirando però sul portiere. Poi spariva anche il terzo pallone “punzonato” dall'arbitro e Giordano affrontava i teppisti spiegandogli che la partita sarebbe stata sospesa. Il pallone tornava in campo ma alla quarta volta veniva bucato (un coltello? Un punteruolo?) e solo per il buonsenso dell’arbitro l’incontro proseguiva con un pallone non vidimato e in teoria non regolamentare. Gravava sul campo, di nuovo, una brutta sensazione, che Montesi e Amenta, espulsi per aver mimato una baruffa, pagavano per tutti.


Il Tempo titola: “Una maledetta domenica. Ventata di follia all’Olimpico: non è Derby, è guerra”. Aggiunge il quotidiano romano: “La tragedia ha svuotato di ogni contenuto tecnico e agonistico una partita presto fissata nel risultato (autogol di Rocca, replica di Pruzzo) e viziata da qualche tono aspro nel finale (espulsi Amenta e Montesi). – Scomparso il terzo pallone, requisito dai tifosi laziali, l’arbitro D’Elia è stato sul punto di sospendere l’incontro”.

Di derby si muore. Doveva essere una festa in famiglia, senza i toni drammatici imposti dalle mete troppo ambiziose. È finita in tragedia, questa maledetta domenica: restano angoscia, sbigottimento, incredulità. Ti chiedi a che cosa possa portare una parentesi distensiva avvelenata in partenza da uno striscione {quello “dedicato” a Francesco Rocca) idiota prima che oltraggioso, trasformata in evento luttuoso da una ventata di follia criminale, chiusa dai caroselli della polizia a sirene spiegate nelle strade del centro.

Guerra, non più derby. Siamo al teppismo gratuito, che relega ai margini ogni tentativo di discorso sociologico. Menti illustri si scateneranno nelle ricerche del fenomeno, nei tentativi di interpretare qualcosa che la ragione respinge. Ma intanto, dico, rimaniamo terra terra: cominciamo a riportare il tifo ai suoi aspetti ruspanti, allo sfottò, magari, lasciamo che sugli spalti sventolino bandiere per una nota di colore, ma cancelliamo tutto quello che sa di provocazione, di esasperazione. Via gli striscioni che insultano, quelle denominazioni dei clubs che parlano di guerriglia, al diavolo le tigri, le pantere, i commandos, tutte le puttanate che innescano la miccia della violenza.

Altri vi parleranno dei nerissimi contorni di questo derby romano, un avvenimento che a lungo aveva saputo mantenersi povero e onesto, senza drammi. A me tocca l’ingrato compito, mentre ben altre riflessioni si affollano nella mente, di raccontare quanto è avvenuto in campo, di riferire di una partita che la tragedia ha svuotato in partenza di ogni significato tecnico e agonistico. Perché anche questo è successo: che il regolamento, legato logicamente al “tabù Totocalcio” abbia obbligato l'arbitro a far giocare, come se nulla fosse accaduto; e che altri, in grado di intervenire, forse solo troppo tardi abbiano interpretato in pieno la portata del dramma.

Si è capito presto che anche i giocatori avevano la testa altrove, oppressi dal peso di qualcosa di assolutamente spropositato. In più, l'inizio ritardato dalla disperazione dei tifosi laziali (il morto era fra loro, fino a poco prima), le continue interruzioni per i palloni sequestrati e non restituiti, le corse di Wilson prima e di Giordano poi verso la curva Nord: a dover spiegare che si doveva comunque giocare, perché le regole del calcio non ammettono l'abbandono in segno di lutto. Se la partita non fosse cominciata, la Lazio avrebbe perso per 2-0 e sarebbe stata anche penalizzata di un punto in classifica. Continui sussulti, sempre il timore dì ulteriori gesti sciagurati, con i raccattapalle della curva Nord impossibilitati a fare il loro lavoro per l'assiduo lancio di oggetti di ogni tipo, con il povero Cacciatori impegnato a sgomberare il campo dai corpi di reato piovuti a getto continuo sul prato.

In questo clima ha preso l’avvio e si è dipanata una stracittadina stanca e stracciata, vissuta su episodi occasionali, interpretata da attori alla vana ricerca di un minimo di accettabile concentrazione. In queste condizioni, sarebbe sciocco e inutile dilungarsi nei giudizi settimanalmente destinati ai protagonisti; basteranno poche righe per i più bravi. Che non soro i più cinici, come si potrebbe credere: trattandosi di giocatori che un ruolo di primo piano lo stanno recitando stabilmente dall'inizio del campionato (Giordano, Viola, Bruno Conti), o che sono animati da motivazioni del tutto particolari (il romanista Tancredi).

