Martedì 6 gennaio 1998 - Roma, stadio Olimpico - Lazio-Roma 4-1
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6 gennaio 1998 - 2.766 - Coppa Italia 1997/98 - Quarti di finale, gara d'andata
LAZIO: Marchegiani (46' Ballotta), Pancaro, Nesta, Negro, Favalli (78' Grandoni), Fuser, Almeyda (55' Venturin), Jugovic, Nedved, Boksic, R.Mancini. A disposizione: Marcolin, Rambaudi. Allenatore: Eriksson.
ROMA: Konsel, Cafu, Petruzzi, Aldair, Candela, Tommasi, Di Biagio, Di Francesco, Paulo Sergio (46' Gautieri, 82' Vagner), Balbo, Totti. A disposizione: Chimenti, Dal Moro, Scapolo, Delvecchio. Allenatore: Zeman.
Arbitro: Sig. Rodomonti (Teramo).
Marcatori: 2' Boksic, 32' Jugovic (rig), 39' Balbo (rig), 75' R.Mancini, 80' Fuser.
Note: giornata soleggiata, terreno in perfette condizioni. Espulso all'80' Balbo per gioco violento. Ammoniti Pancaro, Nedved, Grandoni, Di Francesco, Petruzzi per gioco scorretto, Cafu per comportamento non regolamentare. Calci d'angolo: 3-10. Recuperi: 3' p.t., 5' s.t.
Spettatori: 49.260 per un incasso di Lire 1.312.870.000.
Dal Corriere della Sera:
Ancora un Derby traumatico per accertare la crisi dei romanisti, mortificati nel punteggio di 4-1 e peggio di due mesi fa, quando vennero travolti in superiorità numerica. Ancora tutto facile per il contropiede sublimato dall'accoppiata Mancini-Boksic. I danni risultano già irreparabili al punto da rendere pressoché superfluo il ritorno dei quarti di Coppa Italia del 21 gennaio, quasi non bastassero gli altri significati d'una batosta così fragorosa. La sindrome laziale colpisce Zeman dopo appena due minuti: il dogma zonarolo prevedrebbe subito l'aggressione sfrontata d'ogni spazio, ma Candela azzarda l'avanzata a slalom come se Mancini fosse un fantasma; come se quel marpione di Poggi non l'avesse castigato proprio domenica scorsa. Stesso alleggerimento bloccato in pressing e stavolta "Mancio" delega Boksic ad aprire l'Epifania biancoceleste. La Roma spreca energie per supportare un velleitario football d'aggiramenti improbabili.
Sette conclusioni e nessuna vera palla gol fino all'intervallo; un senso d'impotenza e di rarefazione degli schemi prediletti, mentre Boksic vola. L'imbarazzante predominio spedisce lo smarcato Mancini a sfiorare di testa il raddoppio. I giallorossi premono sbilanciati e la Lazio riparte nei varchi spalancati dagli spropositi dinamici. Follie d'arrembaggio per innescare contraccolpi devastanti tramite Almeyda, Fuser, Jugovic. L'attenta lettura della sfida e delle sue necessità premia Sven Goran Eriksson, redento dal football italianista. Ineluttabile agganciare il rigore-raddoppio di Jugovic, appesi sempre all'aquilone Boksic (suggeritore sempre Mancini) che Aldair fiancheggia invano e l'uscente Konsel butta giù. No, non è finita, o almeno sembra, grazie a una picchiata finalmente redditizia di Cafu, disarcionato da Nedved. Significa prendere nota di Balbo, che Nesta spenna puntualmente nelle situazioni attive. Tuttavia il penalty del momentaneo 2-1 non illude i tifosi giallorossi, non serve a sradicare ispirazioni, non migliora la scadente qualità degli assaltatori.
Sostituito Marchegiani causa contrattura al polpaccio, il vice Ballotta presenzia sfaccendato a un trionfo. Che esalta il potere di sintesi dell'artista Mancini, pallonetto irridente a scavalcare il desolato Konsel. Che assimila pure le virtù balistiche di Fuser, punizione-bomba e poker in cassaforte. Poi l'espulsione di Balbo esasperato dall'eversore Nesta e i sette punti di sutura all'arcata sopracciliare di Paulo Sergio per il conto totale. Ormai diluvia sul progetto zemaniano, mentre la Lazio ipoteca il passaggio del turno.
La Gazzetta dello Sport titola: "Boksic liquida Zeman. Il croato, migliore in campo, mette nei guai il tecnico suo vecchio nemico. Un 4-1 pesantissimo: Lazio virtualmente semifinalista. Roma umiliata oltre il dovuto e pure sfortunata (palo di Totti). Ma ha vinto la flessibile saggezza di Eriksson contro il masochismo di Zeman".
