Sabato 1 novembre 1997 - Roma, stadio Olimpico - Roma-Lazio 1-3

Da LazioWiki.

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1 novembre 1997 - 2.754 - Campionato di Serie A 1997/98 - VII giornata

ROMA: Konsel, Cafu, Gomez (82' Paulo Sergio), Servidei, Candela, Tommasi, Di Biagio, Di Francesco (65' Vagner), Gautieri (57' Delvecchio), Balbo, Totti. A disposizione: Chimenti, Pivotto, Scapolo, Helguera. Allenatore: Zeman.

LAZIO: Marchegiani, Pancaro, Nesta, G.Lopez, Favalli, Fuser, Almeyda (22' Negro), Jugovic (84' Venturin), Nedved, R.Mancini (73' Marcolin), Casiraghi. A disposizione: Ballotta, Grandoni, Rambaudi, Signori. Allenatore: Eriksson.

Arbitro: Sig. Collina (Viareggio).

Marcatori: 47' R.Mancini, 57' Casiraghi, 84' Nedved, 91' Delvecchio.

Note: espulsi al 7' Favalli per gioco violento e al 90' Di Biagio per doppia ammonizione. Ammoniti Pancaro, Negro, Balbo, Servidei e Candela per gioco scorretto, Nesta per comportamento non regolamentare. Calci d'angolo: 4-3. Come si evince dal biglietto della gara, l'incontro era stato pianificato per il 26 ottobre ma poi fu disputato il sabato seguente.

Spettatori: 73.121 per un incasso di lire 3.040.801.000 (paganti 38.419 per un incasso di lire 2.146.401.000, abbonati 34.702 per una quota di lire 894.400.000).

Roberto Mancini si incunea nell'area giallorossa...
... e scocca il tiro del vantaggio biancoceleste...
... che si insacca sotto il sette alla sinistra del portiere romanista
L'abbraccio di Alessandro Nesta all'ex doriano
Pierluigi Casiraghi in contropiede fallisce il raddoppio
Roberto Mancini serve l'assist a Pierluigi Casiraghi...
... che colpisce la sfera in acrobazia ed insacca a fil di palo
Giuseppe Signori abbraccia l'attaccante biancoceleste
L'esultanza della panchina laziale al raddoppio
L'azione del terzo goal della Lazio
Pavel Nedved scocca il tiro vincente
Un altro fotogramma della rete del centrocampista ceco
La rete giallorossa
Un momento dell'incontro
Lazialità di agosto 1998
Lazialità di agosto 1998
Il biglietto in "Curva Nord" (giallo)
Il biglietto in "OSPITI Distinti Nord" (blu)
Il biglietto in "Distinti Nord" (arancione)

Lezione di calcio all'ex Zeman nella stracittadina n. 109. Tre schiaffoni ricevuti sprecando per oltre 80', l'uomo in più; un disastro della Roma zemaniana sotto i colpi della banda Mancini, dopo un breve disorientamento determinato dall'espulsione di Favalli. I giallorossi partono sparati, quasi rovesciati sul campo, con Balbo attivato da suggeritore per Tommasi. All'8' il centrocampista giallorosso scatta nello spazio spalancato in verticale e Favalli lo butta giù, scavalcato dal dribbling d'avvicinamento a Marchegiani. Collina non può chiudere gli occhi: cartellino rosso, spinte, proteste biancocelesti inutili. Eriksson in panchina pare irrigidito, Jugovic scala al posto di Favalli a coprire; un quarto d'ora di shock prima di far entrare Negro togliendo Almeyda. Nedved e soprattutto Pancaro, che già ammonito sarebbe da cacciare per una volontaria gomitata al volto dell'arrembante Tommasi picchiano duro per non soccombere. I romanisti cadono nella trappola, senza dimenticare una vulnerabilità difensiva fissata dagli stralunati Gomez e Servidei, veramente inguardabili.