Il pareggio conclusivo si è concretato molto presto, appena in sedici minuti: dall’autogol di Rocca al pareggio di Pruzzo, due reti che pesano non poco sulle spalle delle opposte difese. Molte altre occasioni ci sono state, soprattutto da parte laziale. Ma non bastano a offrire una valutazione realistica di una partita falsata, ripeto, dal clima tutto particolare che l’ha condizionata.

Ha giocato con maggior ordine la Lazio, è apparsa troppo distratta in fase difensiva la Roma, che con la “zona” ha lasciato a Giordano un numero incredibile di palle-gol Che il difetto fosse nella disposizione tattica prima che negli uomini, lo si è visto chiaramente quando, uscito Turone colpito duro da Manfredonia, su Giordano è andato Peccenini, con Amenta retrocesso sulla fascia sinistra a guardare Garlaschelli. Per propiziarsi altri palloni da gol, Giordano ha dovuto esprimersi a livello di prodezza, non più inchinarsi ad accettare comodi regali. È da rivedere, questa difesa giallorossa, anche perché un Rocca tenuto bloccato indietro (come ieri) non serve a molto: e perché non sempre il portiere sarà in grado di far miracoli.

Bisogna anche dire che la Roma ha stentato in centrocampo, condizionando così fatalmente il reparto arretrato: non si è riscattato Benetti, incerto e appannato, poco di più hanno fatto Di Bartolomei e Ancelotti (a parte un paio di spunti in apertura di ripresa). È rimasto il solo Bruno Conti a mettere nei guai i laziali: ma per lui, Lovati aveva preparato un accorto raddoppio di marcatura, con Citterio puntualmente soccorso o da Montesi, o da Zucchini, o dal solito impagabile Viola, assiduo e lucidissimo in regia.

La Lazio è andata in vantaggio al 5’, dopo che Tancredi aveva sviato in angolo un destro di Garlaschelli. Il rientrante Nicoli, accorto nell’amministrare energie ma già garante di ordine e senso tattico, ha lanciato a destra Garlaschelli, esaltato dalla “zona”: sul lungo cross, si è elevato il progredito Zucchini a schiacciare di testa e il pallone, appena deviato da Rocca, si è infilato tradendo Tancredi, che forse avrebbe potuto tentare l'uscita.

Il gol è stato accolto senza particolari esplosioni di gioia: come se la partita fosse una formalità sgradita da sbrigare al più presto, non una vicenda agonistica destinata a regalare palpiti intensi. Occasionale nelle premesse, ma quasi atteso come elemento indispensabile di riequilibrio di un'atmosfera pesante, è arrivato al 16' il gol di Pruzzo, scattato con miglior scelta di tempo rispetto a Manfredonia a girare di testa in gol una lunga punizione battuta da sinistra da Amenta. Quest’ultimo, in buona evidenza al centro, sarebbe poi stato espulso a sette minuti dalla fine per uno scambio di gesti minacciosi, più che di colpi proibiti, insieme con Montesi. Forse D’Elia, che ha diretto in modo esemplare, ha scelto un metro di valutazione particolarmente severo per evitare che si accentuassero gli spigoli già proposti da qualche scontro ai limiti della legge.

Il risultato non è più cambiato. Giordano ha avuto nel primo tempo quattro palloni da gol, quasi tutti su azioni ispirate da Viola ma propiziati dal felice movimento del centravanti nei comodi spazi offerti da una “zona” incomprensibilmente generosa: due volte ha tirato fuori, due volte e stato bravissimo Tancredi a opporsi, in particolare sul colpo di testa a botta sicura, al 21’, su cross di Citterio.

In un secondo tempo stanco e scorbutico, la Roma ha avuto una palla-gol con Pruzzo: che ha girato poco convinto verso la rete vuota un pallone rimesso da Ancelotti. C’era il dubbio, forte, che la palla fosse già uscita: e questa deve essere stata anche l'interpretazione di Pruzzo, che ha consentito a Cacciatori di recuperare. Nel finale, per altro, la Roma si è salvata grazie a Tancredi: splendido nel deviare oltre la traversa un gran sinistro di Garlaschelli (41’), coraggioso e bravo nel precedere in uscita (44’) la stessa ala laziale. Fin qui la parentesi agonistica, perfino oltraggiosa in una giornata del genere. Fuori, poi, è ricominciata la guerra.


