Domenica 5 aprile 1998 - Roma, stadio Olimpico - Lazio-Juventus 0-1

Da LazioWiki.

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5 aprile 1998 - 2.786 - Campionato di Serie A 1997/98 - XXVIII giornata

LAZIO: Marchegiani, Chamot, Nesta, Negro, Favalli (87' Rambaudi), Fuser, Almeyda (66' Casiraghi), Jugovic, Nedved, Boksic, R.Mancini (82' Gottardi). A disposizione: Ballotta, G.Lopez, Grandoni, Marcolin. Allenatore: Eriksson.

JUVENTUS: Peruzzi, Birindelli, Iuliano, Montero, Pessotto, Di Livio (66' Dimas), Conte (46' Tacchinardi), Davids, Zidane, F.Inzaghi (73' Pecchia), Del Piero. A disposizione: De Sanctis, Torricelli, Amoruso, Zalayeta. Allenatore: Lippi.

Arbitro: Sig. Collina (Viareggio).

Marcatori: 60' F.Inzaghi.

Note: serata fresca, terreno in buone condizioni. Espulso al 76' Nedved per somma di ammonizioni. Ammoniti: Negro, Chamot, Iuliano, Dimas. Calci d'angolo: 9-2. Recuperi: 3' p.t., 5' s.t.

Spettatori: 70.000 circa dei quali 38.398 paganti (per un incasso di Lire 2.612.355.000) e 31.738 abbonati (per una quota di Lire 957.039.369). L'incasso complessivo di Lire 3.569.394.369 è il nuovo record per la Lazio in campionato.

Almeyda alle prese con Davids
Almeyda contrasta Zidane
La rete del vantaggio bianconero
Un altro fotogramma della rete juventina
Giuseppe Favalli in azione
Del Piero cerca di liberarsi di Jugovic
Un momento dell'incontro
Alen Boksic
L'espulsione di Nedved
Il fallo di mano di Iuliano

Due date come un'epigrafe su un'idea chiamata scudetto: 6 dicembre - 5 aprile. La rincorsa della Lazio, cominciata la domenica successiva alla sconfitta di Torino (il 6 dicembre '97), si è chiusa ieri sera a Roma, dopo ventiquattro risultati utili consecutivi. A firmare la resa è la stessa mano: Juve. Se abbia vinto con merito pieno, stavolta proprio non sappiamo, perché la partita è stata bella e tesa, aperta a tutto e a tutti, chiusa da Collina con l'espulsione di Nedved ad un quarto d'ora dalla fine. Di certo, la Juve è stata composta e risoluta. Ha colpito su azione d'angolo (Inzaghi) con la complicità della difesa biancazzurra; ha mancato due volte nel finale il raddoppio in contropiede; ha gestito a piacimento la superiorità numerica; ha ritrovato l'immenso Peruzzi di quasi sempre; non è stata abbandonata dalla fortuna. La Lazio può lamentare un rigore non visto (mani di Iuliano) quando a tempo scaduto l'area era un'ammucchiata. Nel primo tempo i movimenti del gruppo-Eriksson sono stati colpi di vento nella tiepida partita che la Juve ha giocato allargando costantemente la manovra per favorire la circolazione della palla.

La preoccupazione di lasciare spazi alla Lazio ha prevalso sul pressing iper-aggressivo e sulla necessità di verticalizzare assecondando il movimento di Inzaghi. L'ampliamento del fronte d'attacco determina l'attiva partecipazione di Pessotto, da cui vengono i fastidi maggiori per Chamot e un consistente pericolo per la Lazio (43': Inzaghi in ritardo). Complessivamente la Juve tira in porta, o verso la porta altrui, meno dell'avversario. Che comincia solo al 20', cioè sedici minuti dopo che Zidane ha costretto Marchegiani ad una parata a terra da punizione. La successione è varia e chiama al proscenio Jugovic (devia Peruzzi), la testa di Negro (salva sulla linea la testa di Di Livio), l'energetico Nedved: il ceko vede pararsi davanti al suo tiro il ciclopico Peruzzi delle migliori nottate. La Lazio non avrebbe neppure torto a lamentarsi per un fallo in gioco pericoloso di Boksic su Iuliano: la gamba è tesa, ma lo juventino è molto lontano dall'avversario, tanto è vero che il croato colpisce la palla. Se Collina non fischiasse, Boksic si involerebbe solitario verso Peruzzi. Al conto delle occasioni, a metà partita, la squadra di Eriksson è in vantaggio, anche se della Juve persuade la saldezza dell'impianto organizzativo. Davids sembra sempre l'uomo che fa per due: suoi i due "break" che liberano Del Piero fermato dagli interventi di Negro e Chamot, entrambi ammoniti. Le decisioni di Collina sono condivisibili. Meno se si mette in relazione il numero di falli dei bianconeri (17 solo nel primo tempo) con l'assenza di cartellini nei loro confronti (Iuliano, il primo sanzionato al 13' della ripresa, seguito da Dimas). L'espulsione di Nedved è motivata (non si insulta l'arbitro), però considerata la situazione (il giocatore era appena stato ammonito) forse si poteva essere più indulgenti.