Continua la "rosea": La Befana è della Lazio. Alla Roma carbone in quantità industriale. Anche oltre il dovuto. 4-1 pesantissimo, che chiude anticipatamente la pratica qualificazione alle semifinali di Coppa Italia. Il 21 gennaio, tra l'altro, mancheranno Balbo, Cafu e Di Francesco, tutti squalificati. Eriksson butta più in là l'ingombrante Zaccheroni, su Zeman si addensano nuvolacce nere. Peccato, perché prima di tutto, complici forse le poche ore di riposo che hanno finito con l'allungare subito le squadre, è stato un derby bello e spettacolare. Anche divertente, come capita spesso quando di mezzo c'è l'allenatore boemo. Che tuttavia è noto talvolta per prodigarsi nel divertire soprattutto gli avversari. E' quanto in buona misura è avvenuto ieri, anche se va detto che la Roma avrebbe decisamente meritato il 4-2 conclusivo quando a tempo scaduto il colpo di testa di Totti si è stampato sul palo. La flessibile saggezza di Eriksson, che liberatosi di Signori sembra davvero risorto a nuova vita, contro la indeflettibile coerenza, spinta al masochismo puro, di Zeman.
Ovvero, tanto per cominciare, l'accorto 4-4-2 della Lazio dettato anche dall'indisponibilità di Casiraghi contro l'immodificabile 4-3-3 di Zeman che ripropone la stessa squadra sconfitta dall'Udinese. Per entrambi, ma soprattutto per il secondo, il vantaggio d'un derby già giocato (in campionato) e nel suo caso perso in 11 contro 10 (l'espulsione - lampo di Favalli) per 3-1. Un match, quello, che aveva mostrato chiaramente come la Lazio fosse individualmente superiore alla Roma. Aggiungete a queste premesse il fatto che la Lazio è passata subito in vantaggio. In questo caso, sia ben chiaro, Zeman c'entra nulla. Candela s'è fatto soffiar palla da Mancini proprio come 48 ore prima gli era capitato con Helveg, Almeyda ha fatto il Poggi e Boksic, migliore in campo in assoluto, ha fatto il Bierhoff. Cominciare sotto di un gol non fa mai piacere, ma la Roma avrebbe dovuto a quel punto ricordare d'essere in trasferta e di avere ancora molta strada davanti. I giallorossi sono invece partiti pancia a terra alla ricerca d'un immediato pareggio, via rischiosissima per una squadra che ultimamente aveva già palesato i tradizionali limiti fisici dell'inverno zemaniano. Risultato: vero che la Roma ha disputato un bellissimo primo tempo raccogliendo poco, cioè un paio di buone opportunità prima del rigore dell'1-2 trasformato da Balbo, dopo ingenuo atterramento provocato da Nedved su Cafu.
Ma vero soprattutto che la Lazio ha disposto di autentiche praterie nelle quali colpire con puntuali contropiede, presentandosi tre volte a tu per tu se non addirittura oltre Konsel. Mancini, peraltro ispiratissimo, ha incredibilmente sbagliato di testa e di piede, mentre Boksic ha guadagnato il rigore del 2-0 trasformato da Jugovic. Nella ripresa la fatica è esplosa. Eriksson, che aveva dovuto sostituire l'acciaccato Marchegiani con Ballotta e aveva la panchina corta, ha presto provveduto a sostituire l'opaco Almeyda con Venturin, rinforzando nel finale gli ormeggi anche con Grandoni. Zeman, che aveva la panchina lunga, si è limitato a inserire Gautieri al posto di Paulo Sergio solo perché questi s'era rotto fortuitamente la testa. Gautieri, per inciso, ha fatto pena, tanto da suggerire a Zeman di spedirlo in anticipo negli spogliatoi. Ma ciò non giustifica i soli 8' concessi a Vagner e l'abbandono in panchina di gente come Delvecchio e Scapolo quando in campo Balbo e compagni rantolavano.
La Lazio non ha più rischiato nulla (se non il palo di Totti a tempo scaduto) e si è ulteriormente accomodata: così Mancini (ancora contropiede, ispiratore Jugovic) ha finalmente calibrato il pallonetto giusto e Fuser colto il varco nella barriera disposta maluccio da Konsel. Il 4-1 ha fatto perdere la testa ai giallorossi. Con il cartellino rosso ha pagato per tutti Balbo, forse il meno colpevole. Ma questo è stato l'unico errore di Rodomonti.
