Galeazzi Gian Piero

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Gian Piero Galeazzi
Gian Piero Galeazzi
(Foto La Presse)
Gian Piero Galeazzi
(Foto Ansa)

All'anagrafe Gian Piero - e non Giampiero come era comunemente chiamato - canottiere, giornalista e telecronista sportivo, nato a Roma il 18 maggio 1946 ed ivi deceduto il 12 novembre 2021 dopo una lunga malattia. Soprannominato "Bisteccone" per la sua struttura fisica.

Da sempre dichiaratosi tifoso della Lazio tanto che, il 14 maggio 2000, mentre era appena terminata la finale degli Internazionali d'Italia di Tennis, corse con la troupe della Rai verso lo stadio Olimpico dove la Lazio stava per vincere il suo secondo scudetto e dalla Curva riuscì a filmare la gioia dei tifosi laziali neo campioni d'Italia lanciando un urlo di gioia anche lui. La sua carriera agonistica si svolse tra la fine degli anni '60 e l'inizio dei '70 con il Circolo Canottieri Roma dove partecipò anche alle selezioni per i giochi Olimpici di Città del Messico nel 1968, dopodiché divenne uno dei massimi giornalisti sportivi della Rai. E' stato direttore del mensile sportivo dei tifosi biancocelesti La Nuova Lazio negli anni 1987/88. Uomo dalle mille battute, si racconta che dopo una cena luculliana ed alle prese con una maxi bottiglia di acqua minerale disse: "Sto a cerca' de fa nuota' er salmone che me so' magnato!".

Divertente anche l'episodio che ha caratterizzato il suo storico soprannome "Bisteccone". Così lo racconta il Corriere della Sera: "Ma come è nato questo soprannome e chi è stato ad affibbiarglielo? La storia di questo nomignolo l’ha raccontata lo stesso Galeazzi in alcune interviste. Per ripercorrerla, occorre andare indietro nel tempo fino al 1970, quando la sua carriera da giornalista non era ancora iniziata. Allora, Galeazzi aveva 24 anni ed era uno sportivo. Aveva conquistato due ori nei campionati italiani di canottaggio, ma già sognava una carriera nel mondo dell’informazione. Conosceva e frequentava alcuni giornalisti sportivi, tra cui Renato Venturini. Fu proprio lui a presentarlo a Gilberto Evangelisti, storico cronista sportivo nonché artefice del soprannome "Bisteccone". Tutto è iniziato grazie a una sfida a tennis, sport di cui Galeazzi era già appassionato e che in seguito avrebbe raccontato per anni come telecronista: Venturini aveva chiesto a Galeazzi di raggiungerlo nella sede romana della Rai, così da potersi poi avviare insieme verso i campi. Sapendo del suo interesse per il mondo del giornalismo, lo presentò ad alcuni colleghi. Compreso Evangelisti, che, trovandoselo di fronte - Galeazzi era alto e ben piantato - esclamò: "Renà, ma chi è ‘sto Bisteccone?". L’osservazione ironica si è ben presto trasformata in un nomignolo decisamente appiccicoso, che Galeazzi si è portato con sé per tutta la carriera, iniziata di lì a pochi mesi.


Il Presidente Claudio Lotito ricorda in un comunicato ufficiale la figura di Gian Piero Galezzi il giorno della scomparsa:

La Società Sportiva Lazio, con tutti i suoi atleti e tifosi, piange la scomparsa di Giampiero Galeazzi. Una figura legata indissolubilmente allo sport italiano: prima da atleta vittorioso, poi da commentatore passionale e da giornalista acuto e competente. La fede laziale di Giampiero era nota a tutti, ma mai è stata fuori dalle righe. In una recente intervista alla Rai, stanco ma mai arreso alla malattia, disse una frase semplice e straordinaria: "Sotto lo stesso cielo, sotto la stessa bandiera. Forza Lazio". In quel cielo brilla una stella in più.


