Domenica 22 febbraio 1998 - Roma, stadio Olimpico - Lazio-Inter 3-0

Da LazioWiki.

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22 febbraio 1998 - 2.776 - Campionato di Serie A 1997/98 - XXII giornata

LAZIO: Marchegiani, Negro, Nesta, G.Lopez, Favalli, Fuser (86' Rambaudi), Venturin, Jugovic, Nedved, Boksic (67' Casiraghi), R.Mancini (75' Gottardi). A disposizione: Ballotta, Grandoni, Marcolin. Allenatore: Eriksson.

INTER: Pagliuca, Fresi, Colonnese, Bergomi, Moriero, Zanetti, Paulo Sousa, Cauet (59' Zé Elias), Milanese, Ronaldo, Djorkaeff (54' Kanu). A disposizione: Mazzantini, Sartor, Galante, West, Rivas. Allenatore: Simoni.

Arbitro: Sig. Collina (Viareggio).

Marcatori: 25' Fuser, 28' Boksic, 84' Casiraghi.

Note: espulso al 92' Milanese per atteggiamento irriguardoso nei confronti del direttore di gara. Ammoniti Venturin, Negro e Paulo Sousa per gioco falloso, Milanese per proteste. Calci d'angolo: 3-4.

Spettatori: 65 mila, dei quali 34.287 paganti per un incasso di Lire 1.912.375.000, abbonati 31.738 per una quota partita di Lire 957.038.369.

Diego Fuser scocca il tiro del vantaggio biancoceleste
Un altro fotogramma della rete del centrocampista laziale
Il colpo di testa vincente di Alen Boksic per il raddoppio biancoceleste
Un altro fotogramma del raddoppio laziale
L'esultanza di Alen Bokisc dopo la marcatura
Roberto Mancini festeggia l'attaccante croato
Il tocco vincente di Pierluigi Casiraghi per la terza rete laziale
Il bomber brianzolo festeggiato da Pavel Nedved e Giovanni Lopez
Alessandro Nesta in azione
Un tentativo a rete della formazione nerazzurra

Adesso che anche per la Lazio è lecito domandarsi se lo scudetto sia possibile, o addirittura probabile, è necessario rispondere in ragione degli impegni che gli uomini di Eriksson debbono affrontare e delle risorse che restano da dosare. Ieri, infatti, la Lazio è transitata al culmine di una spettacolosa rimonta in campionato, certificata dall'undicesimo risultato utile consecutivo. Gli impegni prevedono fin da sabato prossimo la trasferta di Bergamo, davanti a un'Atalanta aggrappata al girone della sopravvivenza. Seguirà, tre giorni dopo, l'andata dei quarti di Coppa Uefa con l'Auxerre. Una settimana più tardi, infine, il ritorno di Coppa Italia ospite la Juve: avendola battuta a Torino quattro giorni fa, è obbligatorio (moralmente e praticamente) che i biancazzurri si giochino l'accesso alla finale senza remore e senza economie. Tutto ciò implica un dispiego di uomini (titolari e rincalzi), un'ingente quantità di propellente atletico e un'oculata gestione delle pressioni positive e negative. Non è certo che la Lazio sia adeguatamente attrezzata per far fronte a tutto. Questa premessa va posta in relazione sia con il vistoso successo sull'Inter (3-0), sia con una giornata che ha annullato la distanza dai nerazzurri (da meno 3 a zero) e notevolmente accorciato quella dai bianconeri (ora a meno 4).