La Roma si porta avanti con Tommasi che anticipa su Nedved, dopo una difficoltosa respinta a pugni di Marchegiani, ma non conclude nulla. Nell'intervallo, i ragazzi di Eriksson scoprono di possedere la grinta necessaria per proseguire senza patemi, grazie al caro vecchio contropiede. L'ingranaggio di Zeman s'è inceppato, privo di scorciatoie risolutive, abbandonato nella lotta dai velleitari Totti e Balbo, campioni delle partite facili. Al 47' Casiraghi riceve l'alleggerimento e passa a Mancini, che si beve in slalom tanto Servidei quanto Tommasi, fiondando il destro imparabile quasi sotto l'incrocio dei pali. Nulla da fare per Konsel. La Roma ricomincia a testa bassa, offrendosi ad altri immediati capovolgimenti di fronte. Al 56' Casiraghi, catapultato verso Konsel, che gli restringe la visuale e para. Il coraggio del portiere rinvia di pochi secondi la rete del raddoppio: fuga e cross "alla Mancio" da un versante all'altro e Casiraghi azzecca il tiro al volo nell'angolo.

Sfottò sugli spalti da parte dei tifosi biancazzurri sull'ex allenatore. La Roma è in balia della Lazio e all'84' tocca a Nedved involarsi, uccellando l'uscita di Konsel con il calibrato pallonetto del trionfo. I rimpasti di Zeman accrescono i disagi, salvo dimezzare il risultato con il goal del subentrato Delvecchio, che scalfisce appena la mortificazione pesantissima. E cacciato allo scadere pure Di Biagio, esplode la strameritata festa dei tifosi biancazzurri.


La Gazzetta dello Sport titola: "Una Lazio da dieci e lode. Favalli espulso dopo 7 minuti, ma che trionfo nel derby, sconfitta senza attenuanti per Zeman: la Roma è apparsa impotente, nonostante la superiorità numerica. La partita è stata negativamente condizionata da Collina".

Continua la "rosea": Il derby, la partita "uguale a tutte le altre", come dice lui, è proprio indigesto a Zeman. Lo perde senza attenuanti (3-1) all'esordio sulla panchina della Roma proprio come gli era capitato (3-0) all'esordio su quella della Lazio. Da Mazzone a Eriksson, un'autentica lezione. In questo caso resa più significativa dal fatto che per 83 minuti (dal 7' al 90') la Lazio gioca in inferiorità numerica causa (eccessiva) espulsione di Favalli a cura di un Collina (eccessivamente) protagonista. Ma i protagonisti, poi, sono altri: insieme ad Eriksson, Mancini soprattutto, Casiraghi, infine Nedved. Che la Lazio, amnesie a parte, sia da scudetto, lo si dice dall'estate. La Roma no. La Roma, Zeman docet, diverte sempre. In questa circostanza lo fa per un tempo, il primo. Quello sbagliato. Poi a divertirsi è solo la Lazio. Non è il caso, naturalmente, di dubitare delle buone intenzioni di Collina. E' venuto all'Olimpico per tenere in pugno il match ed evidentemente ritiene che chi colpisce per primo (in senso disciplinare) colpisce due volte. Solo che poco ci manca non lo rovini, quando decide (sono appena trascorsi sette minuti) di buttare fuori, tra la sorpresa generale, Favalli. Intendiamoci. Il fallo commesso ai danni di un lanciatissimo Tommasi è molto brutto, anche se, come spiega lo stesso Collina, non da ultimo uomo. Gioco violento, dunque. Ci può stare il giallo, non avrebbe protestato nessuno.

