Domenica 18 giugno 1989 - Roma, stadio Flaminio - Lazio-Sampdoria 1-0

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18 giugno 1989 - 2416. Campionato Italiano di calcio Divisione Nazionale Serie A 1988/89 - XXXIII giornata - Inizio ore

LAZIO: Fiori, Monti, Beruatto, Pin, Gregucci (25' Marino), Piscedda, Dezotti (65' Acerbis), Muro, Di Canio, Sclosa, Sosa. A disp. Martina, Icardi, Rizzolo. All. Materazzi.

SAMPDORIA: Pagliuca, Pellegrini III, Carboni, Pari, Lanna, Salsano, Victor, Bonomi, Vialli, Pradella (59' Breda), Dossena. A disp. Bistazzoni, Affuso, Chiesa. All. Pezzotti. D.T. Boskov.

Arbitro: Pezzella (Frattamaggiore).

Marcatori: 37' Dezotti.

Note: giornata estiva, terreno buono. Espulso: 90' Lanna. Ammoniti: 11' Dezotti e Lanna, 70' Monti. Esordio in serie A per Breda classe 1969.

Spettatori: paganti 12.920, incasso 276.270.000 lire; abbonati 11.337, quota-partita 363.745.000 lire.

Sosa in azione
Dezotti bacia la maglia dopo la rete vincente
Un'immagine della partita
Il biglietto della gara

"Sta Inter... Mah". Facce di laziali perplessi abbandonano la trappola per topi chiamata Flaminio con un tappo di paura in fondo alla gola: la vittoria sulla Sampdoria è una gioia bloccata dal successo del Toro, che per questi tifosi ha il sapore amaro di una festa rinviata: lo champagne della salvezza resta in frigo, tutti ad Ascoli, c'è da tremare ancora. Battiamo la Sampdoria e siamo a cavallo, aveva proclamato Materazzi alla vigilia dell'incontro. Nessuno pensava di doversi preoccupare più di tanto del Torino: l'onnipotenza interista era un dogma di fede, ampiamente sperimentato quindici giorni prima, quando le orde nerazzurre si erano impossessate della partita, triturando nel finale la Lazio, dopo averla illusa per oltre un'ora. Quando Skoro ha portato in vantaggio i granata, il tabellone luminoso del Flaminio ha smesso di funzionare, forse impazzito di dolore anche lui.

La notizia si propagava di voce in voce, si allargava come una macchia d'olio sulle gradinate dello stadio, portando apprensione in animi dove, fino a un attimo prima, albergava soltanto la felicità. I più ottimisti si tuffavano nella stanza della memoria per riemergerne con un ricordo prezioso: anche la Lazio era salita sull'uno a zero, perforando Zenga ad inizio ripresa, proprio come adesso stava capitando al Toro. Ma poi erano arrivati i tre gol della tremenda vendetta interista. Perché dubitare che sarebbe finita così anche stavolta? Poi, come una folata di gelo, arriva la ferale sentenza: Muller ha raddoppiato, addio speranze di rimonta nerazzurra, spazio ai rammarichi venati di sospetto. In tribuna-stampa c'è chi ricorda le assenze di Brehme e Matthaus, condendo la frase con un risolino di complicità, quasi che i due tedeschi si siano fatti squalificare consapevolmente, allo scopo di risollevare il Torino e inguaiare la Lazio. Il vittimismo è il più sacro e diffuso dei sentimenti italici, ma stavolta rischia di trasformarsi in un boomerang, perché se l'Inter di Torino non era quella di sempre, neppure la Lazio ha affondato un'«Invencible Armada».

La Sampdoria è planata sulla partita con una tale sufficienza da dar quasi l'impressione di essere capitata al Flaminio per caso. In questi casi, per misurare il termometro della concentrazione, basta seguire la prova di Vialli: Gianluca è il classico giocatore che si rovescia l'anima anche contro il Camogli, eppure ieri ha ciondolato indolente per il campo, risollevandosi dal torpore soltanto per esibirsi in uno scatto nevrotico al danni del povero Pezzella, reo di non si sa quale orribile misfatto. Contro questa Samp formato vacanza si stagliava, immensa, la classe di un giocatore di cui la Lazio ha giustamente rimpianto la lunga assenza: il prode Pin, autentico leader della squadra, così bravo, continuo e versatile da far nascere legittimi interrogativi sui motivi che hanno condotto la Juve a privarsene.

Cade, tra l'altro, il vecchio alibi di Vicini, quello secondo il quale Giannini «deve» giocare in nazionale perché nel ruolo di regista non ci sono alternative. Mica vero. Guardatelo, questo Pin, un De Sisti con la grinta e la personalità di Dunga, mentre smista palloni sapienti e si sbraccia per indicare ai compagni dove e a chi effettuare il passaggio. Ammiratelo, al 38', domare con la testa un cross di Ciro Muro, confezionando la palla dell' 1-0 che Dezotti spedirà con rabbia alle spalle di Pagliuca. E non è finita: perché al 44' Pin trasforma il suo piede destro in un obice, scaricando un lancio di quaranta metri che Ruben Sosa appoggia sulla traversa con uno sfortunato pallonetto. Attorno a Pin, una squadra un po' stanca ma non spenta. Quanto bastava per tenere a bada la molle reazione della Sampdoria, che bussa alla porta del gol una sola volta, al 18' della ripresa, con una splendida rovesciata di Victor che si infilerebbe nel «sette» se Fiori non andasse a respingerla con un balzo che vale, e salva, la vittoria.

Fonte: La Stampa