La Stampa titola: "Il derby dell'Olimpico si è spento nel dramma". Scrive il quotidiano torinese: "Roma e Lazio hanno pareggiato (1-1) una gara che non aveva più senso né poteva entusiasmare. I tifosi biancoazzurri hanno invitato le squadre a non giocare: Wilson li ha convinti del contrario. - Pochissime emozioni dopo l'autogol di Rocca e la rete di Pruzzo. - Espulsi Montesi ed Amenta - Alla fine il pubblico è sfollato silensiosamente".

La curva nord dove si fermano i tifosi della Lazio è quasi vuota. Il drammatico episodio con la morte di uno spettatore ha choccato tutti. I più sono tornati a casa. Quando le squadre entrano in campo un «commando» di alcune decine di giovanotti chiede a gran voce ai laziali di non giocare. Sullo sfondo si ode il coro "Assassini! Assassini!". La polizia è schierata con cani e lacrimogeni innestati nei fucili. Wilson va a parlare con i tifosi, cercando di convincerli che la gara deve essere disputata.

E si gioca. Ma è un calcio senza slancio. Mancano gli ingredienti soliti nei "derby". Quasi non c'è la volontà di lottare. Sul prato dell'Olimpico si stende la tristezza della terribile notizia di pochi minuti prima. I tifosi sembrano ammutoliti. Non c'è il clamore che di solito accompagna le azioni di gioco.

La Lazio pare più agile, la Roma più quadrata. Nell'impostazione tattica della gara si nota che Liedholm insiste nella marcatura "a zona", e nei larghi spazi spuntano Giordano in grande evidenza, e Garlaschelli, a cui Peccenini concede troppa libertà. Ma nonostante le impressioni la Lazio non domina il gioco. Regna un certo equilibrio. Manca la spinta dei momenti felici. La manovra è monotona e senza sbocchi. Nella tattica della Roma si nota la ricerca di Pruzzo, a cui Manfredonia non dà tregua. Gli scontri fra i due sono frequenti, anche se inizialmente corretti.

La difesa laziale regge l'urto con sicurezza. E' buono Tassotti, anche se un po' avventato, mentre Citterio non può sganciarsi: è costretto infatti a controllare Bruno Conti che è sempre in movimento. Il centrocampo degli azzurri domina sul ritmo. C'è differenza di passo: Montesi corre. Nicoli corregge la posizione arretrando in molte circostanze. Viola è dinamico. Zucchini rimane a protezione di un reparto, quello difensivo, che forse non ne avrebbe bisogno.

Di contro sta una Roma in notevole difficoltà. Incassa un gol strano, perché la deviazione di Rocca su colpo di testa di Zucchini è netta, e reagisce con caparbietà. Viene il pareggio in pochi minuti ed è merito di Pruzzo, che sfrutta abilmente una punizione calciata da Amenta. Raggiunto l'1 a 1 il gioco lentamente si spegne. Con il passare dei minuti le due squadre dimostrano di accettare il nullo come risultato valido per entrambe. Si sviluppano tentativi di attacchi, ma non più attacchi veri.

Si intravede verso la mezz'ora qualche spunto di Giordano, a cui la coppia Santarini-Turone non riesce a fare argine. Giordano parte bene, ha dribblings intelligenti, poi sfrutta male le conclusioni. Una volta trova Tancredi pronto a deviare un tiro di testa, in altre circostanze fallisce banalmente il bersaglio. E' comunque un centroavanti di grosse capacità, sgusciante, rapido, intraprendente. E sorretto da centrocampisti che lo invitano.

La difesa della Roma regge bene al contrasto, anche se Rocca appare in evidente difficoltà. Rocca è un terzino di forza, un incontrista di notevole valore, ma più che altro è un difensore capace di portare avanti alcuni palloni preziosi con "i cross a rientrare". Ma Rocca non è ancora il bel terzino che avevamo ammirato in nazionale anni addietro. Clinicamente è guarito, atleticamente è a posto, ma non ha più il dinamismo e gli slanci di un tempo. Rocca non ha compiti speciali di marcatura, ma raramente avanza, forse per timore di non poter rientrare in tempo utile.

E' una Roma diversa da quella vista all'inizio di stagione. La Lazio potrebbe vincere nella ripresa, quando Pruzzo cala di tono e quando Ancelotti sbaglia più del lecito, ma non è giornata di grandi risultati.

