Nostini Renzo

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Renzo Nostini

Presidente Generale della Polisportiva Lazio, nato a Roma il 27 maggio 1914 ed ivi deceduto il 30 settembre 2005.

Renzo Nostini è stato lo sportivo più poliedrico e completo della storia della Lazio e uno dei suoi massimi dirigenti. Laureato in Ingegneria è stato presidente dell'Assistal. Avviato giovanissimo alla scherma nella palestra del Maestro Fabrizi insieme a suo fratello maggiore Giuliano, dimostrò fin da subito la sua predisposizione per lo sport. Contemporaneamente alla scherma cominciò a praticare il nuoto nella piccola società Urbe et Farfa e da qui fu subito prelevato e iscritto alla sezione natatoria della Polisportiva grazie all'intuito di Olindo Bitetti. Nel nuoto ha vinto numerosi titoli italiani nelle staffette e poi ha giocato a pallanuoto nella Lazio in Serie A. I suoi successi più prestigiosi li ha ottenuti, senza alcun dubbio, nella scherma. Specialista del fioretto e della sciabola, ha gareggiato fino al 1957 ottenendo i seguenti risultati: 7 titoli mondiali tra il 1937 e il 1955 e precisamente nel fioretto individuale 1950, fioretto a squadre (1937, 1938, 1949, 1955), sciabola a squadre 1949 e 1950. Quattro medaglie d'argento ai giochi olimpici nel fioretto e nella sciabola a squadre nel 1948 e 1952. Sette medaglie d'argento ai campionati mondiali. Due medaglie d'oro, una d'argento ed una di bronzo ai campionati mondiali universitari e molti titoli italiani a squadre mentre, nel 1953, ha vinto il titolo individuale di fioretto. Nel 1936 fu selezionato per le Olimpiadi di Berlino per il Pentathlon ma, pur essendo nettamente il più forte, fu escluso dal regime fascista perché non militare. Ha giocato nella Serie A di Rugby nelle file della Rugby Roma. Come dirigente è stato presidente, dal 1950 alla sua morte, della Lazio Nuoto e presidente della Rugby Roma e vice presidente della F.I.R. Nel 1947 fu presidente del C.U.S.I. Nel 1959 fece parte del Comitato di Gestione della F.I.S. di cui sarà Presidente per 32 anni dal 1961 al 1993. Dal 1970 è Membro d'onore della Federazione Internazionale della Scherma. Membro di giunta esecutiva del C.O.N.I. nel 1965 e nel 1967 Vicepresidente del C.O.N.I. Presidente Onorario del C.O.N.I. Non è possibile elencare tutte le onorificenze di cui fu insignito ma le più importanti sono: Medaglia d'Oro al Valore Atletico, Stella d'Oro al Merito Sportivo, nel 1984 il C.I.O. lo insignisce dell'Ordine Olimpico d'Argento e nel 2005 il presidente della Repubblica italiana gli concede il Collare d'Oro al Merito Sportivo. Renzo Nostini è stato a lungo Presidente Generale della S.S. Lazio. Egli ha incarnato in pieno quegli ideali di passione, lealtà, sportività e sano agonismo che furono i fondamenti della nascita stessa della Società biancoceleste.

A tal proposito è utile leggere ciò che Nostini scrisse prima della sua scomparsa: "E' più difficile descriverla che sentirla la Lazialità: è signorilità non di carattere esteriore, è cosa che si sente dentro, della quale ci si sente orgogliosi. E' un messaggio che tocca i cuori, la mente, la sensibilità e ci innalza verso il cielo, è un messaggio di costume di vita e quindi incide nel comportamento quotidiano di ciascuno di noi. E' importante dimostrarla in ogni occasione, nei campi di gioco e nella vita."

Intervistato dal Corriere della Sera il 26 maggio 2004 così descrisse la sua carriera:

