Saraceni (I) Fernando
Attaccante, difensore, allenatore. Nato a Roma il 20 gennaio 1891 e ivi morto il 23 agosto 1956. Detto "Cecè".
Tra i giocatori più significativi nella storia della Lazio Calcio, si cimenta in giovane età anche nel podismo e nel nuoto. In quest'ultima disciplina sportiva, è infatti tra gli iscritti all'eliminatoria romana della Coppa Scarioni dell'agosto 1925. Fernando Saraceni vede la luce in Via del Mascherino n. 89 al piano terra, figlio di Andrea, di mestiere carrozziere, e di Enrica Ascenzi. Alto m 1,64 per un peso di 68 kg. Comincia a giocare nel 1907 ad appena sedici anni e l'anno successivo partecipa alle tre partite disputate e vinte in un solo giorno a Pisa nelle finali del Campionato interregionale. E' il cucciolo della squadra, ma già in possesso di un tiro micidiale e di una grande velocità. Ottimo atleta anche nel salto in lungo con un un record di m 5,00 senza l'uso della pedana. In un periodo in cui la vigoria fisica e la forza muscolare sono le doti più ricercate in un calciatore, Cecè sa coniugare la vigoria con una tecnica sopraffina davvero inconsueta per il foot-ball d'allora. Tra l'anno d'esordio e la prima guerra mondiale vince tutto a Roma e nell'Italia centro meridionale: due volte finalista nazionale nel 1913 e 1914, vincitore più volte dei trofei Tosti e Baccelli, vincitore del trofeo Branca e di tantissimi tornei minori. L'attaccante Saraceni è l'implacabile giustiziere di tutte le più blasonate e ambiziose formazioni romane. "Cecè" resta sempre affezionatissimo alla Lazio, dando sempre l'esempio sia dentro che fuori dal campo. Nei cuori dei sostenitori laziali prende presto il posto, senza farlo rimpiangere, del grande bomber Sante Ancherani, ritiratosi presto dall'attività agonistica in favore della musica.
Nel 1915 Saraceni parte per il fronte come soldato semplice del 13° artiglieria di campagna, ma quando la guerra finisce eccolo di nuovo a guidare la squadra biancoceleste sui campi di gioco, sempre con lo stesso spirito e la sua innata classe. Progressivamente arretra il suo raggio di azione e intorno al 1921 Fernando diviene terzino. In questo ruolo conferma la sua abilità, non disdegnando rapide puntate in avanti che lo portano a segnare goal importantissimi. Prima di appendere gli scarpini al chiodo, Saraceni fa due ulteriori regali alla Lazio, convincendo prima il fratello minore Luigi a vestire la casacca biancoceleste e poi imponendo la sua ferrea volontà nel far ingaggiare dalla Società il grande portiere Ezio Sclavi. Saraceni lascia lo sport attivo nel 1924 qualche mese dopo aver giocato da titolare anche la terza finale nazionale contro il Genoa, dopo 124 partite ufficiali e 36 reti in biancoceleste. La coppia di terzini con Dosio era soprannominata da stampa e tifosi "il processo dei veleni", a testimoniare la morbosa attenzione dei due difensori nei confronti degli avanti avversari. "Cecè" diviene subito dirigente della Lazio - ruolo che ricoprirà sino alla morte - e il 18 settembre 1940 viene eletto anche componente del Collegio dei Sindaci. Fernando tuttavia aveva collaborato con i quadri biancocelesti già nel 1914, assumendo il ruolo di vicepresidente della sezione Nuoto. Dalla IV alla XIV giornata del campionato 1928/29, dopo aver svolto l'incarico di vice allenatore nella stagione 1922/23, assume anche la guida tecnica della prima squadra.
Laureatosi in Ingegneria, "Cecè" coniuga la passione per lo sport con il lavoro impiegatizio ed è a lungo uno dei vice-direttori della Società Immobiliare. Nell'agosto 1956 gli viene diagnosticato un male incurabile che gli provoca fortissimi dolori. Ricoverato presso la Clinica Morgagni, accecato dal dolore, nel pomeriggio del 23 agosto Saraceni si toglie tragicamente la vita lanciandosi dalla finestra della sua stanza.
Da La Stampa nel giorno successivo al suicidio:
"Ossessionato da un gravissimo male che non gli dava speranze di guarigione, l'ing. Fernando Saraceni, che era uno dei vice-direttori della società Immobiliare e membro del consiglio di amministrazione della società stessa, si è ucciso nel primo pomeriggio di oggi gettandosi dalla finestra della stanza che occupava al quarto piano della clinica Morgagni. L'ingegner Saraceni era stato ricoverato in clinica qualche tempo fa e tali erano i dolori atroci che la malattia gli provocava che spesso aveva manifestato idee suicide per porre fine alle sue sofferenze. Proprio per questo egli era continuamente sorvegliato da qualcuno dei familiari e dagli infermieri. Oggi, il poveretto ha approfittato di un momento che era stato lasciato solo, è sceso dal letto, si è trascinato fino alla finestra, si è arrampicato sul davanzale con l'aiuto di una seggiola e si è lasciato cadere nel vuoto. Nonostante il volo di una trentina di metri egli non è deceduto sul colpo. Soccorso da alcuni passanti e da infermieri accorsi all'allarme lanciato dal portiere della clinica che aveva visto precipitare l'uomo come un bolide, l'ingegner Saraceni è stato sottoposto a cure immediate. Ma tanto gravi erano le sue ferite che dopo meno di mezz'ora egli cessava di vivere."
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