Inchiesta giudiziaria sulla scalata alla Lazio da parte della camorra
Un tentativo di acquisto della società biancoceleste fu fatto con fondi del clan dei Casalesi, anche con atti violenti e intimidazioni mafiose: è l'ipotesi su cui si basano dieci ordinanze di custodia cautelare per riciclaggio emesse dalla magistratura di Roma, fra gli altri anche per l'ex capitano e bandiera della Lazio Giorgio Chinaglia, tuttora latitante. Chinaglia era già stato raggiunto da un ordine di arresto due anni fa nell'ambito di una prima inchiesta sulla presunta scalata da parte di un fantomatico gruppo industriale ungherese.
Il 22 luglio 2008 furono eseguiti 7 arresti, mentre tre sfuggirono alla cattura e il sequestro di due milioni di euro, parte del denaro che il clan dei Casalesi aveva "investito" per la scalata della società S.S. Lazio. Questo fu il bilancio dell'operazione "Broken Wings", svolta dalla Guardia di finanza e dalla Digos di Roma. L'obiettivo del potente clan di Casal di Principe era quello di entrare nel mondo del calcio, nel salotto buono della Serie A italiana. Per questo i Casalesi avevano messo su un meccanismo che operava su due livelli e che coinvolgeva anche dei professionisti. Da un lato la camorra dell'area casertana riciclava il denaro proveniente da attività illecite per scalare il titolo del club capitolino, e dall'altro coinvolgeva figure carismatiche del club, come Giorgio Chinaglia, per "preparare la piazza all'arrivo di fantomatici nuovi acquirenti".
Ruolo attivo anche per alcune frangie ultrà del tifo biancoceleste che, a più riprese, nel corso del 2005, misero in atto contestazioni alla gestione societaria del presidente Claudio Lotito giungendo anche a minacciarlo con tentativi di estorsione sui quali è attualmente in corso il processo di primo grado. In tutto furono 10 le ordinanze emesse per riciclaggio dal Gip del tribunale di Roma, Guglielmo Montoni: di queste, al momento dell'esecuzione, tre non furono eseguite. Risultavano latitanti oltre a Giorgio Chinaglia anche Zoltan Zlivas, cittadino ungherese, e un terzo uomo di cui però gli inquirenti non hanno rivelato il nome.
Un provvedimento riguarda Giuseppe Diana, attualmente in regime di 41 bis nel carcere di Opera a Milano, considerato organico al clan La Torre dei Casalesi. In manette finirono Guido Di Cosimo, luogotenente romano dei Casalesi, il commercialista Errico Bruno, il bancario Mario Pascolino, l'avvocato Arturo Ceccherini, Giancarlo Benedetti e Giuseppe Bellantonio.