La Lazio, infatti, come ha saputo capitalizzare al massimo le due occasioni del primo tempo (gol di Fuser e Boksic), concentrandole in tre minuti (25' e 28') e riservandosi per il resto solenni contropiede, così nella ripresa ha accusato un calo evidente che avrebbe consentito a un'altra Inter una rimonta plausibile. Per la verità, sarebbe potuto accadere anche con l'Inter del secondo tempo, se solo le circostanze - in passato fin troppo abbondanti e benevoli - non fossero state di segno negativo: Kanu che svirgola fuori un tiro di Moriero mal respinto da Marchegiani; il legno dell'incrocio dei pali a respingere un altro destro di Moriero servito in area da Kanu; un diagonale sempre del nigeriano, attivato da Zé Elias, e finito sull'esterno della rete. Tre episodi che si collocano a stretto ridosso uno dell'altro (13', 23', 27': il cuore del secondo tempo) e che significativamente chiamano in causa due nuovi entrati: Kanu per l'ectoplasma Djorkaeff, Zé Elias per l'insufficiente Cauet, oltre a un Moriero completamente rinfrancato rispetto alla prima parte di partita. E' certo che l'Inter iniziale fosse inopportuna per le scelte individuali (perché Milanese? perché Bergomi in marcatura su Boksic e non libero? Perché escludere West?), ma anche per la concezione tattica di Simoni. Infatti, optando l'allenatore per la marcatura a uomo di Zanetti su Nedved, ha costretto l'argentino alla pedissequa rincorsa dell'avversario. Il quale aveva come primo obiettivo quello di spostare Zanetti dal presidio di centro destra (il centro sinistra per l'attacco laziale): così facendo, l'Inter consegnava la zona di pertinenza agli inserimenti del terzino sinistro Favalli e, dal versante opposto, di Fuser, l'esterno di destra.

Inoltre, c'era da aggiungere l'avvilente prestazione di Djorkaeff, vittima di un'ottusità da vizioso che gli faceva preferire gli spazi stretti a quelli larghi (ignorati i rari smarcamenti di Moriero). E quella, disarmante, di Ronaldo sinceramente prevedibile nella sua ricerca dell'uno contro uno. Scusandoci per l'impertinenza, viene da chiedersi se qualcuno si sia peritato di spiegargli i vantaggi dei movimenti combinati e, più in generale, del gioco d'insieme. Nonostante un'Inter priva anche dell'apporto costruttivo di Paulo Sousa, il doppio vantaggio laziale è stato frutto di errori individuali: Fresi saltato da Fuser sulla "sponda" aerea di Boksic; Bergomi reclinante sul 2-0 di testa del croato. E se nel primo caso abbiamo assistito a un attacco manovrato (Mancini-Boksic-Fuser), sul secondo i laziali hanno sorpreso la difesa nerazzurra con un calcio piazzato. Una leggerezza censurabile. Mai quanto, per la verità, quella di Fresi, la cui immotivata mollezza ha consegnato a Casiraghi (mancavano dieci minuti alla fine) il pallone del 3-0. Casiraghi, entrato a rilevare Boksic al 21' della ripresa, si è avventurato in pressing solitario animato dal furore per una presunta ostruzione subita un attimo prima ad opera dello stesso Fresi. Anche questa azione testimonia, a suo modo, una diversità di atteggiamento e di accettazione delle situazioni.

La partita, dunque, è stata decisa da episodi. Non accade sempre, ma spesso sì. Soprattutto se si affrontano squadre che fanno della difesa e del contropiede la loro arma privilegiata. E' logico che, a parità di strategia, la differenza provenga dalle capacità risolutive e dalla determinazione nello sfruttarle. Una volta in vantaggio, è più facile occupare gli spazi nella metà campo avversaria (Fresi, per esempio, per venti minuti ha abbandonato la posizione di libero) e, di conseguenza, si è regolata la Lazio, alla decima vittoria in casa. Resta da vedere se potrà essere sempre così e con quali avversari ancora.


Non sta più nella pelle. E si vede. Sergio Cragnotti ha investito molto nella Lazio e si è già aggiudicato Salas per l'anno prossimo. Ma finora non ha raccolto granché. Adesso pare che il momento sia arrivato: "E' stata una settimana da sogno", dice ricordando anche il successo in Coppa Italia contro la Juve. "Meglio di così non poteva andare. Ormai siamo nell'elite del calcio. Questa è la vera Lazio, la Lazio che volevo: cinica e determinata, direi inesorabile. E ora dobbiamo pensare in grande", sottolinea Cragnotti andando in controtendenza rispetto a tecnico e giocatori.

