VII^ Coppa Rimet - Cile 1962

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Stagione

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Storia della competizione[modifica | modifica sorgente]

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Il calcio europeo, colpito in casa dall’affermazione in Svezia del Brasile, prepara la rivincita in vista della successiva edizione, in programma in Cile. Nel 1959 prende il via il Campionato Europeo per nazioni, snobbato dalla maggior parte delle squadre principali e vinto, a Parigi, dall’URSS, davanti ad un esiguo numero di spettatori, che sembrano sancirne il precoce fallimento. I sovietici sono dunque una delle squadre favorite, alla vigilia. Oltre a loro la Germania Ovest e ovviamente i campioni in carica del Brasile. Nelle qualificazioni, invece, cade a sorpresa la Francia, semifinalista quattro anni prima. Ai galletti è fatale lo spareggio contro la Bulgaria, all’esordio. Allo spareggio si ferma anche la corsa della Svezia, vicecampione in carica, che ormai ha salutato la propria generazione d’oro e lascia strada alla Svizzera. Faticano anche Cecoslovacchia e Spagna. I primi vittoriosi solo ai supplementari con la Scozia, i secondi che hanno la meglio sul Marocco di misura. Questi mondiali, comunque, segnano un nuovo record di partecipanti, salite a cinquantasette, con molte africane al via, a simboleggiare l’ormai chiara universalità del calcio.

E l’Italia? Dopo l’umiliante eliminazione dall’edizione precedente, gli azzurri restano in una fase burrascosa. Le qualificazioni si rivelano una passeggiata, vista la rinuncia della Romania. L’unico ostacolo, se così si può definirlo, è Israele, battuto con un punteggio totale di dieci a due. Nel frattempo si avvicendano i commissari tecnici, tra i quali anche Herrera, che però dura poco, finendo poi per guidare la nazionale spagnola. Ai mondiali, dunque, sulla panchina si siede il presidente della SPAL, Mazza. Non è il modo migliore di preparare una manifestazione iridata e i risultati lo dimostreranno.

Gli azzurri, inseriti nel girone dei padroni di casa, fanno di tutto per complicarsi la vita, non aiutati da un clima di odio creato ad arte dalla stampa locale. All’esordio, pur schierandosi con gente del calibro di Rivera, Altafini e Sivori, si preferisce puntare su uno striminzito 0-0 contro la Germania Ovest. La gara coi cileni, dunque, diventa decisiva e si trasforma presto in una rissa che l’arbitro inglese Aston, l’inventore dei cartellini, decide di gestire a senso unico, punendo gli italiani al minimo fallo e permettendo ai sudamericani entrate da codice penale. Finiamo sotto di due uomini e di un gol e diamo l’addio anticipato al mondiale. Inutile la vittoria finale con la Svizzera. Negli altri gironi il Brasile si impone davanti a Cecoslovacchia e Spagna, pur perdendo Pelé proprio dopo la sfida coi boemi. Ad aiutarlo, nella decisiva vittoria sulla Spagna, ci pensa l’arbitro, annullando il raddoppio spagnolo, prima del ribaltone firmato da Amarildo, la riserva di O Rei. L’URSS si complica la vita con la Colombia, facendosi rimontare fino al 4-4 finale, ma alla fine vince il girone davanti alla Jugoslavia. L’Europa fa il pieno anche nell’ultimo raggruppamento, vinto dall’Ungheria, agli ultimi fuochi, davanti all’Inghilterra, che prevale sulla deludente Argentina per la differenza reti, grazie al 3-1 nello scontro diretto.

Privo del suo astro più luminoso, Pelé, il Brasile ha trovato in Amarildo un sostituto, se non alla pari, almeno in grado di rimpiazzarlo onorevolmente. L’accoppiamento dei quarti, contro la solida Inghilterra, però, sembra fatto apposta per mettere alla prova i campioni del mondo, apparsi fin qui decisamente meno incisivi di quattro anni prima. In effetti l’Inghilterra tiene un tempo, ma tutta la partita è un assolo di un unico fuoriclasse. Garrincha, infatti, decide che è il momento di prendersi sulle spalle la squadra e taglia ripetutamente a fette la difesa avversaria. È un giorno difficile da dimenticare, per Wilson, il terzino sinistro inglese. Il risultato finale parla chiaro: 3-1 per i verdeoro, con doppietta di Garrincha e sigillo di Vavá su assist sempre dello scatenato “Mané”. L’Ungheria, sorpresa della prima fase, vive un’altra delusione, beffata dalla Cecoslovacchia dopo aver dominato a lungo, frenata soprattutto dalle parate del portiere Schrojf. Il gol partita è di Scherer, in contropiede. Cade la Germania, superata nel finale dalla Jugoslavia, con un gol del mediano Radakovic, mentre il Cile continua a farsi strada a “spinte”. Contro la favorita URSS non sembra esserci storia, se non fosse che il portiere Jascin viene colpito a tradimento nei minuti iniziali e, costretto a restare in campo, subisce due gol evitabilissimi. Cislenko riesce solo a pareggiare il primo e i padroni di casa festeggiano un traguardo nemmeno immaginato, alla vigilia. Il Sudamerica festeggia. Le due formazioni locali qualificate ai quarti resistono e riequilibrano la situazione.