C'è invece il rosso. L'effetto sognato da Collina, di calmare le acque e stemperare gli animi, è completamente disatteso. Accade anzi l'opposto. Inconsciamente certi di avere subito un grave torto, i giocatori della Lazio si prendono la licenza di picchiare a più non posso. E quelli della Roma, naturalmente, non restano a guardare. Così, errore chiama errore. Pancaro sfugge due volte a un rosso sacrosanto, prima per un fallaccio su Totti poi per una proditoria gomitata a Tommasi sotto gli occhi del guardalinee Zuccolini. Servidei rimedia un giallo per un presunto fallo su Casiraghi. E' sbagliata anche questa decisione, perché tra Casiraghi e la porta non c'è altri che Servidei (dunque ci vorrebbe il rosso) e soprattutto perché il fallo è di Casiraghi sullo stopper e non viceversa. Collina ha una sola attenuante. Non lo aiutano i giocatori e non lo aiuta una minoranza stupida delle due curve, fumogeni in campo mirando a Marchegiani (soprattutto) e Konsel. E' comunque il momento migliore della Roma. Eriksson impiega un quarto d'ora prima di correggere in modo felice la squadra, che orfana di Favalli, con Jugovic improbabile terzino e con Pancaro incapace di arginare Totti balla paurosamente. Dentro Negro e fuori Almeyda, dopo le parate di Marchegiani su Di Biagio e Gautieri. Negro va a destra su Totti, Pancaro passa a sinistra su Gautieri mentre Balbo arretrando cerca di sfuggire al controllo di Nesta e Lopez. A metà campo Nedved affronta lo zampillante Tommasi mentre Jugovic passa centrale su Di Biagio e Fuser rimane a duellare con Di Francesco. Eriksson completa le sue mosse felici (e coraggiose, perché in inferiorità numerica dopo 7' ci vuole un certo fegato a non togliere un attaccante) spostando Mancini da destra a sinistra, sulla corsia di Cafu, più temuto come attaccante aggiunto che come difensore puro.

Con Casiraghi alle prese con Servidei e Gomez (balbettante coi piedi ma sicuro di testa, lo spagnolo misterioso) la superiorità numerica della Roma si traduce nel minor danno per la Lazio, la libertà di cui gode Candela. Che comunque appena un minuto dopo la rivoluzione tattica di Eriksson impegna Marchegiani nella parata più difficile. Fin lì, s'intende. Perché se la Lazio ritrova equilibrio e cerca la porta di Konsel con tiri da lontano (Fuser soprattutto) è la Roma, per forza di cose, a fare (fin qui) la partita. Arriva un vero miracolo di Marchegiani su Tommasi. E soprattutto la prima gemma di Mancini, che appostato sul primo palo leva di testa dalla propria porta un corner di Totti destinato al gol. La partita si decide all'inizio della ripresa, quando da Collina-day si trasforma in festa tutta laziale. La sigla è ancora di Mancini, gemma numero due il gol (2'), gemma numero tre, dieci minuti dopo, l'assist per il raddoppio di Casiraghi. Che ci mette del suo (anche per farsi perdonare quel pallone calciato su Konsel un momento prima) con un tiro al volo problematico e micidiale. E la Roma? Liquefatta. Nonostante i cambi tentati da Zeman. Il terzo sigillo di Nedved, il bel colpo di testa di Delvecchio e l'espulsione di Di Biagio sono appendici di fine match.


In un altro articolo è riportato:

Mancini è ritornato ad accendere la luce. Favalli viene espulso, la Lazio è in dieci e quando si gioca in dieci contro undici certe volte si mischiano le carte e spesso si scarta quella dove c'è scritto "fantasista". Così a un certo punto, istintivamente, ci siamo messi a fissare la panchina. Eriksson ha riflettuto qualche minuto, poi ha scelto: dentro Negro, fuori Almeyda. A quel punto Mancini, ex giocatore della Samp, grande inizio con la Lazio, ma anche una discreta frenata nelle partite che hanno preceduto il derby, ha pensato alla parte da interpretare. Non ha fatto soltanto Mancini, ha "fatto" pure la Lazio, non nel senso che è stata tutta sua la partita (ci mancherebbe, se lo sostenessimo saremmo lapidati sul posto da diversa gente, Marchegiani per primo), ma nella capacità di essere davvero il capo (leader sarebbe parola troppo moscia) della sua squadra. Così nel primo tempo si è leccato le ferite, ha impiegato qualche tempo per passare dal piagnisteo davanti a Collina all'orgoglio di chi crede ancora, sfoggiato salvando la sua porta su un pallone pericolosissimo di Totti. Ma dopo l'intervallo ha capito che forse dopo aver fatto la Lazio, bisognava fare Mancini. Quello che tra smorfie, sguardi e la tipica finta indolenza che precede i suoi sprazzi migliori, fa capire che su un campo di pallone si trova come a casa sua.