Il più temuto tra gli interisti era Ronaldo. Che però non ha brillato. E allora Cragnotti sfrutta l'occasione per togliersi un altro sassolino dalle scarpe: "Il Fenomeno? E' il nostro Boksic...". L'entusiasmo coinvolge anche Rutelli, da sempre tifoso laziale. Che, però, non potendo inimicarsi l'altra sponda calcistica cittadina, mette tutti sullo stesso piano: "Siamo la capitale del calcio", giura il sindaco. E, conti alla mano, chiarisce: "Lazio e Roma hanno quattro punti più di Milano".


La Gazzetta dello Sport titola: "Questa Lazio è incontenibile. Dopo il colpo con la Juve, una lezione di gioco all'Inter. Nel giro di quattro giorni la Lazio passa dalla vittoria di coppa a Torino al perentorio 3-0 ai nerazzurri. La squadra di Simoni crolla in mezz'ora, annichilita dallo strapotere fisico e tecnico degli avversari e perde la battaglia a centrocampo. Una traversa di Moriero e un possibile rigore su Ronaldo non compensano il divario fra le due squadre".

Continua la "rosea": Il quindicesimo risultato utile consecutivo, tra campionato e coppe, costituisce la vera perla della stagione: la Lazio appioppa un pesantissimo 3-0 all'Inter, la raggiunge in classifica e si trova proiettata verso un traguardo che nessuno dei suoi aveva osato sperare e immaginare. Anche la Juve è crollata a Firenze e ora la capolista è solo 4 punti più in alto. Considerando che il 5 aprile i bianconeri scenderanno all'Olimpico, si capirà perché le azioni della Lazio sono in netto rialzo e la tifoseria non sta più nella pelle. Nel giro di neppure quattro giorni, vittoria in coppa Italia a Torino con la Juve e terribile 3-0 rifilato all'Inter. Se qualcuno desiderava conoscere le credenziali della squadra di Eriksson, ebbene le ha avute. Difficile che una formazione possa azzeccare una simile accoppiata senza avere una statura tecnica, una personalità spiccata e una strategia di gioco altamente collaudata. Tutte componenti di una squadra da scudetto. Ieri all'Olimpico la Lazio ha impiegato meno di mezz'ora per sbarazzarsi di un'Inter sballata per conto suo, ma anche annichilita dallo strapotere fisico-tecnico di gente come Boksic e Jugovic e dalla sapiente organizzazione di gioco avversaria. All'inizio ha lasciato venire avanti i nerazzurri, la squadra di Eriksson e poi ha provato a colpirli con rapidi capovolgimenti di fronte che non giungevano a segno perché Bergomi, palla a terra, era pronto ad anticipare Boksic e Mancini veniva tenuto lontano dall'area da Colonnese.

Niente paura, la Lazio non si è scomposta, ha continuato a seguire uno spartito che appariva chiaro, dove Nedved e Jugovic a turno funzionavano da propulsori, dove Fuser apriva varchi sulla destra e quasi con naturalezza ha colpito. Cross di Jugovic dalla sinistra, Boksic a centro area è saltato dove Bergomi non poteva arrivare, palla appoggiata a Fuser, che, lasciato sul posto Milanese, è arrivato in corsa saltando Fresi per poi beffare Pagliuca in uscita. Quattro minuti dopo punizione di Fuser sulla destra, spiovente per Boksic che stavolta ha fatto tutto da solo, schiacciando di testa alle spalle di Pagliuca, senza che Bergomi possa intervenire. Al 29' si poteva già ritenere chiusa la partita perché era chiaro che da un lato c'era una formazione in grado di governare la palla e di sapersi muovere con sapienza e cambi di ritmo in ogni zona del campo, dall'altra un'Inter che applicava marcature ferree fino a centrocampo, ma quando doveva sviluppare la manovra di rilancio, e soprattutto finalizzare per le punte, non sapeva letteralmente cosa fare. Qui la pochezza d'idee dei nerazzurri è stata disarmante. La palla girava e finiva quasi sempre sui piedi di Sousa, l'unico al quale era concessa una certa libertà, ma il portoghese non trovava mai un uomo che gli dettava il passaggio. L'unica combinazione, trita e ritrita, era l'inutile verticalizzazione rasoterra per un Ronaldo che tornava indietro inseguito almeno da due uomini e che quindi era costretto inevitabilmente a restituire palla al mittente. Mai un'azione ben orchestrata, incisiva e mai un tiro in porta sino allo scadere del primo tempo quando ci provavano Zanetti e Djorkaeff con palloni innocui scagliati da lontano, senza pretese.

