Domenica 9 maggio 1993 - Milano, stadio Giuseppe Meazza - Inter-Lazio 2-0
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9 maggio 1993 - 2563 - Campionato di Serie A 1992/93 - XXX giornata - calcio d'inizio ore 15.00
INTER: Zenga, Bergomi, De Agostini, Berti, Paganin, Battistini, Orlando, Manicone, Schillaci, Shalimov, Sosa. A disp.: Abate, Rossini, Tramezzani, Fontolan, Pancev. All. Bagnoli.
LAZIO: Orsi, Bergodi, Favalli (70' Stroppa), Bacci, Luzardi, Cravero, Fuser, Winter, Riedle, Sclosa (66' Marcolin), Signori. A disp.: Fiori, Gregucci, Neri. All. Zoff.
Arbitro: Sig. Cesari (Genova).
Marcatori: 2' Bacci (aut), 82' Schillaci.
Note: ammoniti: Bacci, Bergomi, Bergodi. Antidoping: Fontolan, Rossini, Marcolin, Neri. In tribuna il c.t. Sacchi.
Spettatori: 50.000 circa.
Converge nell'ultimo Milan, imbattuto per 58 partite consecutive a cavallo di due stagioni, quest'Inter imbattibile dall'inizio del '93 e capolista virtuale del girone di ritorno. Ha fatto più punti di tutti (19), e si vede. Ha giocato con maggiore dispendio di energie fisiche e nervose, e ne risente. Ha l'ansia di sapere come andrà a finire e comincia a mancarle la pazienza di veder finire anche la più maneggevole delle partite, quella di ieri con l'invertebrata Lazio, stordita dal fuso orario giapponese della meno opportuna tra le tournée e mercantilistiche. L'Inter attuale diverge dal Milan di allora nelle possibilità di darsi una dimensione e, di conseguenza, una grandezza commensurabile all'impegno: bene che vada chiuderà senza sconfitte fra quattro giornate e questa prospettiva, invece di galvanizzarla, la deprime, scavandole dentro un rimpianto profondo. E se neppure il massimo bastasse? Ogni domenica che passa, tra l'altro, può segnare la conclusione della rincorsa. E a ogni domenica l'Inter deve chiedere a se stessa tutto, senza riserve. Ieri, contro una Lazio inerte, si è visto quanto per l'Inter questo fardello sia oneroso: neppure il gol iniziale, propiziato da un'autorete, ha avuto l'effetto di sciogliere la squadra dai legacci dell'obbligatorietà del risultato pieno. Anzi, è andato a detrimento della concentrazione. Le occasioni per chiudere la partita e giocare in brillantezza sono capitate nell'ordine sui piedi di Schillaci (28': sarebbe servito il pallonetto nella porta sguarnita da Orsi, chiamato all'uscita di testa fuori dalla propria area), ancora Schillaci (44': destro storto dopo apprezzabile triangolo con Berti) e infine Berti (46': fatale indugio in area, su servizio di Orlando). La più cospicua quantità di occasioni mutilate nella ripresa (due volte Sosa, due volte Berti, un assist imperfetto di Orlando e uno fuori misura di Manicone) hanno confermato la tendenza, peraltro non solo negativa, della squadra di Bagnoli. L'articolazione delle azioni si è sempre snodata attraverso una manovra netta ed essenziale, fatta di linee verticali e chiusa da triangoli ampi: c'è stata sempre velocità di smarcamento e precisione nel far viaggiare la palla. Non c'era, invece, l'istinto feroce dell incisione. Piuttosto una cesura in un gioco complessivamente assai poco ricercato: a metà del primo tempo così come a inizio di ripresa, sia Berti che Schillaci hanno sbattuto via qualche pallone quasi che non esistessero le condizioni per gestirlo in modo meno approssimativo. Questo senso di provvisorietà ha finito per rifrangersi sulla conduzione dell'incontro, fino a concedere spazi e tempi di gioco a una Lazio quasi non rianimabile. L'illogico è stato sfiorato assai prima del pareggio, vellicato da un'occasione palpabile di Signori, con un paio di contropiedi subiti dall'Inter: in entrambi i casi (33' del primo tempo e 10' della ripresa), Fuser aveva l'abilità e la corsa per infilarsi nella metacampo nerazzurra, senza però conservare il dono per l'assist vincente. Le smemoratezze offensive dell'Inter e i conseguenti squilibri di assetto sono stati comunque bene attutiti da una difesa che ha mantenuto cognizione delle proprie possibilità. Sulle altre, merita segnalazione la prestazione di Paganin, il cui contributo sulle palle alte è stato determinante. A protezione del reparto, un centrocampo che ha fatto dell'intercettazione una delle arti più nobili: Manicone, specialmente nel primo tempo, è stato lesto nell'intervento e il meglio ispirato nelle aperture del gioco a cui è stato chiamato De Agostini con puntualità sorprendente, data l'età e le molte stagioni senza economie. L'Inter, insomma, ha il fisico per reggere, solo che potrebbe mancarle la testa. Esattamente come il Milan che però da ieri potrebbe averla ritrovata.
Fonte: Corriere della Sera