Lo fosse stato subito, probabilmente Collina non sarebbe stato risucchiato in un finale confuso: non ha rilevato il fuorigioco (segnalato dall'assistente Mazzei) su deviazione di Dimas; non ha visto un braccio di Iuliano teso sopra la testa di Boksic (dal replay televisivo è rigore); ha evitato di sanzionare Marchegiani, uscito fuori area con le mani. Da un fuoriclasse con il fischietto è lecito aspettarsi sempre il massimo. Un altro fuoriclasse che, a stento, raggiunge la sufficienza è Zidane. Il suo inizio di partita è molto favorevole, con parecchi palloni giocati di prima sullo "stretto". Poi, però, diventa prevedibile e sorprende, dunque, trovare il francese nell'atto di propiziare il vantaggio di Inzaghi. Infatti, il gol di testa discende da un angolo sul quale ha una certa responsabilità Nesta (manca la palla), macchiando una prova esaltante. Al quarto d'ora della ripresa, sullo 0-1, si spezza l'asse che sostiene l'equilibrio. Lippi gioca come la Lazio (possesso e contropiede con Pecchia per Inzaghi e Dimas a rafforzare gli ormeggi) e la Lazio non riesce a giocare come non sa. Diventa approssimativa, si allunga, scaglia palloni nel mucchio. Collina le regala 5 minuti di recupero, Peruzzi rimbalza come una palla tentacolare. E' lui a conservare il primo posto bianconero lasciando la Lazio inerte nel suo volo onirico.


La Gazzetta dello Sport titola: "La Lazio manca il grande appuntamento. Juve imperatrice. L'implacabile Inzaghi colpisce all'unico errore di Nesta. Partita non bellissima, con prevalere delle difese sugli attacchi. La Lazio ha peccato di mordente: ha avuto due occasioni ma Di Livio e Birindelli hanno salvato a porta vuota. La Juve, più concreta, ha fatto valere la sua esperienza. Nedved espulso nella ripresa".

Continua la "rosea": La concretezza della Juve ha avuto ragione di una Lazio che nell'occasione più importante della stagione non ha saputo mordere. Questo in sintesi il verdetto dell'Olimpico nella gara che ha restituito al campionato una squadra favorita. La Juve si mantiene al comando della classifica, spinge la Lazio a cinque punti di distacco (e molto probabilmente fuori dal giro scudetto) e ora attende l'Inter al Delle Alpi. Serata tutta bianconera dunque. Non è stata una gran partita, almeno non quella che ci si attendeva. L'emozione di molti laziali irretiti dalla maggior esperienza degli avversari, la forza dei dispositivi difensivi che hanno concesso pochissimo agli attacchi, non hanno permesso al gioco di decollare; non ci sono stati neppure quei guizzi geniali degli uomini di maggior tecnica. Di Mancini si ricorda solo un colpo di tacco. Zidane ha inventato poco, Del Piero si è sbizzarrito solo quando la Lazio è rimasta in dieci e ha avuto enormi spazi a disposizione; Boksic è stato chiuso nella morsa Iuliano-Montero. Al primo errore di Nesta, fino a quel momento perfetto, Inzaghi ha colpito. Ecco la concretezza di cui si parlava. Poi, quando ci si chiedeva se la Lazio avesse avuto la forza e le capacità per reagire, ecco il colpo (anche questo di testa, ma in modo figurato) di Nedved che ha avuto una reazione offensiva nei riguardi di Collina. L'espulsione ha tolto ogni prospettiva ai padroni di casa che hanno avuto anche l'occasione di pareggiare nel recupero finale, ma che potevano anche subire un passivo più severo. Praticamente, in superiorità numerica la Juve non ha più mollato la presa. La squadra di Lippi ha confermato ancora una volta che nelle occasioni importanti, decisive, c'è sempre, anche se stavolta si è dovuta accontentare di una partecipazione più discreta.