Per vincere un derby o bisogna stravincere - e non stava capitando alla Lazio, questo è sicuro - o è necessario inventare. Mancini l'ha fatto. Ha inventato il primo gol e i vicoli in cui s'era impantanata la Lazio tramortita dall'espulsione sono diventati d'improvviso autostrade. Ci s'è messo a correre anche Casiraghi, che ha però trovato Konsel a dire qui non si passa. Mancini ci deve aver pensato: non lo merita, non merita di passare per il mangiagol della partita, non lo merita uno che deve pure sbollire tra l'altro l'arrabbiatura di chi con la nazionale se n'è andato addirittura in tribuna le ultime due volte (e io, deve aver pensato ancora il Mancio, di esclusioni azzurre ne so qualcosa). Ecco allora un regalino delizioso, una pennellata su una tela con una frase sospesa nell'aria: ora pensaci tu. Casiraghi ha intascato l'assist e ha risolto da campione. Qualche minuto dopo Eriksson deve aver mandato a memoria la partita nella sua testa. Ha pensato per l'ennesima volta al "suo Mancini", a quel Mancini capace di "fare" la Lazio e di fare Mancini. Stavolta è uscito davvero dal campo. Ma era tutt'altro derby, tutt'altra Lazio e tutt'altro Mancini.


La Repubblica titola: "Incredibilmente Lazio".

L'articolo così prosegue: Verdetto inequivocabile: la Lazio ha un'anima matura, la Roma deve ancora costruirsela, la Lazio ha una testa, la Roma non ancora. Una lezione memorabile, la Lazio l'ha sovrastata con le magie di Mancini mentre la Roma balbettava con il suo centrocampo privo di genio e con Totti affetto da sindrome di derby. E' stata più furba, più astuta, più cinica la squadra di Eriksson, che si è ritrovata in dieci dopo 7' per l'espulsione di Favalli (duro intervento su Tommasi lanciato a rete: espulsione più per violenza che per fallo su ultimo uomo) e ha messo in pratica un sano calcio da combattimento per tutto il primo tempo, per poi colpire nella ripresa con due perfetti contropiede, nei quali la povertà tattica della Roma è apparsa in tutta la sua pochezza. In 11 contro 10 la squadra di Zeman è mancata di una dote essenziale, il coraggio. E' rimasta intimidita sulle sue linee, non riuscendo mai a fare pressione sugli avversari, mai a mettere ansia alla difesa laziale neanche quando non si era ancora riassestata con l'ingresso di Negro. Povera Roma, grandemente ridimensionata da questa batosta, persa dietro le corse dei suoi ragazzi (Di Francesco e Tommasi, oltre a Totti) che correvano senza sapere dove, mentre l'handicap di una coppia centrale inedita pesava più nell'atteggiamento che non nei fatti. Nel finale è stata una squadra incapace di connettere e ragionare sulla sorprendente sventura che le era capitata.

Ma qualche remora l'emergenza l'ha instillata anche nella testa di Zeman, se ha portato Di Biagio in posizione estremamente arretrata, proprio davanti al duo Gomez-Servidei, con l'incarico anche di andare a contrastare Casiraghi sulle palle alte che venivano dai lunghi rilanci di Marchegiani. Ma un Di Biagio così lontano dal centrocampo impoveriva irrimediabilmente la manovra romanista, allungava la squadra, le toglieva tessuto. La Lazio riprende la sua strada, dopo la migliore gara della stagione, anche se il vertice è lontano. E' stata invece perfetta, affidandosi ai due geniali momenti del duo Mancini-Casiraghi della ripresa, irridendo la difesa romanista, i due a giocare per una metà campo come avessero di fronte ragazzi dell'oratorio. Ma anche nel primo tempo aveva giocato meglio della Roma, con più fluidità e maggiore chiarezza di idee, con un inesauribile Jugovic e un Fuser che ha sfiorato il vantaggio con una punizione al 26'. Ha rischiato anche grosso di rimanere in nove, quando Pancaro che era stato già ammonito ha rifilato un paio di gomitate a chi gli capitava sotto tiro. Ma Collina a quel punto aveva già optato per una gestione politica dei fatti. Le durezze e i falli non hanno potuto nascondere il thrilling della partita, che è stata bella, nonostante il cattivo esempio sia arrivato proprio dalle curve. Il lancio di lacrimogeni ha costretto Collina a continue sospensioni, poi c'è stata l'esibizione di cori antisemiti nei quali la curva laziale è maestra. "Noi in Europa, voi in Sinagoga" e "Roma club Israele" i due megastriscioni degli Irriducibili, che esibiscono anche un po' di paccottiglia di Salò ("L'imperativo è categorico: vincere e vinceremo").