Simoni si è preoccupato di marcare tutte le punte e le fonti di gioco avversarie, ma per far questo si è ritrovato con una formazione che non aveva equilibrio e soprattutto un ordinato possesso del campo. Cauet doveva marcare Jugovic e questi lo portava a spasso ovunque. Risultato: lo jugoslavo è stato uno dei migliori e, sulla sinistra, Milanese era costretto a coprire l'intera fascia da solo. Così la difesa della Lazio era sicura che da quel lato non avrebbe mai corso pericoli. Inoltre Djorkaeff continua a giocare dietro Ronaldo e in tal modo non aiuta il brasiliano ad "aprire" le difese avversarie e non serve a centrocampo perché è sulla stessa linea di Sousa. Se poi si considera che un pur generoso Bergomi non è riuscito a fermare Boksic e che Fresi ha confermato certe preoccupanti amnesie difensive, si capirà perché l'Inter ieri non aveva proprio scampo. Nella ripresa la squadra nerazzurra ha fatto qualcosa di più un po' perché ci ha messo più ardore, molto perché la Lazio ha accusato la fatica accumulata in coppa Italia giovedì sera e perché Kanu si è dimostrato più efficace di Djorkaeff (ma Ronaldo non si è scosso dal suo torpore). E' salito un po' di tono anche Moriero, che ha colpito la traversa su delizioso servizio di Kanu, forse c'era anche un rigore su Ronaldo strattonato impercettibilmente da Jugovic, ma nulla che potesse far pensare ad una reale inversione di tendenza. La Lazio si era ritirata tutta davanti alla propria area, cercando di limitare i danni e dimostrando anche un'altra dote da squadra padrona: il realismo. Quando c'è bisogno di restare abbottonati non si fanno scrupoli i biancazzurri, anche perché Eriksson possiede giocatori adattissimi al contropiede, a cominciare dai centrocampisti.

Alcune azioni si sono perse per un nulla, quando Boksic (o Casiraghi che l'ha sostituito nella ripresa), Nedved, Fuser e Jugovic si sono trovati persino in superiorità numerica mentre erano lanciati verso Pagliuca. Poi l'errore di Fresi nel finale (ha voluto dribblare Casiraghi davanti alla propria area) ha concesso il terzo gol alla Lazio, quello dell'assoluta tranquillità. Ma la partita era già stata persa dall'Inter nel primo tempo. Anzi, da quando le due squadre erano uscite dal tunnel degli spogliatoi per sbucare in un Olimpico colmo di tifosi entusiasti come non si vedeva da tempo. Ora questa folla sa di avere una squadra che può ambire allo scudetto. Mentre l'Inter, alla quarta sconfitta in campionato nel giro di due mesi, comincia a vedere sgretolarsi molte certezze.


In un altro articolo del quotidiano sportivo è riportato:

Bravo Eriksson è un capolavoro. Se una divinità nordica con la faccia di Cragnotti fosse entrata nei sogni di Eriksson per annunciargli "la tua Lazio nel giro di quattro giorni avrà ai suoi piedi Juve e Inter", il tecnico svedese avrebbe telefonato subito a un dottore. Ecco il prodigio della Lazio: aver valicato la frontiera dei sogni sulla quale, quasi sempre, i poveri mortali picchiano la testa. Ma che cos'è? Una prolungata vena di follia o una rivoluzione? Forse né l'una, né l'altra: stiamo assistendo, dopo gli stupori della scoperta, alla consacrazione di una grande squadra. La favola può continuare o trovare qualche inciampo, ma una cosa è certa: questa Lazio è da scudetto. Dinanzi al prodigioso curriculum di nove vittorie e due pareggi nelle ultime undici partite (29 punti su 33: pazzesco), ogni prospettiva si apre per una squadra che corre su tre fronti, bene attrezzata in ogni reparto, come le grandi delle annate d'oro. Tutto cominciò il giorno in cui venne chiarito, con il trasferimento alla Samp, l'equivoco-Signori diventato un lusso ingombrante. E altre curiosità non mancano: Eriksson veniva dipinto, per esempio, come un eterno, elegante travet con la lettera di licenziamento in tasca. Zaccheroni alle porte, garantito. Ma il paradosso-principe sta nel grande regalo (a pagamento, per carità) che la Juve ha fatto a questa Lazio, restituendole Boksic, accademico del calcio e dei gol sbagliati. Ora il croato ne segna a grappoli. Ne fa uno, micidiale, in coppa Italia anche sul campo della Juve. E quel gol ora diventa il prologo di una possibile sfida-scudetto. All'Olimpico, in una domenica di aprile.


la Repubblica titola: "Gruppo Eriksson super, l'Olimpico impazzisce".

L'articolo prosegue: La Lazio c'è davvero e l'Inter c'è ancora, nel senso che hanno gli stessi punti, ma la sensazione che lasciano è molto diversa. La Lazio, quella di una squadra che scoppia di salute e quindi di efficienza: nelle ultime 11 partite, 9 vittorie e due pareggi. Quando le cose vanno così bene non è un caso. Eriksson ha sicuramente messo in piedi un gruppo vincente, abile anche nell'amministrarsi. La Lazio aveva giocato giovedì sera, e vinto, in coppa Italia a Torino. Pure, nel primo tempo è parsa più veloce ma soprattutto più lucida dell'Inter. Suo il primo tiro in porta (Fuser al 5'), sua la prima palla-gol (Boksic all'8'), sua la prima entrata dura (Nesta su Ronaldo al 10'). Sua la voglia di prendere la partita per le corna. Così è andata. Alla vigilia, Simoni aveva trovato molti punti in comune fra la sua Inter e la Lazio. Una certa simpatia per il contropiede, ad esempio, e l'Olimpico doveva chiarire chi fosse fra Inter e Lazio la vera avversaria della Juve. A chi l'arma più puntuta? A chi segna per primo. La Lazio vince la partita nel primo tempo, con due gol in rapida successione (dal 25' al 28' del pt) che poggiano su due stacchi vincenti di Boksic su Bergomi. Prima, su un cross di Jugovic da sinistra a liberare Fuser, controllo vincente su Fresi e destro calmo in rete. Poi, su calcio di punizione di Fuser, incornata a tre metri da Pagliuca. La Lazio si esalta, il suo pubblico pure, le notizie da Firenze sono altrettanto esaltanti, ma è l'Inter che non c'è o, se vogliamo essere generosi, non c'è nella misura necessaria. In una partita che Simoni imposta rigorosamente a uomo, pochi duelli vedono un interista prevalere, anzi uno solo (Colonnese con Mancini).

