Sabato 30 dicembre 1989 - Roma, stadio Flaminio - Lazio-Napoli 3-0

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30 dicembre 1989 - 2436 - Campionato di Serie A 1989/90 - XVII giornata

LAZIO: Fiori, Bergodi, Sergio (84' Beruatto), Icardi, Gregucci, Soldà, Di Canio, Troglio, Amarildo, Pin G., Bertoni (87' Piscedda). A disp. Orsi, Nardecchia, Monti. All. Materazzi.

NAPOLI: Di Fusco, Ferrara (46' Carnevale), Francini, Crippa, Alemao, Baroni, Fusi, De Napoli, Careca, Maradona, Mauro. A disp. Giuliani, Corradini, Renica, Zola. All. Bigon.

Arbitro: Agnolin (Bassano del Grappa).

Marcatori: 36' Amarildo, 77' Pin, 81' Amarildo.

Note: ammoniti al 6' Di Canio, 43' Careca, 44' Icardi, 82' Amarildo.

Spettatori: paganti 10.818, incasso 383.195.000 lire; abbonati 6.716, quota abbonati 293.020.000.

La curva laziale
La curva laziale
Il biglietto in "Curva Nord"
Fiori para a terra
Maradona contrastato da Icardi
Maradona marcato stretto dai difensori laziali
La prima rete di Amarildo
La rete di Pin
La seconda rete di Amarildo

Schiaffeggiato da tre gol, due pali e tanto gioco, il Napoli chiude il 1989 con la prima sconfitta inchinandosi alla Lazio e a un campionato al quale finora aveva succhiato troppi punti immeritati. E' il trionfo degli allenatori che sanno dare un'impronta alle loro squadre: l'Inter di Trapattoni dimezza lo svantaggio dalla capolista senza schemi del gentile Bigon e aspetta di essere raggiunta dal Milan di Sacchi, che dopo la vittoria di Bari è atteso mercoledì prossimo da un recupero comodo, almeno in teoria, contro il disastrato Verona. Perde invece l'ennesimo tram la Sampdoria dell'indefinibile Boskov, bloccata sul pari a Marassi dalla Cremonese, mentre regge la botta la Roma del fiero Radice, capace di uscire indenne da Bologna nonostante l'agghiacciante disavventura cardiaca del povero Manfredonia.

Nel ristretto manipolo dei tecnici vincenti entra, per una volta, Pippo Materazzi. Da tempo si sospettava che la sua Lazio fosse una Formula 1 con il freno a mano tirato. A un certo punto deve essersene accorto anche lui ed è allora che ha visto la luce la teoria del «quattro con»: mai più in campo senza un poker di giocatori votati all'offensiva, proclamò Pippo un paio di settimane fa. E arrivò la vittoria di Udine. Il forfait di Sosa faceva però temere che, di fronte al blasone della banda Maradona, Materazzi tornasse ai suoi antichi amori, sostituendo l'uruguayano con un difensore. Quando l'altoparlante ha annunciato che la scelta dell'allenatore era invece caduta su Bertoni, si è cominciato a capire che per il Napoli non ci sarebbe stato scampo. Per il quarto anno consecutivo il panettone è risultato indigesto ai partenopei, sempre sconfitti nella partita post-natalizia. Ma in questo caso il rilievo statistico è una semplice curiosità: non serve infatti scomodare la cabala per dare ragione di una figuraccia attesa da mesi. Il primato del Napoli nasceva da un improvvisato cocktail fra talento, carattere e fortuna. Venuto meno il terzo ingrediente, la squadra si è ritrovata alle prese con il suo problema di sempre: la cronica latitanza di un collettivo assistito da giocate non estemporanee. Non sappiamo se la colpa sia di Bigon, che non sa insegnare gli schemi, o dei giocatori, che non riescono ad assimilarli. Resta il fatto che il campo restituisce l'immagine di una squadra fragile e senza idee, dove non tutti gli uomini vengono utilizzati al posto giusto né tutti gli uomini giusti vengono utilizzati. La difesa continua a patire il misterioso malanno di Renica, che sta abbastanza bene per andare in panchina ma non per giocare.

Già priva di un pilastro, la retroguardia di Bigon ha dovuto rinunciare anche a quell'altro rappresentato dal portiere Giuliani. Ora, questo Giuliani non sarà un fenomeno, ma se Di Fusco gli ha fatto per anni da riserva, una ragione dovrà pur esserci. Di Fusco non ha colpe gravissime sui tre gol di ieri, ma la sua incertezza, affiorata in una serie di respinte tremebonde, ha condizionato l'intero reparto. In mezzo al campo zufolava calcio il sublime Maradona, una centrale elettrica in grado di illuminare qualunque pallone. Purtroppo i suoi passaggi finivano sui piedoni decotti di De Napoli o venivano strozzati dalle tortuose giocate di Alemao e Mauro. A conferma della povertà organizzativa dei napoletani, le uniche occasioni da gol nascevano dai calci piazzati del solito Dieguito, che in un paio di occasioni (40' e 55') pescava senza fortuna la testa di Careca in mezzo all'area e un'altra volta (70') obbligava Fiori ad estrarre una grande parata dal suo repertorio di campioncino in erba. La Lazio ha sempre avuto fra le mani le redini dell'incontro, affidandole all'estro di Di Canio, reincarnazione di Franco Causio. Da un sublime disimpegno del giovane fuoriclasse nasceva al 36' il tiro con cui Bergodi spellava i guanti di Di Fusco: il pallone rimbalzava verso quel sornione di Amarildo, che lo sospingeva in gol. Dopo una palombella da cineteca di Di Canio, respinta dalla traversa, arrivava il secondo tempo e, con esso, l'apoteosi laziale. Su un Napoli stordito infierivano i contropiede lucidissimi di Pin e Amarildo, che suggellavano il 3-0 finale. E solo il palo negava a Troglio il poker.

Fonte: La Stampa