La guerra in Italia smembra la Lazio
Domenica 25 aprile 1943. Si gioca l'ultima giornata di campionato che vede i biancazzurri impegnati in casa contro l'Atalanta. La gara finisce 3-2 per la Lazio, ma gli animi e le menti sono rivolti altrove. L'Italia sta perdendo la guerra e le prime truppe tedesche scese dal Brennero si affacciano a Roma e nelle altre città della penisola. Centinaia di militari italiani sono caduti al fronte o fatti prigionieri. Non c'è una famiglia in Italia che non abbia avuto un lutto. La sensazione che l'ecatombe si stia avvicinando è sentore di tanti. Sei giorni prima il ghetto ebraico di Varsavia è insorto. Sarà una strage di innocenti. L'11 giugno gli anglo-americani sbarcano a Lampedusa, Pantelleria ed in Sicilia mentre il 19 luglio la capitale è devastata dai bombardamenti sui quartieri San Lorenzo, Prenestino, Labicano, Tiburtino. Sarà un strage di civili.
In questo tragico contesto molti giocatori della Lazio non romani cercano rifugio dove possono, allontanandosi dalla capitale con ogni mezzo, e cercando di raggiungere le città natie. Luciano Ramella si stabilisce al Nord dalle parti del Lago di Como (indosserà la maglia dei lariani tra il 1944 e 1945). Uber Gradella si trasferisce a Biella, dove vi rimarrà per i mesi a seguire fino alla liberazione. Aldo Puccinelli si rifugia in Toscana per essere vicino alla famiglia, mentre Emilio Siena va in Umbria nel folignate. Alcuni giocatori indossano la divisa militare come Alfredo Monza che si trova nella zona di Cremona. Così come l'altro militare Alessandro Ferri che presta servizio a Taranto. Silvio Piola si rifugia a Torino dove trova da giocare vestendo la maglia del Torino Fiat. L'11 gennaio 1945 si diffonde nelle zone liberate del sud Italia, per opera del giornalista Eugenio Danese, la notizia della morte del calciatore, vittima di un bombardamento sulla città di Milano; per circa quattro mesi si tennero messe in suffragio e si susseguirono conferme e smentite, fino a quando la notizia non fu smentita ufficialmente da Nuovo Sport, il 20 maggio.
Ma il viaggio più eclatante ed avventuroso è quella dei fratelli Pisa, assieme a Enrico Flamini e Alberto Fazio. Avendo tutti passaporto argentino (oltre a quello italiano) riescono probabilmente ad arrivare a Genova dove trovano un imbarco su una nave che li porta a Barcellona navigando sottocosta lontano dai sommergibili alleati. La rotta Genova-Barcellona è la più sicura di tutte perché costeggia la Francia occupata dai nazisti ed evita il mare aperto mentre è un suicidio partire da Livorno o Napoli o magari cercare di attraversare le bocche di Bonifacio ormai pattugliate dalle navi angloamericane. Da qui, dopo aver inutilmente cercato un ingaggio nelle due squadre catalane Espanyol e Barcellona (forse perché oriundi italiani, in una regione, la Catalogna, antifascista e avversa al caudillo Franco o forse per evitare qualsiasi problema sempre di natura politica,) riescono a tornare in Argentina con una nave probabilmente partita dal Portogallo (è praticamente impossibile navigare per lo stretto di Gibilterra). Arriveranno dopo molti mesi sani e salvi.
A Roma, invece, per chi è rimasto, la situazione non è rosea. Dopo l'armistizio dell'8 settembre la città viene occupata dai tedeschi che per oltre 9 mesi attuano una repressione totale costringendo la città alla fame e alla paura. Emblematico è l'episodio che vede Edoardo Valenti il quale, insieme ai compagni di squadra Amedeo Rega e Aldo De Pierro, viene fermato dai militari tedeschi dopo l'attentato di Via Rasella e liberato solo dopo aver dimostrato l'appartenenza ad una squadra come giocatore professionista. Per poco non sono mandati alle Fosse Ardeatine assieme ad altri fermati.
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