Domenica 19 febbraio 1995 - Roma, stadio Olimpico - Lazio-Milan 4-0
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19 febbraio 1995 - 2639 - Campionato di Serie A 1994/95 - XX giornata
LAZIO: Marchegiani, Negro, Favalli, Di Matteo, Bergodi, Cravero (79' Nesta), Rambaudi, Fuser (67' Venturin), Casiraghi, Winter, Signori. A disp.: Orsi, Bacci, De Sio. All. Zeman.
MILAN: Rossi, Panucci, Maldini, Albertini, Costacurta, Baresi, Eranio (65' Tassotti), Desailly, Massaro, Donadoni, Simone (57' Melli). A disp.: Ielpo, Stroppa, Sordo. All. Capello.
Arbitro: Cesari (Genova).
Marcatori: 18' Casiraghi, 59' Signori, 66' Signori (rig), 82' Baresi (aut).
Note: ammoniti Chamot, Boksic e Signori per la Lazio, Simone e Costacurta per il Milan. Espulso al 64' Maldini. Calci d'angolo: 2-6.
Spettatori: 50.000 circa per un incasso di £.1.828.571.000.
Dentro questo 4-0, perfino bugiardo rispetto alle occasioni prodotte, si può rintracciare (troppo tardi ?) la Lazio champagne e commemorare il Milan rubacuori dell'epopea, che ormai tenta improbabili restauri. Di quell'armata rossonera rimangono ancora l'involucro, l'orientamento tattico, l'ordine fra reparti, ma senza accelerazioni congiunte, anzi perdendo via via quota quando i ritmi imposti diventano insopportabili. Così, attorno ad un regalo elargito presto da Baresi, gli "zemaniani" ramificano la goleada secondo risorse, negando soprattutto dopo l'intervallo qualsiasi possibilità d'intreccio romanzesco come all'andata, sempre temuto causa troppe amnesie difensive. Riesumiamo allora l'episodio chiave, prima del crollo che non trova precedenti nell'epoca Capello. Beh, Albertini ha già dato l'illusione di castigare l'approssimativo fuorigioco dell'opposizione (destinatario lo smarcato Simone con palombella poco arcuata per scavalcare l'uscente Marchegiani), mentre al momento funziona l'analogo escamotage sul fronte opposto, nonostante le proteste di Signori, stoppato due volte in corsa, oltre il quartetto milanista. Chi saprebbe immaginare incombente il patatrac, controllando l'appoggio canonico Sebastiano Rossi kaiser Franz? Baresi avanza ma l'appoggio sbagliato scatena l'intuitivo Casiraghi, sostituto di Boksic. Trenta metri bruciati in progressione, con i garretti per staccare l'arrancante capitano più il peso specifico per non lasciarsi spostare da Costacurta. E' rasoterra trapassante, forse neutralizzabile da un portiere meno rassegnato. Inutile recriminare: l'imbambolamento sgradito a Capello, non dovrebbe chiudere la sfida dei rimpianti e sembra appena compensare nell'ottica biancoazzurra una precedente svista arbitrale. Difatti, lanciatore ispirato Di Matteo, proprio Signori s'è involato alcuni istanti fa, tratteggiando l'assist rientrante laddove Costacurta stava "allacciando" l'indigesto Casiraghi. Probabile rigore rivendicato ad alta voce, quale primo frutto d'un football d'invasione, a tavoletta, zampillante tanto lungo le corsie, quanto attraverso varchi interni grazie alla velocità degli spostamenti dei centrali opposti all'ingombrante Desailly, all'evanescente Albertini. Però, la Lazio, connotata da un 4 3 3 flessibile, con Fuser ovunque e Rambaudi che scala a sostegno, presenta i suoi soliti sbilanciamenti. Sono cortocircuiti fisiologici, causa un frenetico movimento a tutto campo, per strappare applausi, per demolire l'opposizione, senza football ragionato. L'esperto Maldini ne profitta, trancia fraseggi impudenti e riparte tirandosi dietro Negro o Rambuadi. Discese coraggiose per rifornire almeno di qualche cross quando Massaro, quando Simone, comunque impacciati nelle sintesi a scorno dell'accoppiata Cravero-Bergodi. Funzionano meglio le combinazioni esterne Panucci-Eranio, che sorprendono tre volte Favalli fuori posizione. Tre occasioni riequilibranti rifinite da Simone, per una conclusione ravvicinata e sballata (Eranio); per l'incornata Massaro sopra traversa; per una rovesciata in mischia d'Albertini. Falò rossoneri. Fanno pensare (brevemente) ad una squadra priva di tiratori credibili, ad un 4 4 2 tuttora suggestivo se esistessero là davanti elettrici terminali. Sensazioni destinate ad evaporare quando Signori quasi preannuncia lo show successivo, saltando Panucci e invitando Negro alla schiacciata da non sbagliare. Negro desolato si copre la faccia. Sipario. Gli assatanati Fuser, Rambaudi, Winter, preparano subito le scene che annichiliranno il Milan. Motivi gravi e semplici: Donadoni si trascina e azzarda dribbling irritanti; Desally è una diga fantasma nel porto delle nebbie rossonere; Simone si defila, Massaro arretra a lavorare palloni marci. Adesso il copione prevede la resurrezione di Beppe gol, "serial killer" in silenzio stampa. Valorizza il possesso palla passato dal 51% al monologo, con una memorabile tripletta, preziosi collaboratori Di Matteo e Casiraghi. Del Milan nessuna traccia, in questi minuti che assicurano la conquista laziale attesa diciassette anni. Conquista? In realtà è una valanga che seppellisce ogni residua ambizione stagionale di Capello, riferita al campionato. E una sventagliata griffata Di Matteo innesca la volée e raddoppio del cannoniere biondo. Poi, l'unico superstite degno dei ricordi gloriosi, Maldini, deve sacrificarsi, ultimo uomo all'inseguimento di Casiraghi. Sgambetto qualche centimetro fuori area, nonostante il parere contrario dell'arbitro Cesari. Cartellino rosso e ancora Signori di rigore. Seguono gli sprechi di Rambaudi, Casiraghi e Negro, il palo a botta sicura di Winter, l'ubriacata fra le "ola". Che sempre lui, Signori, giustifica con un altra perla: triangolo con Winter e tutt'insieme palo traversa rete. Poker servito.