Se ne accorse quasi alla soglia dei 40 anni, casualmente: «Mi serviva un certificato e all'anagrafe scoprii di essere nato il primo giugno 1914. Invece sono venuto al mondo il 27 maggio di quell'anno... Come fin lì avevano riportato il passaporto e la patente. Un macello: dovetti spiegare che era un innocente errore dei miei genitori». Ma non tutto il male vien per nuocere. Così Renzo Nostini, ingegnere, presidente onorario del Coni, laziale nel cuore, a capo della federscherma per 34 stagioni, signore delle lame ma anche eccellente nuotatore, pallanotista e pentatleta, oltre che rugbista di valore in ossequio a una polivalenza irripetibile, si ritrova puntualmente a festeggiare due volte l'anniversario. Il prossimo, domani, sarà speciale: «Compio 90 anni e ripenso a quando, da giovane, guardavo certi vegliardi e li giudicavo dei rintronati. Forse oggi appartengo a mia volta alla categoria, anche se non mi paura: faccio quello che già facevo a 80 o a 70 anni, seppure con giudizio. Est modus in rebus, diceva Orazio...». Irruente, ruvido, battagliero, ma anche rigoroso e galantuomo, il Grande Vecchio che legge ancora ad occhio nudo e che d'estate non si nega delle nuotate, ha accettato di aprire lo scrigno dei ricordi. Pure questi da affrontare con coraggio perché, brutti o belli che siano, sono un po' le cicatrici dell'anima: ciò che è stato triste ti segna, ciò che è stato bello ti procura inevitabili rimpianti. Presidente Nostini, c'è una frase che racchiude la sua poliedrica esperienza? «Questa: nello sport si può fare tutto. Sono conosciuto per la scherma, ma sono stato pure primatista nel nuoto, nelle staffette 5x50 e 5x100: ho ancora i diplomi che mi consegnò Mussolini». Lo sport di oggi è differente da quello che lei visse da protagonista. Si allinea ai nostalgici del tempo che fu? «Lo sport di oggi può piacere ugualmente, ma il nostro spirito era un altro: non gareggiavamo con l'obiettivo di incassare; io non ho mai preso un soldo per le mie vittorie». Sarebbe milionario... «Non più di tanto. Sono stato uno degli schermidori più buggerati della storia. Al Mondiale del Cairo, nella finale del fioretto, mi rubarono tre stoccate: uscendo dalla sala, il presidente di giuria lo ammise. E all'Olimpiade di Londra, nella finale a squadre, sul 4-4 con i moschettieri francesi, l'assalto decisivo fu fermato. Dopo secondi interminabili, l'arbitro disse che avevo preso la stoccata: era un inglese, ma seppi che aveva studiato a Parigi...». Quattro medaglie d'argento a squadre in due edizioni, 1948 e 1952: le manca la vittoria olimpica? «Certo: mi pare di essere stato un atleta a metà. A Londra crollai anche perché avevo mangiato solo un uovo e una pera: quasi svenivo. Il medico non s'era curato della nostra alimentazione». Però la storia di Renzo Nostini è finita addirittura nell'Enciclopedia Treccani. «D'acchito, con rispetto parlando della Treccani, mi viene da affermare chissenefrega dell'enciclopedia. Ma, sotto sotto, mi ha fatto piacere». Lei era il Grande Dittatore... «Però questo despota, dal 1960, ha rifatto la scherma italiana puntando sui giovani. Solo un dittatore può permettersi certe cose». Dove cominciano i suoi ricordi? «Da uno in particolare. Sala d'armi del maresciallo Fabrizi, cavalier Luigi: si, era scritto proprio così, all'ingresso. Ebbene, Fabrizi mi fece mettere in guardia, mi fece assumere le posizioni fondamentali. A quel punto mi disse: Sei diventato uno schermidore e anche un gentiluomo. Quando la racconto, rivivo la scena. E mi scappa da ridere. Rammento poi la sera in cui, dopo infinite sconfitte in allenamento, superai Giulio Gaudini, gigante di 2,02, un mio idolo. Gli dissi: Mo' vado a dirlo alla radio. Ma era una bufala. Dopo la Guerra, nove anni dopo, ci ritrovammo in via Condotti. Mi invitò a incrociare le lame nella sua sala: vinse lui. Mi disse: Mo' vallo a dire alla radio...». Com'è stato il rapporto con suo fratello maggiore Giuliano? «Ottimo. Era un Nostini pure lui, di carattere: se non avessimo avuto la stessa madre, avrei detto che era un... figlio di buona donna. Giuliano, mancino, era intelligente: cominciammo a tirare in casa, con grucce di legno rubate dagli armadi. Diventati schermidori, lui per un po' fece valere la superiore forza fisica. Avevamo un patto, nelle gare importanti: se ci fossimo affrontati, io avrei dovuto cedere subito per farlo arrivare fresco alla finale. Ma a una selezione per i Mondiali, l'accordo saltò. Gli dissi di stare attento, di non fare sceneggiate, di non urlare per condizionare l'arbitro. Vinsi io. A casa mi apostrofò: La prossima volta urlo quanto mi pare. Si dice: lei ha sposato la scherma, ma altre discipline sono state sue amanti. Come le mettiamo in ordine? «Prima il nuoto, che mi ha regalato anche una moglie, poi la pallanuoto, il pentathlon e il rugby. E ho gareggiato pure nello sci». Dal pentathlon un'altra delusione. Correva l'anno 1936, vigilia dei Giochi di Berlino... «Delusione? Una beffa atroce. Avrei potuto partecipare all'Olimpiade sia nella scherma, sia nel pentathlon: mi chiesero di iscrivermi in quest'ultima disciplina. Ma poi vennero mandati solo tre militari; io, borghese, rimasi a casa. Il tedesco che vinse, nel nuoto impiegò quasi venti secondi in più dei miei tempi». Anche l'unico titolo del mondo individuale, a Montecarlo nel 1950 e nel fioretto, fu un po' amaro. «Vero. Quando mi toccò l'ultimo assalto, avevo già vinto. Dovetti però ugualmente salire in pedana e persi. Mi è mancato il brivido della stoccata decisiva e vincente: alla sera riflettei che ero finalmente diventato campione, ma non sapevo quando e come». Meglio il Nostini atleta o il Nostini dirigente? «Il dirigente. Creai la Fisu, che poi Nebiolo trasformò nel pianeta dell'Universiade, e al Mondiale universitario '47, a Parigi, riuscii a impedire che gli atleti triestini sfilassero davanti alla bandiera della città anziché a quella italiana. Il mio segretario, vinta la battaglia, si mise a cantare Giovinezza: dovetti zittirlo». Rospi rimasti in gola? «Uno solo: secondo voi, uno come me non doveva fare il presidente del Coni?...». Con l'ex c.t. Fini ha dato vita a una coppia proverbiale per i successi. «Ci completavamo a vicenda. Eravamo un po' ... marito e moglie». A 90 anni, il futuro le allarga il cuore o le va stretto? «Mi va stretto: non ho più le caratteristiche per fare ciò che vorrei».



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