La Lazio, invece al momento del dunque, è mancata di quell'animo vincente che si acquista solo con il tempo. Nella serata in cui nessuno poteva mancare, l'Olimpico offre il meglio di sé. Folla record per i colori laziali, come da anni non accadeva, e anche coreografie adeguate, con la grande corona per "sua maestà la Lazio". Il primo tiro è della Juve, dopo appena 45", lo effettua Conte da lontano; più per allentare la tensione che per effettiva necessità. Palla comunque alta, mentre Negro va a farsi medicare un occhio ammaccato in uno scontro con Inzaghi. Al 3' Zidane, su punizione da sinistra per poco non sorprende Marchegiani che blocca il pallone proprio sulla linea. Secondo le aspettative, questo avvio: la Juve è più aggressiva e va più decisa in attacco, la Lazio per ora cerca di non scoprirsi. Colpo di testa alto di Boksic, su cross lungo dalla destra. Il croato ha saltato bene e da buona posizione. Scatta il contropiede della Juventus all'11': da Del Piero a Zidane, che sulla tre quarti chiude subito il triangolo, ma non trova nessuno, perché Del Piero è stato steso da Negro, che gli ha fatto "blocco" violento. Giusta l'ammonizione per il laziale. La Juve pensa di tenere il baricentro della squadra alto, e così Lippi ricorre ancora ai tre difensori (Birindelli, Iuliano e Montero) in linea, mandando Pessotto ad affiancarsi agli altri centrocampisti, lasciando libero Zidane al servizio delle punte. Eriksson, invece di togliere Almeyda dal centro del campo, preferisce fare seguire Zidane da Jugovic, al quale invece in contrapposizione Lippi destina Conte. Ma al 16' salta tutto perché Jugovic ha l'intuizione giusta di scattare e di smistare di testa a Mancini, per lanciarsi sulla sinistra, pronto il passaggio di ritorno addirittura di tacco, che libera il compagno (una sciccheria); Jugovic ha il solo torto di volere concludere al volo, con palla a lato. Poteva scendere a rete perché era solo.

Ci prova Jugovic, su punizione centrale: gran botta che aggira la barriera e forse andrebbe fuori, ma Peruzzi ci mette una mano. Angolo di Mancini, testa di Negro, che sembra vincente. Peruzzi sembra battuto, Di Livio, sempre di testa, respinge dalla linea. Siamo al 20' e la Lazio si sta facendo più minacciosa. Ancora un colpo di testa di Mancini, appena a lato. La partita è piacevole, ma non entusiasmante. Si ha l'idea che debba ancora dare il meglio di sé. Per ora Mancini fa poco, Boksic è tenuto a freno da Iuliano e Montero, mentre Nesta e Negro non fanno arrivare al tiro Del Piero e Inzaghi. Al 31' ecco che Mancini conquista palla nella metà campo bianconera, aspetta che Nedved si liberi a sinistra e lo serve con precisione: ottimo il diagonale del ceco, sul quale Peruzzi si esibisce in una bella respinta volante. Immediata replica di Di Livio, che scavalca Favalli, ma poi conclude male da pochi metri. Ancora Nedved che si libera a sinistra al 33', il suo cross radente per poco non viene girato a rete da Mancini, stoppato da Iuliano. Brivido da autogol della Juve, proprio allo scadere del tempo. Nella ripresa non c'è Conte nelle file della Juve. Si era fatto male nel primo tempo e Lippi preferisce cautelarsi con Tacchinardi. Subito un fallo di Davids ai danni di Mancini. Batte Jugovic da quasi trenta metri e Peruzzi si distente e blocca. La Lazio in questo avvio di ripresa sembra più determinata a prendere in mano la situazione e scende frequentemente verso la porta di Peruzzi. Non combina granché, ma intanto, intorno al 10' conquista tre corner consecutivi. Rovesciamento di fronte e Del Piero spinge via Nesta prima di piazzare il pallone in porta, ma Collina aveva già fischiato il fallo. La gara non decolla, ora comincia a farsi sentire in campo un po' di stanchezza, ma al 15' arriva come un fulmine a ciel sereno il gol della Juve. Corner battuto da Zidane da destra, Nesta salta a vuoto (è il suo primo errore della serata) alle sue spalle Inzaghi è pronto a girare di testa sorprendendo Negro, Almeyda e Marchegiani che così perde la sua imbattibilità.

Più grave per la squadra però perdere questa partita. Passano sei minuti ed Eriksson gioca la carta Casiraghi, che manda in campo al posto di Almeyda. Si attende il serrate dei padroni di casa. Contromossa immediata di Lippi che fa uscire Di Livio e schiera Dimas con ovvio spostamento a destra di Pessotto. Ora la difesa bianconera si schiera a quattro e tutta la squadra arretra in posizione più prudente. Al 25' vicinissima al gol la Lazio: lungo lancio, Peruzzi esce e respinge di pugno, la palla cade sulla testa di Casiraghi che tenta di mettere nella porta vuota. Birindelli respinge con bella prontezza. Al 28' Inzaghi si fa male (forse un risentimento muscolare all'inguine) e viene sostituito da Pecchia. Ma al 31' accade un fattaccio che decide la gara: fallo duro di Nedved che Collina punisce con un cartellino giallo, reazione offensiva del ceco che manda a quel paese l'arbitro, immediato il rosso per l'espulsione. Ora la Lazio è sotto di un gol e di un uomo. Eriksson tenta di cambiare un po' le carte in tavola: toglie un deludente Mancini e getta nella mischia Gottardi. Al 42' esce anche Favalli ed entra Rambaudi, ma la Juve ormai è troppo padrona del campo. Dimas si diverte a dribblare tutti e a scambiare con Del Piero per andare al tiro. Zidane-Del Piero-Zidane ancora Del Piero al 44' mandano in visibilio i tifosi bianconeri, ma Marchegiani si supera evitando un gol fatto e consentendo alla Lazio di sperare ancora e di rendersi pericolosa. Nei minuti di recupero Dimas per poco non beffa Peruzzi su tiro di Fuser e con un colpo di testa Casiraghi manda a sbattere il pallone su un braccio di Iuliano teso in alto. Collina propende per l'involontarietà, resta qualche dubbio. Si chiude comunque con la Juve in attacco: il suggello del vincitore. L'Inter torna in testa solo per qualche ora poi anche l'Olimpico incorona i bianconeri.