Così scrive il Corriere dello Sport del 13 novembre 2021 all'indomani della scomparsa del giornalista romano:

"Ciao Giampiero ci hai emozionato. Il tennis, il calcio, le straordinarie telecronache di canottaggio con i trionfi olimpici degli Abbagnale. La sua voce inconfondibile ha unito tante generazioni. Aveva 75 anni: ha raccontato con amore, entusiasmo e competenza i grandi eventi dello sport. Galeazzi è entrato nelle case degli italiani lasciando in eredità momenti indimenticabili. Era ricoverato al Gemelli. Il mondo dello sport e della tv è in lutto: è morto a Roma, al Policlinico Gemelli, Giampiero Galeazzi. Il cronista sportivo e conduttore della Rai aveva 75 anni, era malato da tempo. L'ultima sua apparizione televisiva risaliva a tre anni fa a Domenica In, costretto in sedia a rotelle aveva commosso il pubblico. "Mi restano da attraversare gli ultimi 500 metri della mia vita", disse commuovendo Mara Venier che lo abbracciò in diretta".

Scudetto è quando Galeazzi prende sottobraccio. Negli anni Ottanta, era lui a certificare la vittoria del campionato. Ben prima del tricolore sulla maglia. L'arbitro fischiava la fine e Galeazzi aveva già catturato la sua preda. Che fosse Bagnoli, Bianchi, Liedholm, Trapattoni. Poco importa. Lo prendeva e non lo mollava più. Le prime parole dell'allenatore erano le sue. Sempre. Con quel tono di voce rauco e quell'enfasi che lo hanno reso un marchio inconfondibile. Giampiero Galeazzi aveva un rapporto fisico con la notizia. La pedinava. Non la lasciava mai. E la confezionava come meglio non si poteva. Dove c'è la notizia, c'è Galeazzi. C'è però una differenza importante rispetto a tanti tallonatori col microfono arrivati negli anni successivi. Galeazzi non appariva mai molesto. Non era un persecutore. Anzi. Gli interlocutori gli sorridevano, lo attendevano. anche perché sapevano che essere intervistati da lui significava o aver vinto lo scudetto o comunque la certificazione di essere il personaggio della giornata. Si finiva alla Domenica Sportiva che era la Cassazione del calcio italiano. Non si poteva fare brutta figura. E i personaggi si prestavano. Tutti.

Dino Viola confezionava perle ermetiche intervallate da pause craxiane. L'Avvocato le solite battute fulminanti. Maradona nello spogliatoio di Napoli gli regalò una straordinaria interpretazione da showman nel giorno del primo scudetto. Accendi il faro, aziona la telecamera e lascia fare a Galeazzi. Era l'incarnazione del nazional-popolare. Non a caso Mara Venier lo volle a Domenica In, creando scandalo nella categoria. Se n'è andato ieri, a 75 anni. E non è retorico dire che simboleggiava un giornalismo e un mondo che non esistono più. Sono dati di fatto. Non c'era internet. Il massimo dell'aggiornamento in tempo reale era Televideo, con i risultati che lampeggiavano per far capire che la partita era in corso. Imperava, di fatto, il monopolio Rai. O apparivi lì, o non eri nessuno. Non c'erano le pay tv. Né i cartelloni zeppi di sponsor per le interviste. Si facevano dove capitava spesso in corridoi affollati. Galeazzi catturava il personaggio e via. La grande forza di quel giornalismo è che sembrava improvvisato, quasi dilettantesco. Poi, però, ti ritrovavi la dichiarazione di Maradona o Trapattoni che tenevano banco tutta la settimana.

Eppure l'intervista calcistica più impossibile non regge il confronto con quello che è stato l'impareggiabile risultato professionale di Galeazzi: aver reso popolare il canottaggio. Aver inchiodato gli italiani davanti alla tv per uno sport che definire spettacolare è un esercizio spericolato. Non è semplice stabilire se si guardava le gare per i fratelli Abbagnale o per le sue telecronache. Erano un tutt'uno. Come per De Zan e il ciclismo, Paolo Rossi e l'atletica. Ma col canottaggio è più complesso. Era lui a tenere viva l'attenzione per i duemila metri della gara. Era riuscito a creare un rapporto simbiotico tra la performance dei fratelloni stabiesi e la sua voce. Sembravano che stessero compiendo lo stesso sforzo. "Trentotto colpi al minuto", gridava alla Adriano Pappalardo (altro cantante anni Ottanta. E non sapevi se essere più preoccupato per la sorte sua o degli azzurri. Senza Galeazzi, la leggenda degli Abbagnale non sarebbe stata la stessa. Nonostante la loro straordinaria sete di vittorie. Perché Galeazzi decorava l'evento sportivo, lo arricchiva. Non lo subiva passivamente.