Il pubblico di parte laziale non accetta la partita. Rifiuta di restituire i palloni che arrivano nel settore riservato ai tifosi biancoazzurri. Se qualche ragazzino tenta di avvicinarsi, rischia botte e qualche lattina in testa. Si perde molto tempo. Forse oltre sei minuti. L'arbitro non ricupera.

D'Elia non vuole guai. Conferma di accettare il pari che accontenta le due parti. Ferma Giordano per un fallo inesistente quando il centravanti laziale sta per calciare a rete a colpo sicuro, e poco dopo grazia i difensori laziali per un atterramento di Ancelotti, fuori area di rigore. D'Elia diventa sereno prima della fine espellendo Montesi e Amenta per un banale scontro a due.

Parlare di tecnica non ha senso. Questo derby Roma-Lazio non ha sussulti, soltanto un gol, accettato quasi senza entusiasmo dagli stessi tifosi. Era importante chiudere la gara senza aggiungere guai al lutto che ha reso drammatico e triste un normale avvenimento sportivo.

La folla che se ne va in silenzio. E' la prova che nessuno pensa alla classifica, ma tutti rimpiangono quel povero padre di famiglia, morto a trentatrè anni, colpevole soltanto di aver voluto trascorrere un pomeriggio allo stadio.


Paese Sera titola: “E’ finita prima di cominciare”. “Una terribile tragedia si è abbattuta su un inutile derby Roma-Lazio. Dolore, rabbia e disgusto avrebbero dovuto consigliare la sospensione dell’incontro. I gol di Rocca (autorete) e di Pruzzo”.

Dolore, rabbia, disgusto, vergogna, ma quale derby. Bisognava avere il coraggio di dare un calcio a tutto e a tutti per chiudersi in casa. In un sacrificale omaggio al mostro dei tifosi brucia la vita un giovane di 33 anni, assassinato a fianco della moglie, e si va avanti come niente fosse successo.

Adesso, stiamone certi, ci capiterà anche di leggere che lo sport e un'altra cosa e che i nobili ideali dello sport sono i soli reali argini alla violenza quale che sia la sua matrice. Per carità non è proprio il caso di alzare un muro di luoghi comuni o formulette magiche. Lo sport sarà senz'altro quello che ha ispirato il signor De Coubertin o quello che pure anima milioni di cittadini del mondo, ma tutto ciò con la nostra tragica storia non c’entra assolutamente niente.

Qui c’è un morto, qui c'è il dolore, la rabbia, il disgusto e la vergogna che ti impediscono di accettare e poi anche raccontare una partita di calcio i cui risvolti assurdamente feroci sono all’origine di un delittuoso episodio.

Il derby, ma non solo il derby, si carica di veleni e quando i veleni dilagano e provocano la vittima è semplicemente vergognoso che l’avventura calcistica prosegua come se nulla fosse accaduto. Il rispetto nei confronti di un morto colpevole solo di aver preso posto sulla gradinata di uno stadio avrebbe dovuto costringere i responsabili a chiudere ancora prima di cominciare questa allucinante sfida calcistica.

In gioco, lo sappiamo, sono mille interessi, non ultimo quello sacro, addirittura, della schedina totocalcistica, ma se non altro i motivi di ordine pubblico avrebbero dovuto suggerire lo stop. Si è giocato in clima violento di guerra fra le fazioni e un nonnulla avrebbe potuto allargare spaventosamente i confini della tragedia. L'appuntamento domenicale con il calcio nasce come un momento di festa di allegria, di serena fuga dalle angosce quotidiane e invece, passo dopo passo, eccoci all'incredibile, terribile caccia al nemico che è l'arbitro e, se non è l’arbitro, è il tifoso piazzato dall'altra parte della barricala. E se c’è chi non fa niente o troppo poco per impedire che in gradinata arrivino anche armi non davvero improprie, è ora finalmente di trovare almeno chi si assuma la responsabilità di impedire che due squadre siano costrette a marciare sopra un cadavere ancora caldo.

La legislazione calcistica non prevede antefatti così luttuosi e non suggerisce conseguenti atteggiamenti comportamentali. Né l'arbitro, né i dirigenti delle due squadre o i giocatori avevano in mano gli strumenti necessari per rinviare la partita, ma in certi casi il buon senso deve assolutamente spingere le autorità di pubblica sicurezza ad impedire lo svolgimento, anche, se necessario, attraverso l’impiego dei mille uomini.

