Vigo di Fassa
La moderna storiografia, cui un contributo fondamentale è stato offerto dal padre francescano di Vigo, Frumenzio Ghetta, sancisce anche attraverso i ritrovamenti archeologici alcune ipotesi circa la storiografia della Val di Fassa. Tracce di presenze mesolitiche (ca. 8000-5000 a.C.), quando cacciatori provenienti dall'area padana cominciarono a percorrere i valichi alpini e le alte praterie ben oltre i duemila metri nei pressi del passo Sella, e coppelle su un masso in cima al Pian Doleda (Alba), a 1800 metri, testimoniano di come il territorio attinente la parte alta della valle dell'Avisio abbia avuto la "visita" di questi antenati. Più tardi, a partire dal Neolitico (4000 a.C.) le vallate alpine conobbero la presenza di gruppi umani che accanto all'allevamento e all'agricoltura svilupparono una cultura di tipo stanziale. Nell'area dolomitica la formazione di comunità stabilmente insediate sul territorio è attestata a partire dall'Età del Bronzo (1800-900 a.C.).
Insediamenti e testimonianze della presenza di questo popolo di oscura origine sono abbondanti in Val di Fassa. Il "castelliere retico" del Col di Pigui, presso Mazzin a quota 1550 m. s.l.m., è un chiaro esempio di insediamento fortificato della civiltà retica. Si tratta di un piccolo villaggio circondato da un massiccio vallo di difesa all'interno del quale si trovano le abitazioni costruite in tronchi di legno e sono venuti alla luce ceramiche, monili, macine e punte di giavellotto che evidenziano un insediamento stabile durante l'Età del Ferro. Al Plan del Crepèl, invece, nei pressi di Campitello, sempre a 1500 metri di altitudine, gli scavi hanno restituito ceramiche della tarda Età del Ferro. E’ probabile che la Magnifica Comunità di Fassa abbia le sue radici più profonde proprio nelle forme organizzative delle popolazioni indigene insediate fin dall'antichità sul territorio. Queste comunità, dopo la romanizzazione, giunsero ad un definitivo assetto delle proprie istituzioni in epoca longobarda caratterizzandosi come autonome comunità di "liberi uomini". La diffusione del cristianesimo fu consolidata attraverso la fondazione delle "pievi" che, dall'epoca carolinga, rappresentarono i veri centri dell'organizzazione ecclesiastica e civile.
La parrocchia di Fassa, costituitasi intorno alla chiesa piovana di San Giovanni, dipendeva dai Vescovi di Sabina-Bresanone; quando questi, per volere degli Ottoni (sec. XI) assunsero le prerogative del potere politico, la valle si trovò inserita nel territorio del Principato Vescovile di Bressanone insieme con le altre vallate ladine. E' attestata invece fin dal sec. XII l'appartenenza di Moena alla Diocesi e al Principato di Trento, di cui condivise la storia in seno alla Magnifica Comunità di Fiemme pur senza perdere le proprie caratteristiche ladine. Le comunità di pastori-contadini insediati in queste valli si fondavano sulla proprietà collettiva di vasta parte del territorio, specie per i boschi ed i pascoli d'alta montagna. Questi costituivano "I Ben Comun", patrimonio indivisibile, amministrato autonomamente secondo consuetudini di antica origine organizzate in "regole e vicinie". La Comunità di Fassa dovette molto lottare per conservare le sue prerogative di autonomia e libertà contro le ingerenze del Principe Vescovo di Bressanone. Durante l'epoca moderna, Fassa condivise il destino storico delle altre vallate ladine del Sella, nell'ambito politico-amministrativo del Land Tirol e dell'Impero asburgico.
Le guerre napoleoniche che videro i fassani battersi valorosamente accanto alle milizie popolari tirolesi, ebbero conseguenze rilevantissime per le sorti delle istituzioni comunitarie e per i rapporti con le popolazioni ladine. Soppresse gran parte delle prerogative delle comunità locali, soppressi i Principati vescovili, la Val di Fassa tra il 1817 ed il '18 venne definitivamente staccata dalla diocesi di Bressanone e dal Distretto di Bolzano ed aggregata alla diocesi di Trento e al Distretto di Cavalese.