Forse è passata la paura. La paura di non essere più lui, l'incubo di non riuscire più a vivere le domeniche alla sua maniera, a suon di gol, fra le ovazioni del pubblico e i complimenti dei compagni esaltati dalle sue imprese. Giuseppe Signori è tornato al gol, al vero gol, al gol che conta. Tre ne ha segnati ieri. Forse uno, dicono, con la superflua collaborazione di Baresi. Tre prodezze che rialzano le quotazioni sue personali e quelle d'una Lazio arrancante dietro il suo protagonista più rappresentativo e più valido. Contro il Milan, la Lazio ha ritrovato se stessa ed il suo appannato cannoniere. E lui, Signori, ha cancellato le residue speranze di un vano inseguimento dei desaparecidos rossoneri e riacceso quelle dei biancoazzurri risorti forse un po' troppo improvvisamente. Ma, nonostante il monocorde coro echeggiante dagli spogliatoi dei trionfatori ("Se avessimo giocato sempre con questa convinzione..."), eviteremmo le facili illusioni. Non va infatti dimenticata la benevolenza del Milan di giornata. A Signori la sua ultima impresa non ha comunque restituito il sorriso. E' rimasto chiuso in un inspiegabile silenzio per via di un'intervista nella quale ha recentemente dissertato a ruota libera sui suoi pingui guadagni, e di cui si è poi pentito. Signori s'è limitato a sussurrare a denti stretti: "Dedico le mie fatiche a mia moglie, a mia figlia e ai tifosi". Ed è andato via, nervosetto, com'era apparso in campo soprattutto nel primo tempo. E non ribatte neppure a chi gli ricorda le battute di Capello. Più loquace, difficile a credere, è stato Zeman, imperturbabile come sempre, e per niente esaltato, come il suo temperamento esige: "No, non ho ritrovato affatto la mia squadra per il semplice motivo che non l'avevo mai perduta. Questa è la Lazio. Una formazione che gioca sempre alla stessa maniera, salvo eccezioni...". D'accordo, ma con il Bari, con il Torino? E lui di rimando: "Con il Bari s'era espressa esattamente come stavolta. A Torino, invece ha commesso qualche leggerezza". Ovviamente, si butta lì, nel dialogo post partita, la questione scudetto. Forse un po' troppo lontana dalla Lazio, ma lui, il taciturno boemo, ribatte sarcastico: "La lotta per il titolo si apre alla prima giornata e si chiude all'ultima...". Poi ribadisce di non avere rimpianti: "Se continuiamo ad esprimerci con questi toni, se sfruttiamo fino all'ultimo le nostre immense capacità, tutto è possibile". Beato lui. E il Milan? Sabato aveva detto che aveva ripreso a giocare il più bel calcio del campionato. E lui resta dello stesso avviso: "Ribadisco, infatti son felice per averlo battuto". Quindi si sente più bravo di Capello, da lui criticato aspramente dopo la sconfitta di Vienna in Coppa? "Macché, quelle furono parole male interpretate. Anzi avrei voluto chiarirle ma non mi è stato possibile. Comunque non mi sento più bravo di nessuno solo perché ho vinto una sfida". Altre voci biancoazzurre sono più esplicite. Cravero esprime i suoi rimpianti: "Abbiamo buttato al vento molti punti. Se avessimo sempre giocato sui questi livelli, saremmo in posizione più felice. Ma non ci arrendiamo". Di Matteo sostiene invece che "la ritrovata umiltà è alla base della riscossa". Mentre il sorridente Casiraghi sentenzia: "Certo, se ci esprimessimo sempre così, non ci sarebbe scampo per nessuno. Purtroppo ci capita raramente. Comunque non ricorriamo a parole grosse. Lo scudetto è della Juventus, ormai".
Fonte: Corriere della Sera