Zucchini segna in apertura complice una involontaria deviazione di Francesco Rocca. Pruzzo pareggia con la complice esitazione di Manfredonia e Cacciatori, Giordano, superati dieci minuti di profonda incertezza, semina i difensori romanisti e sfiora tre volte il raddoppio laziale. Poi finisce con l’1-1 che soddisfa tutti e specialmente la Roma. Ma cosa volete che contino cose di questo genere mentre la folla piange uno dei suoi fucilato a tradimento. Alla folla, quale che sia la sponda d'appartenenza, interessa e preoccupa l'idea di arrivare allo stadio come in prima linea, e interessa, o deve interessare, tutto quanto da ora in poi si metterà in moto per picchiare un colpo decisivo alla violenza e al teppismo.

E qui ci pare che cada quando mai a proposito il discorso sulla "funzione" e sulle responsabilità di questi assurdi circoli dei tifosi che prosperano ai margini delle società calcistiche. Per un club che si muove nel senso giusto ce ne sono almeno dieci che il loro momento associativo (ammesso che di questi si tratti) lo trasformano in una canea esplosiva.

«Tigre», «Ultras», «Feddayn», «Guerrilleros», qualche tempo addietro sul cemento dell'Olimpico faceva lugubre sfoggio persino un teschio coperto con il basco dei terribili paràs francesi operanti in Algeria. E dietro questi striscioni non c’è mai una iniziativa che concili il tifo con l'educazione allo sport, il tifo con la pratica sportiva, il tifo con lo sviluppo sociale e culturale degli associati. Piuttosto dietro si nascondono, e nemmeno troppo bene, giochi di potere all’interno delle società, stimoli, magari inconsci, al teppismo.

Ieri, fra gli altri motivi di profondo avvilimento, c'è stata anche la visione di alcuni cartelli nati appunto dalla somma di idee che circolano all'interno di certi club. Dall'una e dall'altra parte.

Nella curva nord, quella tradizionalmente occupata dai laziali (quella colpita a morte dal lanciarazzi militare esploso dall’altra parte), ha fatto la sua comparsa un cartello che può essere solo parto di cervelli maturi per il manicomio criminale. “Rocca bavoso, i morti non resuscitano”. Una vergogna per chiunque abiti, o sia costretto a farlo, il pianeta calcio.

A questo punto mi pare che tutti gli “addetti ai lavori”, coloro che da amatori, da professionisti, o da critici, operano in questo mondo del calcio, abbiano l’obbligo di mettersi davanti allo specchio. La manfrina prima durante e dopo, le reazioni scomposte, le gherminelle, le polemiche astiose non possono avere più spazio ed è assolutamente obbligatorio in questo quadro che anche la critica eviti i cedere alla suggestione della geopolitica e a quella di “qualche copia in più”.

Anche perché non è vero che il tifoso si senta appagato e soddisfatto dal titolo di un giornale che parla della squadra rapinata dall'arbitro ed è vero, invece, che tutto ciò rappresenta l’alibi sul quale l'ultras costruisce l'operazione di teppismo.

La partita, giocata in una atmosfera incandescente, ha offerto vicino alla fine anche un altro episodio su cui discutere. La curva nord, laziale, dopo aver invocato lungamente i giocatori biancazzurri, di abbandonare il campo, rinunciando al match, ha sfogato la sua rabbia con la cattura dei palloni che spiovevano da quelle parti. Fatti sparire i primi due nel primo tempo, i tifosi hanno completato la loro opera bucando il terzo.

Una prima volta è stato Giordano a parlamentare con i tifosi per la restituzione ma, quando Zucchini a metà della ripresa ha concluso ancora verso la curva nord, gli sforzi di Giordano, ancora ambasciatore, sono risultati vani. Il pallone è tornato, ma rotto. L'atteggiamento dell'arbitro signor D'Elia a questo punto ha provocato equivoci e false interpretazioni. D’Elia ha fatto cenno di no al quarto pallone uscito da sotto la panchina romanista e quando poi si è ripreso il gioco, appunto con il quarto pallone, in molti hanno creduto la partita conclusa ufficialmente e proseguita “pro forma”. Tre soli palloni utilizzabili, poi lo stop.

È la line del mondo, visto che nessun regolamento nazionale e internazionale contempla un’ipotesi del genere. Ve lo figurate i tifosi di una squadra che perde? Catturano o bucano i tre palloni e si ricomincia (un'altra volta) da capo.

Alla fine, comunque l’arbitro ha chiarito: tutto regolare. La partita? I lettori perdonino.

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Vincenzo Paparelli