In un altro articolo è riportato:
Una partita così Alen Boksic se l'era proprio sognata. Protagonista della vittoria piu' clamorosa della Lazio nella storia del derby romano. E per di piu' con Zeman avversario, per la prima volta. Nel veleno fra questo croato dal carattere un po' umorale ed il boemo tutto - d'un - pezzo c'e' un po' la chiave del rendimento dell'attaccante. Oggi, grazie alla sensibilita' di Eriksson, Alen ha trovato un'eccellente forma fisica unita ad una grande tranquillita'. Ieri ha realizzato la sua quarta rete consecutiva in altrettante gare, cosa che non gli era mai riuscita prima in Italia. E non e' un caso che cio' avvenga all'indomani della partenza di Signori. Non c'entra nulla la favola dei cattivi rapporti fra i due. Anzi Alen e' stato uno di quelli che e' rimasto piu' vicino a Beppe nei momenti difficili prima del divorzio. Oggi pero' il croato sta trovando spazio e attenzioni prima riservate al capitano. Un flash di ieri: la curva che inneggia a Boksic, sulla musichetta dei Flintstones, e lui che saluta a braccia alzate mentre la palla e' in gioco. Non vuole proprio perdersi nulla di questi momenti magici. Di Zeman soffriva i metodi d'allenamento, ma soprattutto la filosofia del calcio. Ci rimaneva male alle sferzate del tecnico quando diceva che i campioni sono quelli che vincono qualcosa. E allora si rinchiudeva nella sua camera con biliardo, rimirando quella foto con tanto di coppa Campioni sollevata nel '93 col Marsiglia. Così come quando fini' addirittura in tribuna, a Udine nel '95, per aver litigato con l'allenatore che aveva censurato una sua azione personale a Lione, conclusa con un assist per il gol di Winter. Alen con questa prestazione ha consumato la sua vendetta. Ora deve dimostrare che non era blasfemo paragonarlo a Van Basten. E siccome non incontrera' la Roma ogni partita, dovra' inventarsi altri Zeman.
Da la Repubblica Gianni Mura scrive:
Non mi sembra del tutto esatto quel che ha detto Zeman dopo una partita che rende il ritorno poco più d'una formalità. Ha fatto tutto la Roma, secondo Zeman. Secondo me, ha fatto tutto la Lazio. Ha aperto la partita con un gol di Boksic, l'ha chiusa in apparenza col rigore di Jugovic, l'ha riaperta con un inutile rigore di Nedved su Cafu (ma, come inutilità, anche l'intervento di Konsel su Boksic non scherzava). Il momento decisivo è all'inizio del secondo tempo, quando Ballotta, entrato al posto di Marchegiani contuso, respinge il possibile 2-2 di Candela. Infine, in spazi sempre più larghi, la Lazio chiude davvero la partita, con un 4-1 che si può valutare in tanti modi. Non è il caso di infierire su Zeman facendogli notare che, se ha fatto tutto la Roma, la Lazio almeno i suoi 4 gol li ha fatti. Sono tanti, forse troppi. Almeno nel primo tempo, la Roma ha giocato meglio della Lazio, ma sprecando di più. L'occasione fallita da Totti, al 21', è clamorosa come quel colpo di testa di Mancini (11') finito fuori a porta vuota. L'assist, dal fondo, era di Boksic, molto bravo a buttarsi negli spazi enormi. Il guaio della Roma è che in campionato perdere con un gol o tre di scarto è la stessa cosa, ma in Coppa Italia no. In certi casi, perdere con un gol di scarto fuori casa può pure essere un risultato utile, e questo però è inutile dirlo a Zeman.
Non è questione di essere italianisti o zonisti, ma solo e semplicemente realisti. Il realismo di Zeman sta nel prendere per buona solo la realtà che risulta a lui. Con queste premesse, alla Roma è andata peggio di quanto meritasse. Penso al palo di Totti, che avrebbe addolcito il punteggio e premiato il migliore dei giallorossi. Comincia male e finisce malissimo, per la Roma. Influenzato in nottata Lopez, con Totti si ritrova Pancaro. Recuperato alla svelta, Totti gioca molto bene, ma fa le cose migliori lontano dalla porta. Al primo affondo la Lazio è già in gol, c'è sempre di mezzo Candela (stavolta in posizione più centrale), da dietro Mancini gli leva la palla che finisce ad Almeyda, pronta verticalizzazione per Boksic e gol (con freddezza nell'angolino, da non crederci). Come con l'Udinese. Solo che qui siamo all'inizio del primo tempo, non del secondo. Anche per il suo immutabile modo di giocare, per la sua difesa troppo alta, la Roma paga il conto due volte più salato. La Lazio, già in partenza meno aggressiva per l'assenza di Casiraghi, non chiede di meglio. Subisce la maggior velocità e la manovra globalmente più organizzata della Roma. Ha un centrocampo efficace solo in Almeyda, la Lazio, ma la difesa tiene discretamente e basta Boksic, davanti, a mettere i brividi. La Lazio aspetta e piazza il contropiede che aspettava appena passata la mezzora, con Jugovic che lancia Boksic, Aldair pizzicato sul tempo, Konsel che esce e travolge Boksic. Rigore indiscutibile.
