Lovati Stefano
Consulente Ortopedico. Nato a Roma il 1 dicembre 1961. Figlio di Bob Lovati e dell'attrice Lilli Panicali, è laureato in medicina e chirurgia presso l'Università "La Sapienza" di Roma. Specialista in ortopedia e traumatologia, chirurgia del ginocchio e artroscopica. E' responsabile ortopedico della prima squadra dall'ottobre 2007 .
Dal Corriere dello Sport dell' 11 ottobre 2008
Servizio di Daniele Rindone
Si rivede com’era. Bambino, con i campioni dello scudetto. Era il suo campo di giochi. Si rivede con papà Bob, con mister Maestrelli e i suoi figli. Si rivede nello spogliatoio, ospitato dietro le quinte della Domenica Sportiva: «La Lazio l’ho vissuta con gli occhi da bambino». E poi da grande, sempre da figlio di Bob. E ora da dottore, come responsabile ortopedico: «E come tifoso. La Lazio è nel mio cuore». Stefano Lovati la vive da ’61, dalla nascita. Ha attraversato la storia attraverso la sua gioventù. Ammirando papà Bob, conquistando affetto e ruoli di fiducia: «Ho vissuto lo scudetto del ’74, il -9 con Fascetti, tanti derby, quanti ricordi!». Un anno fa esatto Lotto l’ha voluto in società. Stefano operò Ledesma, era il 7 ottobre 2007. Lo riportò in campo in 20 giorni: «Arrivai in corso d’opera. L’hanno scorso fu pesante perché la preparazione fu diversa per la Champions e ci furono eventi sfortunati». Lovati allievo del professor Carfagni, ha portato esperienza: «Ognuno ci mette del proprio per ottimizzare il lavoro. Con il professor Vio, il preparatore atletico, abbiamo fissato programmi preventivi. Per adesso le cose vanno bene». Nel suo mondo Lazio. Tra scienza e campo.
Da Lovati a Lovati. Mani da portiere quelle di Bob. Mani «sante» quelle del dottor Stefano. Padre e figlio, il campione e il medico affermato. Com'è questa storia di famiglia laziale? «Papà ha smesso nel 1960, io sono nato un anno dopo. Me lo ricordo come il campione che allenava, che stava accanto a Maestrelli».
Lovati e Maestrelli. La Lazio. I loro figli. Che bello... «Avevo 10 anni. Papà e Tommaso ci portavano all'allenamento. C'ero io, c'erano pure Maurizio e Massimo, i gemelli Maestrelli. Ci si ritrovava al campo di Tor di Quinto e s'iniziava a giocare. Quante giornate!».
Loro i maestri, voi gli eredi-birbanti. «Stavamo sempre insieme. Mi ricordo l'attesa del ritiro, quelle domeniche quando si arrivava all'hotel American che ospitava la squadra, sull'Aurelia. Si mangiava lì, poi si andava allo stadio in pullman».
Stefano Lovati, Maurizio e Massimo Maestrelli accanto a Chinaglia, Wilson e tutti gli altri? Ma come? «Eravamo una sorta di mascotte di quella Lazio vincente. Avevamo libero accesso, vivevamo pure lo spogliatoio».
E la storia della scaramanzia? «C'era scaramanzia, è vero. Sul pullman i posti erano tutti assegnati, bisognava fare attenzione. Ricordo Chinaglia e Luigi Martini che prima di ogni partita erano molto attenti a rispettare certi riti. E non erano i soli...».
Eravate come fratelli. «Con i gemelli Maestrelli siamo cresciuti. Ci ritrovavamo spesso a casa di Tommaso. C'era pure papà. Si mangiava lì, succedeva pure dopo le partite della domenica».
E durante gli allenamenti palla al piede e tiri in porta. «Ci si ritrovava in mezzo al campo, ci sentivamo dei campioni, ma non lo eravamo. E poi abbiamo intrapreso strade differenti ».