Le occasioni della Roma si limitano a un paio di tiri del primo tempo deviati da Marchegiani su Gautieri e Tommasi, quest'ultimo al 27', una gran botta centrale. La Lazio è più pericolosa, soprattutto con Fuser, mentre Mancini dorme. Si sveglia al 2' della ripresa, quando su un lungo rilancio di Negro, incanta Tommasi e Servidei e spedisce nel sette. Roma sotto choc, si squaglia, al 12' Casiraghi si fa parare in contropiede, ma poi devia su un cross di Mancini cogliendo l'angolo basso vicino di Konsel. Al 40' l'apoteosi con Nedved, poi Di Biagio si faceva espellere, mentre Delvecchio in chiusura su cross di Candela alleviava di una briciola la pena giallorossa. Per Eriksson un lungo sorriso: "Sembrava una partita rovinata dall'espulsione invece abbiamo vinto, con po' di fortuna ma meritatamente".


Tratte da quotidiano romano, alcune dichiarazioni post-gara:

E' raggiante alla fine, Sergio Cragnotti. Scende negli spogliatoi, abbraccia tutti, giocatori, massaggiatori, Eriksson. Quasi urla dalla felicità: "Grazie, grazie, che serata memorabile, che bello, siete stati grandi, siamo una squadra da scudetto, da scudetto...". Che notte, effettivamente, per la Lazio. Che notte, anche perché si erano davvero messe male le cose: fuori Favalli, in dieci contro undici per tutta la partita. Invece ecco una zampata di Mancini, poi Casiraghi - scelta coraggiosa e sorprendente di Eriksson - e infine lui, Nedved, e così la gente fa festa, zompetta, in curva, allontanando paure e sospetti, perché la stagione era stata un percorso a zigzag e qualche fantasma aveva cominciato a ballonzolare dalle parti biancocelesti. "Siamo stati veramente grandissimi", dice anche Zoff e pure lui corre verso gli spogliatoi, alla faccia del suo tradizionale autocontrollo.

Ecco Eriksson, in sala stampa. Sorride largo, lo svedese. Dice: "Quando Collina ha espulso Favalli ho avuto paura, mi sono anche arrabbiato. Non so se lo meritasse, ma ho pensato: qui finisce male. Poi ho aspettato, ero incerto se chiamare fuori un attaccante oppure un centrocampista. Alla fine ho sostituito Almeyda perché non volevo perdere peso in attacco. Nel primo tempo abbiamo un po' sofferto, la Roma poteva passare, poi nell'intervallo ho parlato ai giocatori: dobbiamo provare ad attaccare altrimenti prima o poi ci faranno un gol. Be', la squadra nella ripresa è stata perfetta, si è visto, in difesa e in attacco. Bravi, bravi tutti, sul serio, sono veramente contento. Fare tre gol in dieci è quasi un'impresa. Bella serata, poi, bello anche il derby e sono contento che forse se ne giocheranno quattro. Mi piacerebbe che tutte fossero così perché c'è il grande pubblico, insomma un vero spettacolo". Non parlano, i giocatori: sarà silenzio stampa fino a martedì, almeno, cioè fino alla partita di Coppa Uefa con il Rotor Volgograd. Eriksson spiega ancora: "Oggi si dice che ho azzeccato tutto. Le critiche fanno parte del mio lavoro, ci sono abituato. Io debbo fare delle scelte. Signori forse avrebbe fatto una buona partita, ma io ho deciso di schierare Casiraghi. Uno deve star fuori, per questo mi sono stancato di dover trovare ogni volta una giustificazione".