Da La Repubblica:

Li hanno aspettati. Li hanno lasciati sfogare. Li hanno fatti venire avanti, ecco, così, un po' più vicino, un passo ancora. Poi li hanno freddati. Questo hanno fatto quelli della Juve a quelli della Lazio. Solo un gol stavolta, niente quaterna secca come succede di solito, un piccolo gelido crudele gol di Filippo Inzaghi. La Juve resta prima. La Lazio gioca bene solo per metà, subisce l'espulsione di Nedved e protesta per un fallo di mano di Iuliano a tempo scaduto. Cragnotti al termine è duro: "Evidentemente nel calcio conta tantissimo il colore delle maglie. Certi episodi potevano essere giudicati in modo diverso. La gara era troppo importante per cacciare qualcuno, l'espulsione di Nedved è stata affrettata. Questo arbitro non voleva perdonarci niente". Lo scudetto per ora resta dov'è. Subito una partita elettrica. La Lazio la accosta timorosa, il pallone scotta, la paura della sfida che vale una stagione annebbia il coraggio della giocata difficile. Così, retrocedendo e aspettando, i laziali concedono il centrocampo alla Juve. Primo grave errore, perché è quello il settore dove i biancazzurri costruiscono di solito le vittorie. Lippi ha sistemato Conte e il tarantolato Davids in coppia centrale, con Pessotto a sostegno sulla sinistra: dunque una difesa a tre, bloccata su Montero e Iuliano mentre Birindelli balla la mazurka per stare dietro a quell'ossesso di Nedved. Ma chi fa davvero ciò che vuole è Zidane: dopo una settimana passata a parlare di gabbie, scatoloni tattici e trappole invisibili, la Lazio decide semplicemente di ignorare il francese. Il quale alla lunga non ne approfitterà. In questo strano torpore mentale, è la Juve a trovarsi bene: subito una punizione di Zizou viene bloccata da Marchegiani (4'), poi è Boksic ad alzare troppo la fronte quando il pallone ci sbatte dentro.

Un quarto d'ora e finalmente la ruggine scorre via dalle giunture laziali: Jugovic a Mancini, colpo di tacco sublime a restituire palla al serbo, destro volante un po' sballato. Squadre cortissime, tutte chiuse in un fazzolettino di dama. Le azioni sono saette, e quasi sempre le chiude il fischio dell'arbitro che segnala il fuorigioco: la situazione tattica più frequente in quest'orgia di zona contro zona. Al 18' Del Piero fotocopia la finezza di Mancini, stavolta è suo il tacco che lancia Inzaghi però il centravanti è in ritardo. Ora c'è equilibrio di intenzioni, si corre allo stesso modo e non ci sono tempi morti. La Lazio accarezza il gol al 21', l'azione la innesca Jugovic con un destro che Peruzzi devia in angolo; batte Fuser, incorna Negro, Peruzzi non arriva ma Di Livio sì, di testa, e ribatte sulla linea (stessa cosa farà Birindelli su Casiraghi nel secondo tempo). Enorme il lavoro del numero 7 bianconero, quasi come Davids che continua a frullare palloni e come Nedved che invece la palla ce l'ha incollata al piede: non c'è verso che Birindelli riesca a sradicarla, c'è solo un modo per bloccare il ceko e lo adotterà Collina al 75': ammonizione, protesta di Nedved, espulsione. La Lazio va in percussione, ha lavato via la paura. Al 31' Mancini lancia Nedved che tira benissimo, ma Peruzzi chiude le mani e respinge. Poi Di Livio, sul contropiede, alzerà il pallonetto. Adesso la Juve sta in trincea e concede metri all'avversario, che si butta dentro ogni spazio utile. Ancora il ceko, formidabile, in mischia di possesso ma il tiro di Negro è parato. Elettricità sui fili della sfida al 48': Boksic s'infila nel burro, ma con la gamba tesa. Altri venti secondi e Birindelli/Iuliano tentano l'autorete del centenario: folle rimbalzo, carambola a rientrare, palla sopra la traversa. Nessuno si annoia.