Incredibile a dirsi, il suo terzo sport era il tennis. L'esatto contrario di canottaggi e calcio. La disciplina dei fighetti, per quanto Panatta lo avesso reso popolare. E anche lì Bisteccone - era l'inconfondibile soprannome - non rinunciò al suo stile. Anche perché se non ci pensava lui a rivitalizzare i telespettatori, diventava dura. Canè non era né Berrettini né Sinner. I suoi punti erano sensibilmente più rari. E allora Galeazzi si arrangiava come meglio poteva: coniò il "turborovescio" e quando il tennista imbroccava un gran colpo, chiosava: E' questo è Canè". Purtroppo, mormoravano da casa. Ma si rimaneva lì incollati ad aspettare quel momento. Galeazzi ha abbattuto barriere, ha reso umani e accessibili i protagonisti dello sport italiano. In fin dei conti, è semplice descriverlo con poche parole: era un grande giornalista.


Il Messaggero del 13 novembre 2021 così racconta Gian Piero Galeazzi:

"Non c'è tempo per morire". Lo sport è rimasto senza voce. Il giornalista morto a 75 anni. Dal tennis a 90° Minuto ha raccontato grandi imprese e domeniche italiane. Riusciva a portare parole ed emozioni dei campioni dentro le nostre case. La svolta pop con Domenica In. Giampiero Galeazzi è scomparso ieri all'età di 75 anni. Era malato da tempo. Romano, ha legato la sua carriera di giornalista alla Rai. Per anni, voce e volto di 90' Minuto e Domenica sportiva, ha raccontato il tennis e il canottaggio. I funerali si svolgeranno in forma privata. Tra oggi e domani potrebbe essere allestita la camera ardente in Campidoglio".

"Andiamo a vincere": quello che potrebbe essere un claim dello sport italiano dei nostri giorni, ha risuonato ieri per l’etere, tutte le tv e tutte le radio, con la voce entusiasmante dell'uomo che lo pronunciò e quasi ci fece tutti andare a vincere, con i fratelli Abbagnale o con Panatta, con la sua Lazio o con la Roma, con Maradona o con Materazzi, con la erre arrotata di Gianni Agnelli o con la coinvolgente "zia Mara", Mara Venier, il coinvolgente, sempre e in realtà, era lui, l'inventore di quell'"andiamo a vincere" che vale almeno quanto il "campioni del mondo" scandito tre volte a Madrid da Nando Martellini o, andando indietro, l'"uomo solo al comando" di Mario Ferretti. Siamo, come si vede, nel mito. Il copyright dello slogan appartiene a Giampiero Galeazzi, che ieri, a 75 anni, se ne è andato per sempre, come dopo un suo "gioco, partita e incontro", portato via dal diabete che lo tormentava e affievoliva nel fisico ma non nello spirito. Lo chiamavano "Bisteccone". Perché era grosso e perché, soprattutto, aveva un approccio alla Alberto Sordi con il cibo, "maccherone, tu m'hai provocato e io me te magno".

