Monicelli Mario
Regista. Nato a Viareggio il 15 maggio 1915. Morto a Roma il 29 novembre 2010.
"Gli italiani non sono né eroi, né missionari. Sono generosi e non si perdono mai d'animo". Mario Monicelli sapeva cosa diceva quando si fermava a fare questa acuta analisi di costume. Regista ruvido, materiale, a suo modo virile del cinema italiano, che ha dimostrato, nel corso della sua carriera, un talento straordinario. Sotto le sue mani sono passati gli attori più belli e capaci del mondo, interpreti che ha saputo incastonare nella commedia all'italiana fatta di farsa, ironia, tristezza, cinismo. Il tutto come un intenso e disincantato osservatore della realtà italiana, che ha descritto con fine intelligenza in oltre sessant'anni di lavoro come sceneggiatore e regista, firmando molti dei capolavori del nostro cinema. E quando si dice il suo nome, almeno a casa nostra, si dice Cinema.
Gli studi e i primi lavori Figlio di Tomaso Monicelli, giornalista e drammaturgo, cresce a Viareggio, frequentando il liceo e l'università a Milano. Lì, sviluppa la sua passione per il cinema, condivisa insieme ai cugini Mondadori, con i quali inizia a scrivere sulla rivista "Camminare", che ha fra i suoi collaboratori anche altri futuri registi: Alberto Lattuada, Riccardo Freda e Renato Castellani. Nel 1934, con Alberto Mondadori, realizza un cortometraggio muto in 16 mm, Il cuore rivelatore, tratto dal racconto di Poe. L'anno successivo i due affrontano il lungometraggio, girando I ragazzi della via Paal, utilizzando come attori amici e parenti e vincendo a Venezia il premio per il miglior film a passo ridotto. Fa quindi da aiuto regista per Gustav Machaty, Genina, Camerini, Gentilomo, Bonnard, Mattoli, Germi e insieme a Steno dà vita a un felice sodalizio che li vede prima collaboratori al giornale satirico "Marc'Aurelio" e poi prolifici sceneggiatori.
L'esordio alla regia con Steno Proprio con Steno fa il suo vero esordio alla regia nel 1949 con Totò cerca casa e dopo otto film in coppia (fra cui Al diavolo la celebrità, Totò e i re di Roma e Guardie e ladri), prosegue da solo a partire da Proibito 1954 con Lea Massari. Comincia a delinearsi un autore "nazional-popolare", ma irrispettoso di ogni retorica, pessimista, feroce, demistificatore di sacralità e continuamente alla ricerca delle umane debolezze dei suoi personaggi, mettendone in evidenza anche i connotati cialtroneschi e il loro lato ridicolo.
Il successo de I soliti ignoti L'opera più riuscita e più godibile è senza dubbio I soliti ignoti 1958, che ha avuto oltretutto il merito di recuperare al cinema un attore allora mal sfruttato come Vittorio Gassman. Fra trovate irresistibili che descrivono un sottobosco criminale dei più sgangherati, Monicelli (grazie anche ai suoi più grandi collaboratori Suso Cecchi D'Amico, Age e Scarpelli) testimonia ancora una vola questa sua innata capacità di fondere insieme attenzione ai personaggi e alle storie raccontate, valutazione critica e notazione ironica, che si fa più sapiente col passare degli anni. Allo stesso modo film come La grande guerra 1959, con Vittorio Gassman e Alberto Sordi in versione soldati lavativi e sfaticati, e I compagni 1963, ingiustamente poco considerato, ma senza dubbio uno dei più intensi film da lui diretti - tanto che ebbe perfino una nomination agli Oscar per soggetto e sceneggiatura -, trasportano sullo schermo pagine di storia e fatti di costume riuscendo spesso a porre l'accento sui problemi con intensità maggiore dispetto a giornali o liberi. Sono poi gli anni della sua opera preferita L'armata Brancaleone 1966, che rivisita in chiave grottesca il Medioevo, senza dimenticare La ragazza con la pistola 1968, Amici miei 1975, Un borghese piccolo piccolo 1977, Speriamo che sia femmina 1986.
I riconoscimenti Tra i riconoscimenti alla sua produzione vanno ricordate le quattro nomination all'Oscar come film straniero per I soliti ignoti, La grande guerra, La ragazza con la pistola e I nuovi mostri 1977 e per le due per soggetto e sceneggiatura originali per I compagni e Casanova 70 1965. Svariati i David di Donatello. Miglior regia per Un borghese piccolo piccolo, Speriamo che sia femmina e per Il male oscuro 1990, Nastri d'Argento e due Leoni d'Oro, uno per miglior film con La grande guerra e l'altro alla carriera nel 1991. Anche regista teatrale, commediografo e regista televisivo, si è prestato, occasionalmente come attore in L'allegro marciapiede dei delitti 1979 e in Sono fotogenico 1980. Nel 1990, periodo di crisi del cinema italiano, riesce a rimanere a galla dirigendo Alessandro Haber, Cinzia Leone, Marina Confalone e Paolo Panelli nella commedia anti-familiare Parenti Serpenti 1992, poi passa a Villaggio, Troisi, Melato e Placido in Cari fottutissimi amici 1994, Facciamo Paradiso 1995 e Panni Sporchi 1999 e nel nuovo millennio si presenta al pubblico e alla critica, parlando della bestia nera che più di ogni altro l'ha ossessionato nella sua vita: la guerra. Il film Le rose del deserto 2006 che ancora una volta mette in luce una visione antieroica dell'esercito italiano.
Il suicidio in ospedale Sessant'anni di carriera, passati a osservare la realtà della società italiana con un occhio attento e disincantato, lasciando in tutti i film (riusciti o meno), l'impronta di uno stile personale e brillante. A torto ritenuto per diversi periodi un autore di puro consumo, ha saputo dimostrare di essere un punto fermo nella storia del cinema italiano, tanto che Leonardo Pieraccioni, suo grande ammiratore, ha voluto rendergli omaggio come padre riconosciuto della commedia italiana e toscano DOC, affidandogli il ruolo della voce fuoricampo del nonno del protagonista nel suo film più fortunato: Il ciclone. E forse è proprio questo ciò che Monicelli rappresenta per noi. Il nonno del cinema di casa nostra. Il grande regista muore suicida la notte del 29 novembre 2010, lanciandosi dal quinto piano dell'ospedale San Giovanni di Roma dove era ricoverato per un tumore alla prostata in fase terminale.
(Questa biografia è tratta da MYmovies.it - La foto è di LazioWiki)