Ripresa. Lippi lascia fuori Conte che si era preso un pestone e inserisce il convalescente Tacchinardi, fasciato come una mummia della seconda dinastia. Il gesto atletico più frequente continua ad essere la bandierina alzata dai guardalinee a scandire il singhiozzo del fuorigioco. Ora la Lazio sbaglia di nuovo, perché crede la Juve intorpidita e appagata del pareggio. Studiasse la storia bianconera, saprebbe che è impossibile. Un primo segnale sinistro arriva da Del Piero, che a gioco fermo (fallo su Nesta, punizione) inventa comunque un pallonetto - con gol - che anticipa il futuro. Non vale ma avverte. Infatti al 15' la Lazio sembra assopita e la partita pure, ma ecco l'episodio che la chiuderà: c'è un corner distratto che Zidane piazza a centroarea, Nesta salta e buca, Inzaghi no. Il centravanti è solo al mondo, mette la testa contro la palla, la palla contro la rete e la Lazio contro il muro. A proposito di muro, ma nel senso della pallavolo: lo improvvisa Iuliano a tempo scaduto, prendendo a schiaffi il pallone in area. Mano? Spalla? Spalla, dice Collina. Di altro parere Eriksson "il fallo di mano c'era".


Alcune dichiarazioni post-gara:


Eccola, immancabile, la scia di veleno che solca gli attimi successivi alla fine della partita. Sergio Cragnotti stavolta rompe gli argini e sbotta, non riesce a tenersi, a rifugiarsi in quel "nuovo stile" annunciato e lodato a più riprese, nel recente passato, davanti ai presunti torti arbitrali. Il patron della Lazio ha perso il treno più importante e più atteso, gli pare allora impossibile tenere chiusa la bocca e soffocare le pulsioni. "Nel calcio si vince anche con il colore delle maglie...", dice livido, ricorrendo alle vecchie e trasversali accuse che si rovesciano sulla Juve a periodi incerti. "Collina? Evidentemente l'arbitro non voleva perdonarci nulla". L'espulsione di Nedved, il fallo di mano di Iuliano in area non visto: ecco cosa dilata l'enorme delusione della Lazio, cosa di cui la Juve non si cura minimamente. "Dal primo al novantacinquesimo minuto abbiamo giocato una grandissima partita - attacca Roberto Bettega, peraltro insultato da un gruppo di laziali -. In otto giorni la Juve ha affrontato tre impegni di eguale intensità: Milan, Monaco e Lazio. Ebbene, le risposte dei ragazzi sono state entusiasmanti. Contro la squadra di Eriksson, la vittoria mi è parsa giusta, ineccepibile".

Il concetto viene ribadito da Lippi e dalla squadra, tutti incuranti delle reazioni di fuoco di Cragnotti. "E quando mai, con la Juve di mezzo, non ci sono polemiche e recriminazioni? Il fallo di mano alla fine? Io non ho visto niente. Semmai, ho visto una grande Juve che ha battuto una grande Lazio. Loro, se non sbaglio, avevano perso l'ultima volta proprio contro di noi quattro mesi fa. Quindi..." Eppure per lo scudetto non è ancora finita. La Lazio probabilmente è fuori, ma l'Inter no, l'Inter è a un solo punto. E il 26, ultima domenica di aprile, a Torino va in scena proprio Juve-Inter. "Infatti - continua Lippi - sabato avevo detto che la nostra vittoria all'Olimpico sarebbe stata decisiva solo nei confronti della Lazio, non certo del campionato. Io non credo che loro molleranno, però i cinque punti di distacco potrebbero rappresentare un serio contraccolpo psicologico. Per il resto, io mi auguro che la squadra non si rilassi contro il Piacenza, sabato prossimo. Se succederà una cosa del genere, allora saranno dolori. Comunque non abbiamo sferrato nessun colpo da k.o., l'Inter è ad un solo punto". Pippo Inzaghi se lo sentiva. E' stato un attimo, più veloce pure del suo racconto. "Ho fatto due passi indietro, istintivamente. Sull'angolo di Zidane, invece, Nesta è partito in anticipo, è andato avanti ed è saltato prima. Io speravo che lui bucasse di testa, e così e' stato".

E adesso? "E adesso niente. C'è l'Inter a un punto e mancano sei partite alla fine. Per me, poi, anche la Lazio è ancora in gioco. Lo scontro decisivo sarà quello di Torino il 26 aprile. Fino ad allora, bisogna stare allineati e coperti". E' quello che pensa Dino Zoff, il presidente della Lazio: "Per lo scudetto il discorso è tutto aperto. La vittoria della Juve contro di noi non decide nulla". Che però è molto meno spavaldo quando si tratta di giudicare Collina. "Scusate, ma dell'arbitro non parlo". Tanto, c'è già chi l'ha fatto pure per lui. Anche Eriksson ha qualcosa da dire: "Dalla panchina non avevo visto bene il fallo di mano, ma i ragazzi mi avevano assicurato che Iuliano aveva colpito con la mano e vedendo le immagini in tv devo ammettere che hanno detto la verità. Ma di Collina non voglio parlare; fino all'espulsione di Nedved siamo stati in partita, poi sotto di un gol e con un uomo in meno, tutto è diventato più difficile. Ora i ragazzi non devono mollare, non solo in Coppa Italia, visto che mercoledì c'è la finale di andata con il Milan, ma anche in campionato. Non si può mai sapere come va a finire".

