Uno sparo nel buio
Autore: Vincenzo Cerracchio
Titolo: Uno sparo nel buio
Anno: 2017
Casa editrice: Fazi
Collana: Darkside
Pagine: 375
Costo: € 15,00
Recensione: LazioWiki
Di Honoré Daumier, illustre pittore e litografo e uno dei massimi esponenti del Realismo, si usa affermare che le sue stampe sono in bianco e nero in quanto i colori del soggetto vengono, tramite un processo psicopercettivo, assegnati dagli stessi fruitori dell’opera tanto è mirabile la tecnica chiaroscurale bicroma dell’artista francese. Vincenzo Cerracchio, con altro mezzo espressivo, la scrittura, non è da meno in questo stupefacente romanzo da poco uscito.
In una Roma postbellica aulica e miserabile allo stesso tempo, siamo negli anni Venti del secolo scorso, un efferato crimine che vede come vittima una donna, Bice Simonetti, e come accusato il suo raffinato e vizioso marito, Ignacio Mesones, figlio cieco di un console peruviano, scatena un interesse generale dai caratteri morbosi e incontenibili. Il filo conduttore di questo romanzo noir di Cerracchio, che si basa su fatti realmente accaduti, è costituito dalla ricostruzione fattuale e filologica degli eventi, attuata tramite il reperimento, lo studio e la riproposizione degli originali atti investigativi e processuali che hanno accompagnato la misteriosa vicenda. Ma come nei famosi delitti che hanno contraddistinto la cronaca giudiziaria del XX secolo, basti pensare ai casi Murri, Fort, Martirano, Montesi, pirandellianamente ciò che appare dirimente ad una lettura, diviene dubbio se appena si cambi minimamente la focale. In questo bradisismo interpretativo di fatti e circostanze sono coinvolti tutti i protagonisti della vicenda e i tanti personaggi di contorno che a vario titolo entrano in gioco. Non potendo la sola razionalità essere in grado di svelare la certezza delle responsabilità, sono i sentimenti e le passioni, consiglieri inaffidabili, che faranno propendere verso la colpevolezza o l’innocenza del Mesones.
Eminenti giuristi, maestri del giornalismo, luminari della psichiatria, intrallazzatori, testi mendaci, mitomani, donne affascinanti, massoni, delatori, prostitute, diventano i protagonisti di un processo che progressivamente assume i connotati di metafora di una società in rapida e incontrollata evoluzione. E sono queste eterogenee figure altrimenti prive di luce, talune realmente esistite ed altre di fantasia, che la prosa di Cerracchio colora vividamente, come Daumier appunto, dando loro vita e carattere.
La varietà antropica di tipi e caratteri vive, nell’accurata scrittura dell’autore, in parallelo con il tessuto urbano di Roma, palcoscenico esemplare della turpe storia. E forse è proprio questo l’aspetto più coinvolgente di questa magistrale legal history. Cerracchio riesce a far procedere la narrazione nei suoi vari registri linguistici in consonanza con le azioni degli uomini e con il contesto in cui essi operano: l’affettata castigatezza di una ipocrita borghesia ha come sfondo la Roma abitata dai nuovi ricchi e corrotti speculatori edilizi che non perdono alcuna seduta del processo soprattutto nei suoi momenti più scandalosi, le certezze illusorie degli eredi di un’avita e antica ricchezza si specchiano in palazzi carichi di storia e di privilegi, i miserabili emergono dai loro tuguri e dalle loro viuzze maleodoranti con la forza barbarica degli esclusi. Ognuno con le proprie ferree convinzioni colpevoliste o innocentiste, in una Roma che nell’apparente statica immutabilità è in realtà un crogiuolo di fermenti.
L’illusione di essere la capitale di uno stato vittorioso ben presto svanita nella constatazione della “vittoria mutilata”, i tentativi di ribellione della classe operaia in nome dell’ideologia rivoluzionaria della sinistra, l’opposizione armata e arrogante del primo fascismo che approfitta della debolezza politica della monarchia, la potente presenza di una Chiesa in cerca di nuovo consenso, fanno da sfondo ad una storia intensamente drammatica e paradigmatica della temperie di quei tempi e da cui, come nel processo, non scaturirà una risposta univoca e dove può valere tutto e il contrario di tutto.
La città che dipinge Cerracchio è fosca, saturnina, solfurea così come quel delitto e quel processo, quegli uomini e quella storia. Una Roma un po’ felliniana che sembra non avere speranza finché alla fine del film, come una luce nel buio, non appare il volto incorrotto, dolce, innocente di Valeria Ciangottini. E nel romanzo di Cerracchio il ruolo catartico viene assunto da un giovane giornalista, Diego, che non ha preconcetti ed è puro di mente e da Caterina, medico psichiatra protofemminista, anch’essa scevra da ipocriti condizionamenti morali e sociali. E Roma d’incanto, solo al loro apparire, diviene tiepida, assolata, luminosa, splendida. E sono loro ad intuire la verità dei fatti, a combattere stereotipi, a provare umana pietà.
Impossibile in una recensione narrare la trama del romanzo di Vincenzo Cerracchio. Troppi intrecci, tutti necessari come pure i tanti personaggi. Eppure man mano che si procede nella lettura tutto trova collocazione e motivazione. Non si illuda il lettore di trovare “l’assassino” alla fine del libro. Trova un “condannato”, ma l’eco del dubbio sovrasta tutto. Ignacio può essere il crudele uxoricida, ma la sua condanna è più una punizione per la sua vita lasciva e peccaminosa che la giusta pena che il consesso civile affibbia ad un omicida. La vera colpevole è senza alcun dubbio, sembra suggerirci l’autore, una società pavida, egoista e ipocrita che ha in sé i germi letali che porteranno l’Italia, meno di venti anni dopo i fatti descritti, ad un conflitto distruttivo.
Cerracchio scrive maledettamente bene. Dalla sua lunga attività di giornalista trae la forza della sintesi e della chiarezza espressiva; dai suoi studi giuridici e dall’esser stato inviato di cronaca nera ricava la coerenza delle serrate fasi dibattimentali narrate nel romanzo, dalla sua attività di caporedattore sportivo de “Il Messaggero” trova il modo, nelle pieghe dello sviluppo del racconto, di inserire un aspetto importante della Roma di inizi secolo: lo sport, che sta diventando fenomeno popolare e praticato dalla gioventù con spirito dilettantistico. Non esita lo scrittore a dedicare qualche pagina alla sua Società Podistica Lazio, pioniera dello sport a Roma, e che tra i suoi nove fondatori ha Alberto Mesones, fratello del disgraziato Ignacio.
Un noir inconsueto, teso, privo di fasi morte, spietato, in cui il climax è assente perché la vicenda mantiene costantemente alta la tensione e l’interesse del lettore. Da leggere.