Vivolo Pasquale

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Pasquale Vivolo

Attaccante, nato a Brusciano (NA) il 6 gennaio 1928, deceduto a Cremona il 18 novembre 2002.

Trasferitosi all'età di tre anni con la famiglia a Cremona, inizia a giocare nell'oratorio della parrocchia del quartiere di San Bernardo, dove viene notato dall'osservatore Renzo Pasini della squadra dilettantistica cittadina Victor, allora antagonista della Cremonese, e viene subito ingaggiato. Finita la guerra la Victor viene inglobata nella Cremonese e ammessa a disputare il campionato di serie B. Il suo primo maestro nelle giovanili della Cremonese fu Renato Bodini. In seguito i suoi allenatori furono Defendi, Villini ed Ercole Bodini con cui Vivolo esordisce nel campionato 1947/48, disputando sei incontri, ma mettendosi in particolare luce nell'anno seguente, quando segna dieci reti in trentaquattro gare. Si ha subito la percezione delle sue qualità e la Juventus, su suggerimento dell'osservatore Virginio Rosetta, non se lo lascia sfuggire. In maglia bianconera disputa quattro campionati di serie A, dalla stagione 1949/50 a quella 1952/53, collezionando sessantasette presenze e trentuno reti. Il 26 ottobre 1952 segna il goal del pareggio al suo esordio in Nazionale nella partita contro la Svezia giocata a Stoccolma.

Nella Juventus Pasquale vince due scudetti e due Coppe Italia e appare sorprendente, quindi, il suo passaggio alla Lazio nell'estate del 1953. Ciò tuttavia è spiegabile agevolmente con una serie di ragioni, che trapelano sulla stampa nei giorni successivi alla cessione, alcune delle quali confermate dall'Avvocato Gianni Agnelli in persona: innanzitutto la necessità per la Juve di rompere il dualismo fra Vivolo e Boniperti, amici fuori dal campo ma troppo simili nello stile di gioco dentro il rettangolo verde; in seconda battuta, la partenza dell'attaccante esplicita il desiderio della Juventus di riorganizzare la squadra e dare respiro alle proprie casse sociali, asfittiche come quelle della maggior parte delle grandi squadre dell'epoca. Per privarsi della sua punta la società torinese pretenderà così la bellezza di settanta milioni di lire che Costantino Tessarolo, Presidente della Lazio, pagherà nonostante un deficit societario di almeno duecentotrenta milioni.

La scelta di Tessarolo risulterà alla fine vincente perché Pasquale Vivolo sarà uno dei protagonisti di quella squadra che in cinque campionati, dal 1953/54 al 1957/58, arriverà due volte terza in classifica dietro le potenze del nord. Vivolo diviene una pedina fondamentale per tutti gli allenatori che sedettero sulla panchina biancoceleste da Mario Sperone a Federico Allasio, a Copernico, a Ferrero, a Raynor, a Carver, da Milovan Ciric a Dino Canestri e Alfredo Monza. Vivolo nella Lazio aveva modificato la sua posizione in campo retrocedendo da prima punta a centravanti di manovra con il compito di innescare i forti attaccanti di reparto come Lorenzo Bettini, Arne Selmosson, John Hansen, pur senza rinunciare alla soluzione personale. In 121 partite realizzò infatti 33 reti quasi tutte di ottima fattura. Alla fine del campionato 1957/58 il prof. Leonardo Siliato, presidente della società, fu costretto a puntare sui giovani per motivi economici e il giocatore, a soli ventinove anni, fu inizialmente escluso dai ranghi della Prima Squadra, e poi, a nonembre 1958, trasferito al Brescia in serie B. Nella squadra lombarda Vivolo giocò una sola gara e a fine stagione abbandonò il calcio. Tornato a Cremona si rivelerà un ottimo imprenditore in campo industriale. Pasquale Vivolo si è spento improvvisamente il 18 novembre 2002 nella sua città d'adozione. Al suo nome sono stati intitolati diversi tornei giovanili di calcio.

Vivolo, soprannominato "Bibi", è stato un calciatore completo: velocissimo nello spunto iniziale, ambidestro, con uno spiccato senso del goal e del gioco, molto adattabile dal punto di vista tattico, forte anche di testa, compatto fisicamente (m 1,78 per kg 74), dai movimenti eleganti ma essenziali, ottimo rigorista con 15 reti su 16 tiri dal dischetto nella Cremonese, ha avuto forse l'unico limite in un carattere distaccato e non estremamente combattivo, derivante da una concezione del calcio piuttosto estetizzante. A tale proposito è eloquente un episodio accaduto durante un infuocato Napoli-Lazio dell'8 dicembre 1955, finito 1 a 1, quando il sanguigno conte Mario Vaselli, danaroso dirigente laziale, colpì con uno schiaffo il giocatore reo di scarso coinvolgimento rispetto al contesto acceso della partita.



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