Il bambino Lovati e il dottor Lovati. Che ricordi tiene con sé? «Papà e Tommaso parlavano di continuo, prima, durante e dopo ogni gara. Una cosa è certa: non ricordo mai una discussione tra di loro, si rispettavano, avevano fiducia l'uno nell'altro. Pianificavano le partite insieme. E in ritiro...».
Cosa? «In ritiro si assentavano, si mettevano in disparte, accadeva soprattutto il giorno prima delle partite. Si dicevano tutto».
Chi fu per lei Maestrelli? «Un uomo speciale. Non l'ho mai sentito alzare la voce con lo staff tecnico o con i massaggiatori o i dirigenti. Magari in campo s'arrabbiava, ma era un buono. Ci prendeva in braccio, lo faceva con i suoi figli e lo faceva con me. Mi trattava come fossi uno di famiglia. Era il '72, eravamo piccolini: io, Massimo e Maurizio».
Stefano Lovati e la maglia della Lazio, tiri fuori le foto... «Le avrò in qualche cassetto a casa di papà.Indossavo quelle loro maglie enormi o le tute. Vedevo il calcio come un gioco».
Lovati e i Maestrelli jr, tre pesti... «Noi? Loro. Ci mettevano in mezzo, ci facevano girare insieme alla palla. E Wilson spesso mi sgambettava da dietro, mi faceva cadere per terra... Devo dire che pure Vincenzo D'Amico era un bel tipo».
Papà Bob l'ha mai sgridata? «Beh, qualche volta. Veniva e mi diceva "Ehi, adesso fermati". Ero un po' rompiscatole».
Però la portava con lui. «Mi faceva vivere il campo, il dietro le quinte. Ma a casa niente. Non era abituato a parlare del suo lavoro».
Poi le estati in ritiro. «C'era Gigi Trippanera, il massaggiatore storico, c'era la signora Gina che lavava le maglie di lana. S'impregnavano prima di sudore e poi d'acqua. La vedevo mentre le appendeva al filo per farle asciugare, una ad una. Altri tempi...».
Ma il papà-campione l'ha visto in tv. «Immagini da calciatore? Poche. Solo in occasione di uno speciale mandato in onda qualche sera fa sulla prima Coppa Italia della Lazio sono riuscito a vedere un servizio su Bob».
La gente ama suo padre. «Non c'è giorno in cui qualcuno non mi parli di lui. Incontro molta gente, visito decine di persone. Capita spesso che qualcuno mi dica "ma lei è il figlio di Bob?". E' un grande uomo. E' ben voluto da tutti, sia dai laziali che dai romanisti. Non è mai andato fuori dalle righe».
Poi Maestrelli morì. «Fu un momento difficile. Abbiamo vissuto tutta la malattia di Tommaso. Papà andava sempre a trovarlo in clinica. Maestrelli stava male, poi si riprese, poi ebbe una ricaduta. Non fu facile vederlo morire».
Come la prese Bob? «L'ho visto piangere solo due volte nella vita. Una volta è successo alla morte di Maestrelli».
Mister Lovati com'era visto dal figlio? «Si arrabbiava spesso, mi sa con D'Amico. Aveva delle grandi qualità e a volte non le sfruttava a dovere, qualche volta l'ha mandato a quel paese. Ma papà proteggeva tutti».
Derby, un suo ricordo. «Gol di Nicoli allo scadere. Ero a bordo campo, ci abbracciammo tutti. Stavo vicino alla curva Sud, beccai tanti insulti e dovetti scappare...».
Storia di Lazio, un'immagine mitica... «Il giorno dello scudetto del '74. Andai in curva, fu la prima volta. Conobbi il tifo vero».
Un ricordo da tifoso. «Le trasferte, le partite indimenticabili del -9 con Fascetti in panchina. C'ero».
Cos'è il calcio per lei, dottor Stefano? «L'ho sempre visto come un divertimento. Ero sicuro che sarei diventato ciò che sono. Il mio grande obiettivo era diventare un buon medico». I Lovati vincono. Stefano l'ha fatto così.