Siamo allo stadio Olimpico o in Parlamento? E' proprio stracolma la tribuna dei Vip e, naturalmente, i politici non si fanno sfuggire l'occasione per mettersi in vetrina. Il calcio è bello, d'accordo, ma porta anche tanti voti. Quindi l'appuntamento con Lazio-Juventus, la partita dell'anno e dello scudetto, è di quelli da non mancare. Il parterre della tribuna d'onore, imbellito dalle poltroncine nuove fiammanti di colore blu, è pieno fino all'inverosimile. Chi arriva per primo? Gianni Letta, in golf e pantaloni, batte il record della puntualità. Si siede e aspetta. E' forse in attesa del Cavaliere? No, per carità, questo non è San Siro, il leader di Forza Italia Silvio Berlusconi non è un habituè dell'Olimpico. E' una serata primaverile, con una temperatura tiepida. Lo scenario è stupendo: gradinate gremite, folla in delirio, bandiere biancazzurre dappertutto, ma anche una minoranza agguerrita di bianconeri che si assiepano in curva Sud, là dove in genere pulsa il cuore giallorosso. Come sono rappresentati i partiti? Non può mancare Massimo D'Alema, notoriamente malato di calcio. Che viene a fare il numero uno del Pds? Lui è un romanista doc. E allora? Gianfranco Fini, avversario in Parlamento e anche sulle gradinate dello stadio, è categorico: "Voglio solo sperare che sia imparziale e non sia venuto solo per gufare". Lì, a due passi, c'è Sandro Curzi, candidato al Mugello contro Di Pietro. La passione per la Lazio fa nascere una strana intesa tra Alleanza nazionale e Rifondazione comunista.

Curzi, infatti, ribatte: "Non sarei così pessimista. Massimo porta bene, tanto è vero che prima della partita l'ho toccato". L'ex direttore di Telekabul è un laziale verace, così come lo sono Publio Fiori, di Alleanza nazionale, Ottaviano Del Turco, presidente della commissione Antimafia, il sindaco Francesco Rutelli, Mario Pescante, presidente del Coni, e Daniela Fini, che forse del gruppo è la più sfegatata. La comitiva è numerosa: ecco il ministro degli Interni, Giorgio Napolitano, il presidente del Senato, Nicola Mancino, i popolari Renzo Lusetti e Paolo Palma, Maurizio Gasparri, altro delfino di Gianfranco Fini. Il Pds non è in maggioranza, ma quasi: D'Alema ha vicino Marco Minniti, uno dei suoi collaboratori più fedeli. E poi, qualche poltroncina più in là, il ministro Napolitano che conversa con Rutelli e Mancino. Di che cosa parlano? Mistero: sicuramente non di calcio. Il sindaco è solo: la first lady di Roma, al secolo Barbara Palombelli, giornalista di La Repubblica, non gli è accanto. Perché? I maligni sostengono: "E' una giallorossa vera, avrebbe provato imbarazzo a tifare Juve o, comunque, a sostenere la Lazio". Un parterre solo biancazzurro? No, ci sono i romanisti ed anche i neutrali, come Napolitano e Gianni Letta. Un tifoso sfegatato della tribuna Monte Mario parla fuori dai denti: "Non date retta, i meridionali sono tutti juventini o quasi". Il c.t. della nazionale Cesare Maldini è tra i Vip, ma non apre bocca. Osserva e prende appunti. Saluta Roberto Bettega, vicepresidente della Juve, e Antonio Giraudo, amministratore delegato della squadra bianconera, e tace. Il primo tempo passa in fretta: non ci sono gol, ma le occasioni sono state numerose. Si lamentano i politici laziali, non più di tanto, però. "Vedrete, nel secondo tempo ne faremo un sol boccone", azzarda Francesco Rutelli.

Fini, soddisfatto, nell'intervallo promuove due giocatori su tutti: il laziale Nesta ("Il migliore difensore in assoluto") e lo juventino Del Piero ("Una grande realtà del calcio italiano"). Parlando della corsa a tre per lo scudetto, poi, Fini commenta: "Speriamo che dopo questa partita non goda il terzo incomodo", facendo chiaramente riferimento all'Inter di Simoni, vittoriosa in casa sulla Sampdoria nel pomeriggio. Ma la profezia di Rutelli non si avvera. Dopo un quarto d'ora esatto cade l'imbattibilità di Marchegiani, durata 745 minuti. Publio Fiori si mette le mani nei capelli, Del Turco diventa pallido in volto, Rutelli si guarda in giro come per dire: "Il sogno è forse svanito?". Fini consola la moglie e Daniela, guadandolo dritto negli occhi, sibila: "Ci sono troppi gufi in questo stadio. Non poteva finire diversamente". Nicola Pietrangeli è d'accordo. Leonardo Pieraccioni, il regista dei record della scuderia Cecchi Gori, sorride: "Sono antijuventino da sempre. Speravo vincesse la Lazio, anche se non sono biancazzurro. E' andata proprio male".