Sulla voracità di Bisteccone girava anche un aneddoto f‌in troppo abusato: di ritorno da un soggiorno in una celebre clinica della salute, quella di Messeguè, aveva incentrato uno dei tanti amici che aveva fra studi tv e circoli romani che gli aveva chiesto "dove sei stato che è un po' che non ti vedo?" e, alla risposta "da Messeguè" ottenne in risposta dall'amico che lo squadrò dalla testa ai piedi: "E te lo sei mangiato?", a sottolineare che il soggiorno non aveva avuto gli sperati effetti. La spontaneità. Era stato un forte atleta, in gioventù, un canottiere, anche campione d'Italia e pure in predicato per diventare olimpico in occasione di Messico '68. Poi s'era dato al giornalismo, presto catturato dalla Rai. Le gare di canottaggio non le raccontava: le viveva. La sua non era la partecipazione studiata a tavolino di qualche telecronista d’oggi con la bella frase prescritta, nel senso di scritta prima, da pronunciare come effetto speciale alla buona occasione, e spesso, per non sprecarla, anche a quella cattiva. Galeazzi no: aveva nella spontaneità il suo segreto, ed era una spontaneità di radice nazional-popolare, molto romana o, detto con rispetto culturale, romanesca, pure se le origini paterne erano piemontesi.

Tifava Lazio e non lo nascondeva, come fanno quelli che vogliono apparire imparziali: lui lo era senza esserlo. Così trattava allo stesso modo i campioni: da amico? Forse. Da complice di un racconto da far vibrare nell'animo del telespettatore, come quando, nascosto con la complicità del massaggiatore Carmando nello spogliatoto del Napoli in occasione dello scudetto, appioppò il microfono a Maradona in mutande e lo trasformò in cronista d'assalto. Vallo a fare oggi, tra buttafuori e quant'altro, quando il distanziamento voluto non è solo una sacrosanta necessità da Covid ma una imposizione per tagliare fuori l'informazione dalle "segrete cose", quelle vere. Ma forse uno con la faccia tosta, in senso positivo, con l'umanità prorompente di Giampiero Galeazzi potrebbe riuscirci anche questa volta. Sapeva alzare il tono di voce e abbassarlo, secondo la necessità: a bordo campo, nei giorni del tennis e di Panatta (e mettiamoci anche Bertolucci, Barazzutti e Zugarelli, i quattro che vinsero la Davis con Capitan Nick, cioè Pietrangeli). Sapeva non disturbare la concentrazione del campione, pure stando in "vicino vicino", e nessuno "sbroccava" a quei tempi felici.

E, dal divano, poteva sembrare a tutti di stare "vicino vicino”. E di abbracciare con lui Liedholm, il giorno che la Roma vinse lo scudetto, che il Barone sembrava scomparire fra quelle braccia, ma quand'era così nessuno aveva il tempo di ponderate la risposta alla domanda di Bisteccone e tutto era più vero, o "verace" che è meglio. Come quando lasciò gli Internazionali di tennis per andare a festeggiare con i suoi correligionari biancocelesti, e dunque anche a raccontarlo, lo scudetto della Lazio, incontrò un sacerdote e gli chiese: "Padre, ha pregato per questo?" gli chiese, simpatico e sfacciato. Mica le algide interviste a domanda e risposta scontate che ti sono consentite oggi a bordo campo o nelle conferenze stampa a copione. Emozioni. Galeazzi non era mai prefabbricato, e dunque nemmeno le risposte perché gli intervistati erano presi quando ancora non avevano potuto premunirsi. A bordo campo o nello studio tv, da dove ci calò dentro la "retata" da giustizia spettacolo, quando la Pantera della polizia entrò sul prato dell’Olimpico per cercare i ricercati che non avrebbero mai avuto vie di fuga ed era la prima scena del calcio scommesse, da "90' Minuto", una delle trasmissioni Rai più amate insieme con la "Domenica Sportiva" quando non ci si perdeva fra canali, cronache e buffering. Era un grande momento di cultura pop, e Bisteccone la incarnava. Giampiero Galeazzi è stato anche altro, in radio e no: con Pippo Baudo a un Festival di Sanremo, con Mara Venier a "Domenica in" (che successo! Che ondata di umanità!), ha perfino prestato la voce cinematografica a Mr Swackhammer, l'antagonista in "Space Jam". E ha dato la voce anche a molti imitatori che ne hanno fatto cavalli di battaglia, facendoci sorridere ancora. Non è vero che l'emozione non ha voce: spesso, invece, quando era il momento, ha avuto la voce di Giampiero Galeazzi, detto "Bisteccone".





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