Gli chiedono: questo derby può essere la partita della svolta? "Non lo so, lo spero, magari. La Lazio è un'ottima squadra. Finora abbiamo avuto difficoltà con avversari che si sono chiusi. Sapevo che la Roma invece ci avrebbe permesso di giocare e si è visto che la Lazio vale. Adesso però dobbiamo ripulire i pensieri, tenere lontana l'euforia e concentrarci sulla partita con il Rotor, se saremo concentrati nessun problema". Problemi, invece, ci saranno per domenica prossima quando all'Olimpico arriverà la Sampdoria. Eriksson dovrà rivoluzionare la difesa: verranno infatti squalificati Nesta, Favalli e Negro.


Dalla Gazzetta dello Sport:

No, non era una partita come tutte le altre. Lo capisci da tante piccole cose. Un esempio? Zoff che lascia correndo la tribuna d'onore, lui sempre compassato, non tanto per evitare i giornalisti, ma per raggiungere più in fretta gli spogliatoi e ringraziare i suoi ragazzi: "Sono stati grandi. L'espulsione c'entra fino ad un certo punto, tutto il gruppo ha risposto dando il massimo". Sergio Cragnotti stavolta non va via prima della fine, si gode lo spettacolo fino in fondo, raccogliendo con goduria tutti i complimenti che gli piovono intorno: "E' una grande soddisfazione. Spero sia solo l'inizio perché la squadra ha dimostrato il suo valore e possiamo puntare in alto in tutte le competizioni". Strana partita questo derby, con tanti episodi da incastonare in un puzzle dai mille colori, ognuno con un'emozione diversa. Il protagonista della serata è Sven Goran Eriksson. Dopo 7 minuti in 10, senza un difensore, lo svedese ha rimuginato per un quarto d'ora: tolgo un attaccante o un centrocampista? I candidati alla sostituzione - in diretta dai commenti della tribuna - erano nell'ordine: Mancini, Casiraghi e Nedved. Il destino ha premiato il suo coraggio (Almeyda non era certo il peggiore in quel momento) e quei tre giocatori che potevano ritrovarsi fuori dal derby sono stati i protagonisti segnando ognuno gol di rara bellezza. Eriksson annuisce e spiega: "Ho pensato un po' prima della sostituzione, perché Jugovic non poteva certo fare il terzino per 90'. Prima ho riflettuto se fosse il caso di togliere un attaccante, ma così facendo avremmo rischiato di non cercare più la porta avversaria. Sui centrocampisti sono andato per esclusione. Certo, è stato un rischio togliere Almeyda, ma è andata bene".

Il tecnico racconta la svolta della gara: "Nel primo tempo abbiamo un po' sofferto gli attacchi della Roma, ma ci siamo difesi bene e Marchegiani è stato molto bravo, Mancini si è sacrificato sulla fascia sinistra e pian piano abbiamo trovato gli equilibri in 10. Però anche in quei momenti c'erano spazi per attaccare e non li abbiamo sfruttati. E così nello spogliatoio l'ho detto ai ragazzi: non possiamo solo difenderci, dobbiamo provare con più convinzione sul contropiede. E c'è riuscito parecchie volte". Eriksson non cerca meriti particolari, ma ha una punta d'amarezza quando dice: "Quando si perde i migliori giocatori sono sempre in panchina. Io dico che se avesse giocato Signori probabilmente avrebbe segnato anche lui. Debbo fare delle scelte, accetto tutte le critiche, ma debbo continuare così". Lo svedese non aizza polemiche, ma non è rimasto contento per l'arbitraggio: "Visto dalla panchina il fallo commesso da Favalli non meritava l'espulsione. All'inizio della partita ha scombussolato tutto. Ed anche se sono ottimista non mi sarei mai aspettato di vincere con tre gol in inferiorità numerica. Cosa mi ha detto Collina? In un momento delicato mi ha chiesto aiuto per mantenere calmi i giocatori. Io gli ho risposto che anche lui poteva dare una mano". Tanti sorrisi ma i problemi arriveranno domenica prossima, con Negro, Nesta e Favalli che saranno squalificati: "E' una bella botta, ma ci penserò solo da mercoledì. Martedì abbiamo un'altra gara importantissima, col Rotor. Ma intanto fatemi godere questo successo. Uno dei più importanti della mia carriera".