Dalla Gazzetta dello Sport:

Si aspettava un'altra notte magica, invece è arrivata la prima sconfitta all'Olimpico sotto i riflettori: Sergio Cragnotti non la manda giù e contrattacca. Il finanziere della Lazio non è convinto che questa sfida si sia giocata alla pari e lancia accuse all'arbitro Collina e non solo. "Nel calcio il colore della maglia conta tantissimo". Un'espressione dettata dalla rabbia per una battuta d'arresto che di fatto butta fuori la Lazio dalla corsa per lo scudetto. E Cragnotti non accetta il verdetto emerso dal campo: "L'arbitro certi episodi li ha giudicati diversamente, non con lo stesso metro. Anche nell'occasione dell'espulsione di Nedved è stato frettoloso. Non ci ha perdonato proprio nulla. Ed alla fine c'era anche un rigore". Cragnotti non si dà pace, anche se cerca di fare buon viso a cattivo gioco. Stavolta il suo maglione portafortuna, di cachemire beige, non è servito. Ma alla Lazio non è mancato qualcosa? "Non sono d'accordo - risponde -. Nel primo tempo abbiamo giocato alla grande ed avremmo meritato di passare in vantaggio. Se ci è mancato qualcosa è stato un pizzico di fortuna. Poi è chiaro che dopo il loro gol, ed in inferiorità numerica per l'espulsione di Nedved, certi equilibri siano saltati. Comunque resto fiducioso. Ancora l'ultima parola non è detta in campionato. Perché la squadra è viva e compatta. Adesso ci concentreremo sulla finale di coppa Italia. Ed anche la finale di Uefa è vicina. Nulla è perduto".

Un parere condiviso dal presidente Zoff, che lascia lo stadio con il viso tirato e contrariato per l'episodio finale del possibile rigore. Però Dino conserva la flemma di grande uomo di sport e tira il freno a mano: "L'arbitraggio? Lasciamo perdere". Invece se si parla della prestazione complessiva il dirigente difende la prova dei ragazzi di Eriksson: "Nel primo tempo meritavamo sicuramente di più. Ci è mancato davvero poco per passare in vantaggio. Poi abbiamo preso gol su un episodio particolare, su calcio d'angolo. Ma la squadra si è espressa, sin quando ha potuto, alla pari con la Juventus. Questo mi lascia tranquillo e fiducioso per la parte finale della stagione. Non credo nemmeno che siamo fuori dalla lotta per lo scudetto. Mancano ancora sei partite. E noi possiamo ancora dare tanto". Giorgio Venturin è dispiaciuto per non essere stato protagonista di questa sfida, per via della squalifica. Il centrocampista di Eriksson ha seguito trepidante la gara dai microfoni di Telemontecarlo, in tribuna, ed ha sottolineato anche gli aspetti nervosi: "Nel primo tempo specialmente, la tensione si tagliava a fette. Poi pian piano, dopo una partenza forte della Juve, ci eravamo ripresi. Purtroppo l'episodio sfortunato del gol ci ha segato le gambe. Pazienza". Vladimir Jugovic, nonostante l'amarezza, è lucido nel descrivere la gara: "Doveva finire in pareggio. Loro hanno avuto più fortuna su quel colpo di testa di Inzaghi, mentre a noi nel primo tempo è mancata su un'azione simile di Negro. Peccato per l'espulsione di Nedved. Purtroppo noi stranieri le prime cose che impariamo sono le brutte parole. Ma l'arbitro poteva anche capire il momento della partita e giudicare diversamente. In quei momenti affiora la stanchezza, sei meno lucido ed è umano che scappi qualcosa. Ci voleva più comprensione".

Il motore del centrocampo laziale prova a dare subito la scossa: "Abbiamo perso una partita su 25 e contro una squadra fortissima: ci può stare. Nulla è perduto. Anche in campionato. Dobbiamo continuare a crederci. Sino in fondo". Un peccato. Sven Goran Eriksson ricorre a quest'espressione in continuazione nelle parole con cui commenta la sconfitta della Lazio. "Non meritavamo di perdere. Penso che abbiamo giocato bene come loro fino all'espulsione di Nedved". Quello che non riesce a perdonare e a perdonarsi lo svedese è quel buco nero del quindicesimo minuto della ripresa, un giro di lancetta che sarà difficile dimenticare in fretta: "Inzaghi non può saltare così da solo, lui è stato furbo, forse ha fatto una finta, ma è stata colpa nostra". Il "dopo" è andato per conto suo a quel punto. "Abbiamo provato con tre attaccanti, ma con un uomo in meno era difficile". Poi c'è il discorso Collina. Eriksson distilla bene le parole, non vuole dare l'idea di uno che si rifugia nell'alibi di una direzione arbitrale contestata duramente dal suo datore di lavoro. "Certo sappiamo che Collina è forte e che è inutile protestare contro lui. Forse dobbiamo essere più furbi e non dare la possibilità all'arbitro di fare una cosa del genere. Il rigore alla fine? Devo rivedere le immagini, dico solo che se Iuliano tocca la palla con le mani saltando in quel modo, allora è rigore, non c'è dubbio". Ma a questo punto quale sarà la Lazio post sconfitta con la Juve? "Vale al 200 per cento l'impegno a non mollare. Io l'ho già detto ai ragazzi: sarebbe stupido arrendersi, dobbiamo continuare, non sono tanto stupido a dire che lo scudetto è vicino, lo scudetto è vicino alla Juve. Però non avrebbe senso mollare. Anche perché io credo che sia stato un problema di testa: fisicamente non siamo cotti, so che non siamo cotti. Ripeto: fino all'espulsione di Nedved abbiamo giocato alla pari con la Juve".