I due derby di semifinale regalano la certezza di una finalissima intercontinentale e fanno sì che la cavalcata del Cile termini onorevolmente, al cospetto dei campioni in carica. Lo stadio Nacional di Santiago è un catino ribollente di passione, ma il Brasile, e soprattutto Garrincha, non si fanno intimorire. Alla mezzora, infatti, il “passero” ha già colpito due volte. I cileni, che sembrano incapaci di reagire, si svegliano allo scadere grazie ad una splendida punizione di Toro, che riapre la gara. Nella ripresa l’arbitro da una mano ai giocatori di casa, non assegnando un rigore a Garrincha, ma ci pensa Vavá a riportare a due i gol di vantaggio. Un rigore generoso, trasformato da Sánchez, riaccende l’entusiasmo, ma è l’ultima illusione, perché ancora Vavá chiude i conti. Almeno per quanto riguarda il risultato, perché nei minuti finali Garrincha è fatto oggetto di una caccia all’uomo che si conclude con l’espulsione del killer Landa e dello stesso esterno destro, per reazione. Mentre esce dal campo, per di più, viene colpito da un sasso lanciato dagli spalti, che gli causa una ferita alla testa, ma la ferita più grave sembra essere l’impossibilità a giocare la finale. Sembra, però. A Viña del Mar, intanto, la Cecoslovacchia mette a frutto la sua maggiore tenuta atletica per avere la meglio sulla più tecnica Jugoslavia. Jerkovic, uno dei capocannonieri del torneo, riesce solo ad annullare il primo vantaggio, ma la doppietta di Scherer nel finale risulta fatale. Gli slavi perderanno poi anche il terzo posto, al novantesimo, contro i più motivati cileni. All’atto conclusivo, dunque, si ritrovano Brasile e Cecoslovacchia, già affrontatesi nella prima fase, in una gara terminata a reti bianche, mentre

Dal punto di vista tecnico la finale sembra una gara senza storia, ma solo otto anni prima la Germania aveva dimostrato che al termine di un torneo intenso come il mondiale le energie fisiche possono colmare il gap. Ed in effetti la Cecoslovacchia è sembrata in crescendo, capace di battere due formazioni superiori come Ungheria e Jugoslavia. Il Brasile, dal canto suo, rinuncia ancora a Pelé, che chiedeva a gran voce di giocare, ma recupera incredibilmente Garrincha, espulso in semifinale. Grazie a pressioni politiche, infatti, il governo brasiliano finisce per convincere i boemi a chiedere pubblicamente che Garrincha potesse essere in campo. Un modo come un altro per rendere ulteriormente poco credibile il torneo cileno. Nei primi minuti di gara, comunque, la Cecoslovacchia sembra talmente padrona del campo da rendere il bel gesto ininfluente. In effetti Garrincha finirà per incidere poco sul risultato, ben controllato dal terzino sinistro Novak. La partenza all’assalto degli avversari coglie di sorpresa i brasiliani, che al quarto d’ora si ritrovano sotto di un gol. Lo firma Masopust, futuro Pallone d’oro, con un rasoterra ravvicinato che non lascia scampo a Gilmar. A far svanire il sogno dell’impresa ci pensa Amarildo, degno sostituto del re Pelé, con un diagonale dalla linea di fondo che trova impreparato il fin qui impeccabile Schrojf. La svolta arriva a metà ripresa. Cross dalla sinistra di un incontenibile Amarildo e colpo di testa vincente del mediano Zito, complice la mancata uscita del portiere boemo. A questo punto per il Brasile la strada è in discesa e prima del traguardo c’è pure il tempo per il terzo gol, a firma del solito Vavá, che ribadisce in rete un pallone sfuggito alla presa di uno Schrojf ormai in confusione. Un mondiale pieno di polemiche e di gioco violento si conclude col successo del Brasile meno spettacolare di sempre. Quanto basta per il bis, comunque, e per eguagliare l’Italia, unica ad aver vinto due edizioni di seguito.

“Garrincha” - Condizionato fin dall’infanzia da una malformazione fisica che lo costringe alla zoppìa, il piccolo Manè, invece di rassegnarsi ad una vita di stenti, riesce a sfruttare la propria debolezza per diventare il miglior dribblatore della storia del calcio. Il soprannome di “Garrincha”, un piccolo uccello tropicale, arriva come conseguenza inevitabile, per quello scricciolo che con la maglia del Botafogo sale alla ribalta internazionale conquistandosi la nazionale. Presente già nel 1958, il “suo” mondiale è però quello cileno, nel quale in assenza di Pelé si trasforma in uomo simbolo della squadra. Sarà presente anche quattro anni dopo, ma ormai in fase discendente, complice una relazione extraconiugale che lo porterà a perdere tutte le ricchezze accumulate col suo talento e a cadere preda del demone dell’alcol. Fino alla morte, arrivata nel 1983 a 50 anni.