Domenica 1 ottobre 1989 - Roma, stadio Flaminio – Lazio-Juventus 1-1
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1 ottobre 1989 - 2426 - Campionato di Serie A 1989/90 - VII giornata
LAZIO: Fiori, Monti, Sergio, Pin G. (79' Bergodi), Gregucci, Soldà, Di Canio, Icardi, Bertoni, Sclosa, Sosa. A disp. Orsi, Beruatto, Olivares, Manetti. All. Materazzi.
JUVENTUS: Tacconi, Galia, De Agostini, Fortunato, Bonetti, Tricella, Alejnikov, Rui Barros, Zavarov (79' Alessio), Marocchi, Casiraghi. A disp. Bonaiuti, Bruno, Brio, Siroti. All. Zoff.
Arbitro: Agnolin (Bassano del Grappa).
Marcatori: 38' Di Canio, 53' De Agostini (rig).
Note: ammoniti al 20' Galia, 58' Bonetti, 61' Sosa, 63' Sergio, 70' Zavarov. In tribuna Enrico Montesano, Loretta Goggi e Gianni Brezza.
Spettatori: paganti 14.944, incasso £. 516.270.000 lire; abbonati 8.716, incasso £.293.020.000.
Un altro passo avanti in classifica da parte della Juve. Ma non c'è molto altro da segnalare. La fisionomia che la squadra di Zoff esibisce al Flaminio è lontana anni luce da quella mostrata nel mercoledì di Coppa contro i polacchi del Gornik. E quante cose sono cambiate da quella sera magica! Barros, gigante al mercoledì, torna nel regno dei puffi, anche se è lui (al 53') a propiziare il rigore che De Agostini trasformerà nel definitivo pareggio. Zavarov ha perduto la vivace continuità d'inizio di stagione e si riscatta soltanto nel secondo tempo, Bonetti è talvolta marmoreo al cospetto dell'esuberante ed estrosa vitalità di Sosa. Casiraghi merita la sufficienza per la silenziosa costanza con la quale ha saputo sopportare lunghi periodi di isolamento nella morsa di Gregucci e Soldà, come fosse un corpo estraneo rispetto al tessuto globale. E poi c'è la prestazione davvero negativa di Fortunato, nella circostanza più idoneo al minuetto che al rock, uomo che misura la gittata dei propri lanci con il centimetro.
Infine, alla Juve manca tanto Schillaci, l'elemento che più di ogni altro cerca il successo personale con la voracità degli animali da gol e con l'incoscienza degli attaccanti di razza. Che resta a questo punto alla Juve se non l'operoso e diligente prodigarsi di Aleinikov, gli indovinati sganciamenti di Tricella, il correre generoso di Marocchi, la spinta puntigliosa di De Agostini? Poco. E la Lazio fa sentire il peso di un centrocampo più aggressivo e svelto. Ed è già tanto che in siffatte condizioni la Juve riesca a strappare un prezioso punto alla Lazio. Cui chiediamo scusa per averla lasciata momentaneamente in disparte. I più grossi meriti sono infatti i suoi, come il pressing che per mezz'ora circa lascia i bianconeri in un oceano di fastidi, come gli inserimenti sulla sinistra di Sergio che creano affanno alla difesa bianconera, come le evoluzioni estemporanee ma discontinue di Di Canio e come le maratone di Icardi e di Sclosa. Su tutti, quell'ostinato e fantasioso Sosa: Bonetti lo ha sofferto anche sul piano del contatto fisico.
Ed è proprio Sosa ad impegnare Tacconi al 12', mentre le conclusioni di Gregucci (16') e Sclosa (34) sono fuori bersaglio. L'uruguaiano fiuta il gol come uno spinone ed al 37' fa viaggiare la palla come il vento. Il palo respinge la traiettoria su cui si avventa Di Canio di testa per sbloccare il risultato. Il gioco è nelle mani della Lazio. D'accordo, alla Juve manca un contropiedista come Schillaci, ma non è possibile preparare il gioco come se i bianconeri si esercitassero su una pista da ballo per un tango lento a lume di candela: tocchetti ripetuti e rallentati, che consentono ai laziali di sprangare l'uscio. Solo Barros, al 28' su invito di Zavarov, tenta di testa la colombella, ma la palla vola alta in cielo. Negli ultimi minuti del primo tempo e nei primi della ripresa, segnali di rinascita juventina. Appena tiepida, ma si avverte. De Agostini (47') impegna con una punizione molto forte l'attento Fiori, poi Zavarov è atterrato in area da Icardi, ma Agnolin si guarda bene dal segnalare l'infrazione. L'arbitro sarà più oculato più tardi, al 53', quando assegna il penalty perché Monti trattiene Barros per la maglia. De Agostini è il giustiziere e il match torna in equilibrio. A nulla serviranno i tentativi sull'uno e sull'altro fronte: l'ultimo è di Gregucci che di testa spedisce di poco a lato. Le impressioni non sono positive, per evidenti ragioni obiettive ed anche perché troppa è la differenza fra i volti mostrati dalla Signora nel breve volgere di quattro giorni. Una bottiglia di champagne in coppa, una bottiglia di barbera ieri. Ma neppure «doc».
Fonte: La Stampa