E rigore pochi minuti dopo, quando Nedved aggancia un piede di Cafu a mezzo metro dalla linea di fondo. Le emozioni non mancano, il tifo nemmeno, un'esagerazione di petardi nemmeno. Se si tien conto delle due pesanti partite di domenica, per entrambe le romane, si vede bel calcio a tratti. La Lazio nel secondo tempo cresce, la Roma cala, e non è la prima volta che succede. Al posto di Paulo Sergio, involontariamente calpestato da Di Biagio e ricucito all'arcata con 7 punti, c'è Gautieri e poco dopo al posto di Almeyda il diligente Venturin. La Lazio cresce soprattutto nei centrocampisti che latitavano (Fuser e Jugovic, Nedved no) ed è Jugovic che al 30' smarca in profondità Mancini, tenuto in gioco da Petruzzi. Pallonetto delizioso d'un altro ex latitante. Gol che vale il biglietto. Giochi in 10, come avvenne in campionato, o in 11, per la Lazio battere la Roma non sembra una faticaccia. La novità, se così si può dire, più positiva per la Lazio sta nella continuità di Boksic in zona-gol. Se il 4-1 non dà alla testa, si toglierà altre soddisfazioni. Anche se non sempre può augurarsi di trovare una squadra come la Roma, che stende passatoie di velluto davanti a chi passi la metà campo.
Tratte dalla "rosea", alcune dichiarazioni post-gara:
Ci sono tanti modi di dire ho vinto il derby. Deve essere speciale quello di Sergio Cragnotti, il padrone della Lazio, che atterra a Fiumicino e apprende dal figlio come sta andando, proprio mentre Fuser segna il quarto gol su punizione. E a suo modo è speciale anche quello di un Pier Luigi Casiraghi zoppicante che esce dallo stadio ancora sul 3-1: "E' stato bello come se fossi stato in campo". Ha qualcosa di singolare anche il modo con cui celebra la sua vittoria Paolo Negro: "Guardate, è la maglia di Vagner: è lui che mi ha cercato simpaticamente per fare lo scambio". Marco Ballotta, invece, che nel secondo tempo s'è fatto trovare pronto tra i pali, non la fa troppo lunga: "Emozionato? No, per niente". Quanto a Sven Goran Eriksson il discorso è diverso. La modestia trabocca, lo svedese - udite, udite - rende omaggio alla Roma e al suo allenatore: "Ottimo risultato, ma mancano 90 minuti e non mi fido della Roma e di Zeman".
Non basta: "E' vero, dopo il primo tempo il 2-1 era ingiusto anche perché io ho sbagliato. Di Biagio stava piuttosto dietro e così Almeyda per andarlo a cercare si spostava troppo in là; così il nostro centrocampo si è allungato, s'è creato un "buco" dove s'infilava spesso soprattutto Totti. Ho cambiato Almeyda perché era in difficoltà, Venturin è molto bravo tatticamente ed è in un momento di gran forma". Insomma, uno vince 4-1 il derby e dice ho sbagliato mentre l'altro (Zeman) lo perde e dice abbiamo dominato: se non altro la pensano allo stesso modo... Non su tutto. Per esempio: Eriksson, come ha visto Boksic? "E' in un grande periodo fisico e psicologico, poi fa gol ogni partita, un giocatore eccezionale".
Oltre a Boksic, il tecnico trova però un'altra chiave per leggere la partita, eccola: "Saper aspettare per colpire nella ripresa. Noi sappiamo come giocare contro la Roma". Finalmente una frecciata orgogliosa. Ma forse la felicità di Sven viene fuori quando il tecnico sta per andarsene in macchina. Ha un sorriso solare. Ma che fa resta o va via? "Ma io resto, resto". Lo inseguono dicendogli scherzando che la Lazio gli proporrà un contratto di dieci anni. "Dieci anni, a Roma è già difficile se riesci a starci tre anni, che dico, tre mesi".
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