Però forse da Boksic e Mancini ci si poteva aspettare qualcosa di più. O no? "Tutti e due hanno lottato, non era facile con loro che giocavano con tre difensori al centro. Abbiamo avuto tre o quattro occasioni da gol e non credo che contro questa Juve si possa davvero costruire di più. Peccato, peccato per quel gol preso sul corner, è lì che si è decisa la partita". Peccato, la parola della serata laziale che condisce praticamente ogni commento. La delusione di Mancini sa più di polemica. In fondo se la sentiva, aveva dato la Juve per favorita, l'aveva applaudita dopo il mercoledì di Coppa, aveva suggerito di scrivere il 2 sulla schedina. Però è il tipo di sconfitta che non gli è piaciuto. "Non penso che ci sia mancato niente di particolare. E' andata così, però io credo che l'arbitro in certe situazioni deve essere capace di capire il momento. Nedved l'avrà pure mandato a quel paese, ma quante volte succedono queste cose? E in un momento così...E poi, evidentemente non ha sentito tutto e non ha visto quello che è successo alla fine". A cosa allude? "Al fallo di mani di Iuliano, alla fine non mi pare abbia visto molto". Anche Mancini si sforza di non guardare nero: "Io sono fiducioso e sono sicuro che questa partita non ci condizionerà, non deve condizionarci. Certo mancano sei incontri, se li vinciamo tutti...Però difficilmente la Juve perderà questi punti". Insomma: non rallentare in campionato per non smarrire la concentrazione e puntare dritto sulle coppe. A cominciare mercoledì dalla sfida con il Milan.


Note:

Con la rete subita al 60 minuto, il portiere Luca Marchegiani vede fermarsi a 745' minuti il suo primato di imbattibilità che rappresenta il nuovo record per un portiere biancazzurro. Il precedente primato apparteneva a Pulici nel campionato 1972/73 con 468 minuti.


Dal Corriere della Sera del 9 aprile 1998, il racconto della squalifica per una giornata inflitta a Josè Chamot:

Strascichi infiniti, puntate interminabili. Lazio-Juventus continua, a quattro giorni di distanza dall'avvenimento le polemiche scoppiate intorno a Collina e alla sua direzione di gara si arricchiscono ogni giorno di nuovi elementi e di nuovi particolari. Ieri è stato il giudice sportivo ad alimentare l'irritazione e l'incredulità dei biancocelesti, con la squalifica per una giornata di Chamot, oltre che di Nedved, espulso domenica sera dall'arbitro viareggino. Il difensore della Lazio, infatti, si è ritrovato sulla lista nera perché, si legge nel comunicato, "si è avvicinato all'arbitro, gli ha teso la mano come per compiere l'usuale cortese gesto di saluto, invece con atto irriguardoso e in segno di dissenso rispetto alla direzione di gara, gli ha stretto la mano con forza spropositata, tale da costringerlo a ruotare con il busto all'indietro".

La Lazio ha appreso la notizia mentre era in ritiro in albergo, a due passi dallo stadio di San Siro. Il presidente Dino Zoff ha detto soltanto: "E' una squalifica che si commenta da sola". Nesta è stato più esplicito: "Non ci volevamo credere. Se Collina avesse dovuto scrivere tutto quello che tutti noi gli abbiamo urlato, sabato non ci sarebbe nessuna Lazio in campo contro il Brescia...". Nessuna parola da Chamot, tantomeno da Nedved, per il quale, tuttavia, lo stop di almeno un turno era facilmente prevedibile. La società ha pure deciso di non presentare ricorso alla Commissione disciplinare: Chamot e Nedved si terranno le loro squalifiche. L'episodio riportato da Collina sul suo referto è accaduto subito dopo il fischio finale di Lazio-Juve. Mentre le due squadre rientravano negli spogliatoi, Chamot si è avvicinato all'arbitro, non frontalmente, e gli ha stretto la mano in modo da provocare una brusca torsione del busto. Sergio Cragnotti, ieri a Milano per il Consiglio di Lega, prim'ancora di venire a sapere della punizione, era ritornato sulla partita di domenica scorsa: "Indubbiamente qualche errore c'è stato. Tra due grandi squadre come Lazio e Juve solo gli episodi potevano determinare la svolta della partita. E così è stato. Ma ora dobbiamo guardare avanti. Il campionato non è finito, e con esso nemmeno la nostra possibilità di arrivare al secondo posto e di raggiungere la Champions League. La trasferta di Brescia in questo senso assume un ruolo importantissimo. Guai a mollare proprio adesso".




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