Levi (II) Mario
Pioniere
I fratelli Guido e Mario Levi furono giocatori della Lazio del periodo pionieristico. Guido nacque il 31 marzo 1888 e Mario il 20 febbraio 1893 a Roma. Erano figli di Antonio ed Eleonora Rospi e la famiglia abitava in Via Alessandrina n. 119. Il maggiore era portiere mentre il secondo giocava in difesa. Di Guido, alto m 1,65 e con una circonferenza toracica di m 0,83, capelli neri ed occhi grigi, le prime notizie risalgono al 1910 quando fa parte della formazione laziale che disputa il 1° Campionato cittadino ufficiale organizzato dalla Lega ma gioca, a livello non ufficiale, anche alcune partite con la squadra della Voluntas. In previsione di quell'evento la società biancoceleste aveva potenziato l'indizione delle Leve giovanili e tantissimi ragazzi, soprattutto studenti, si erano sottoposti a dei provini con la Lazio.
Levi I lo troviamo riserva del portiere Lorenzo Gaslini (proveniente dal Milan, morirà a causa di malattia contratta nel 1° conflitto mondiale) in una squadra forte degli Ancherani, Saraceni, Corelli, ecc. Ancora riserva è nel 1912, quando in squadra compare anche il fratello Mario. Come portiere Guido è "di buona guardia" come si usava dire allora, ma ha la sfortuna di trovarsi davanti il fortissimo Gaslini e in porta gioca solo una decina di partite. Nel 1912/13 viene eletto vice-capitano della Lazio. La sua ultima stagione da calciatore è il 1913.
Più lunga e più soddisfacente è la carriera di Mario. Già presente in 3^ squadra nel 1908. Titolare nelle sfortunate finali di campionato nazionale nel 1913 e 1914 contro Pro Vercelli e Casale, è presente nell'anno di inaugurazione del campo della Rondinella. Nel 1915 la sua carriera è interrotta dalla guerra. Ripresosi, ha la forza di giocare nel 1918 per poi ritirarsi dallo sport, dopo 40 gare disputate in biancoceleste. Di lui sappiamo che più delle sue qualità tecniche colpivano quelle atletiche con cui sopperiva alle prime.
Guido fu soldato volontario nel 7° Reggimento Alpini e promosso sergente nel 5°. Nel 1908 è dichiarato disertore e, una volta costituitosi, condannato a quattro mesi e retrocesso a soldato dal Tribunale Militare di Milano. Il 22 maggio 1915 fu mobilitato. Il 6 settembre 1916 venne gravemente ferito in combattimento. Rimessosi, venne inviato nei reparti d'assalto e per il suo eroico comportamento fu di nuovo riassegnato al grado di sergente nel 3° Reggimento Alpini del Battaglione Finestrelle. Alla fine della guerra, decorato per la campagna di guerra 1915-18, si stabilì a Sanremo.
Il fratello Mario, alto m 1,66 per 70 kg,, con i capelli e gli occhi castani, fu soldato volontario nel 9° Reggimento Bersaglieri, Battaglione Ciclisti. Giunto in territorio in stato di guerra il 25 agosto 1915. Il 21 ottobre è ricoverato in un ospedaletto da campo per ferita. Trasferito all’ospedale di Legnago e poi nell’ospedale territoriale della Croce Rossa Italiana di Roma. Il 25 ottobre 1916 è dichiarato idoneo ai soli servizi sedentari nell’ospedale Militare di Livorno. Frequenta la scuola militare di Modena per istruzione obbligatoria. Cessa nella qualifica di Allievo Ufficiale perché dichiarato permanentemente inabile alle fatiche della guerra e viene trasferito al deposito del 9° Reggimento Bersaglieri nel giugno 1917. Il 9 giugno 1918 è in territorio di guerra come volontario del 6° Reggimento Bersaglieri nel battaglione complementare ciclisti. L’8 agosto 1918 è mobilitato nel 4° Reggimento Bersaglieri ciclisti. Il 4 novembre 1918 è in zona d’armistizio del fronte italiano. Viene esonerato il 12 dicembre 1918 e lasciato a disposizione come impiegato dell’Esercito. Riportò ferite da pallottole alle gambe, al volto e alle braccia combattendo il 21 ottobre 1915 a Selz. Gli fu concessa la Croce al merito di Guerra e fu autorizzato a fregiarsi della Medaglia di benemerenza istituita per i volontari della guerra italo-austriaca.
I fratelli Levi sono stati dei modesti giocatori di calcio ma pieni di entusiasmo e di passione per la Lazio. Per comprendere ciò basta riportare il testo di una dichiarazione che Mario, ormai anziano, rilasciò in occasione del ritorno della Lazio in serie A nel 1963: "Unisco in un entusiastico plauso e in un affettuoso ringraziamento i dirigenti, l'allenatore e gli atleti della gloriosa società, alla quale mi onoro di appartenere da oltre cinquant'anni, per avermi procurato la gioia di poter vedere ancora in lizza nella massima divisione i colori da me difesi in campo con le mie modeste forze, in tempo assai lontano, e sempre tenuti in cuore con fervida passione e con fede mai venuta meno". Queste semplici ma immense parole danno lo spessore di quegli uomini di inizio novecento che condivisero un'idea di purezza, amore e vigore fisico e dovrebbero essere di monito per coloro che oggi, distorcendo il senso della Lazialità, procurano a quell'idea danni mortali e umiliano e spengono l'entusiasmo di coloro che in quell'idea ancora credono e vivono.
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