Il peggiore dell'Inter è Fresi, il libero: il terzo gol, tentato dribbling su Casiraghi e palla consegnata all'attaccante per il più comodo dei gol, è da antologia degli errori. Non se la passa molto meglio Bergomi, con Boksic che va via da tutte le parti e non solo di potenza, anche di destrezza. La pericolosità e la tessitura del gioco da parte di Fuser sono superiori a quelle del pur volonteroso Milanese. Dall'altra parte, Favalli su Moriero è uno spettacolo, Nesta e Lopez tengono bene Ronaldo e Negro non è messo alle strette da Djorkaeff, che gravita dalla sua parte. La Lazio vince la partita d'impeto e di bravura: il suo centrocampo è da un po' il più forte del campionato, e se Almeyda è in bacino di carenaggio Venturin, passin passetto, non lo fa troppo rimpiangere. E' in questa zona del campo che la Lazio scava la differenza: Jugovic e Nedved (anche se leggermente in ombra) riconquistano palloni e subito cercano la giocata profonda con lanci precisi, o s'incaricano personalmente di pericolose avanzate. Boksic fa da boa e per chi arriva lanciato dalle retrovie c'è spazio e gloria. Che coppia, Jugovic e Nedved: il primo più scafato, più essenziale, l'altro più gironzolone e generoso. All'Inter manca Winter, ex laziale: si vede e si sente. Paulo Sousa non ha ritmi stellari, forse non li ha mai avuti, ma col pallone fra i piedi in genere sa cosa deve fare. Ci prova pure, ma non è facile garantire l'ordine in una squadra con molte (troppe?) presenze anarchiche. Quando Simoni ha sostituito Djorkaeff con Kanu (9' st), a parte gli ululati della curva laziale (delimitata da due croci celtiche) ha sostituito un anarchico normolineo con un anarchico longilineo. Che qualcosa di positivo ha combinato, dopo un paio di papere, ma non è questo il discorso.

Il vero anarchico continua a essere Ronaldo, che non ha mai impegnato Marchegiani, che forse è stato leggermente trattenuto da Jugovic in area ma Collina non si è intenerito, che sarà il miglior attaccante del mondo (questione di gusti, io non direi) ma che è difficile da capire. Dai compagni, intendo. Che lo capisca o no la critica è assolutamente secondario. Io non ho ancora capito se Ronaldo sia una prima o una seconda punta e comincio a credere che la sua fame di spazio largo lo possa far inquadrare come seconda punta. In questo caso, l'Inter è fin troppo abbondante in fatto di seconde punte, ma gli manca la prima punta. Questo è il rebus. Ma chi glielo va a dire a Moratti, sempre convinto di avere messo su una squadra da scudetto? Sul 2-0 la Lazio ha scelto di rifiatare e l'Inter ha costruito qualcosa di più, ma senza incantare. Una traversa sull'azione più bella (esterno destro di Kanu, tiro al volo di Moriero, traversa), il sospetto di un rigore, la solita dimostrazione di buona volontà a partita compromessa. Ma per qualità e praticità di gioco aveva già vinto la Lazio.


Tratte dal quotidiano romano, alcune dichiarazioni post-gara:

Ora è lecito, si può davvero sperare, non si deve più parlare di sogni inconfessabili. Ora la Lazio può pensare allo scudetto. Eriksson, adesso non potete più nascondervi, vero? "Possiamo, possiamo...", sogghigna lo svedese, a metà tra cautela e scaramanzia. "Qualche mese fa - dice il tecnico - avevamo parlato troppo e non potevamo permettercelo. Da quando abbiamo smesso di farlo, le cose sono andate benissimo. Continuiamo così, allora". E' una Lazio che sorride, questa, e ha dimenticato i mugugni autunnali; Eriksson lo sottolinea: "Ora è tutto bello, perché sostituisco un giocatore e lui è felice, quello che entra in campo è felice lo stesso; prima era il contrario, sostituto e sostituito avevano certe facce...". Ride felice anche Diego Fuser: "Per la vittoria e perché ho segnato il cinquantesimo gol in serie A: per un centrocampista si tratta di un traguardo di rilievo, non è da tutti andare in rete così spesso. E poi questa Lazio è veramente grande, dopo un difficile inizio di stagione ci siamo resi conto di essere forti e lo stiamo dimostrando. Prima avevamo poca fiducia in noi stessi, pur sapendo che individualmente avevamo poco da invidiare a chiunque. Scudetto? E' presto, non ci vogliamo nascondere ma dobbiamo anche essere realisti: mancano parecchie partite alla fine e abbiamo una grande squadra davanti. Però è giusto crederci, è giusto rimanere concentrati sui tre fronti. Alla fine qualcosa raccoglieremo". Fuser elogia Eriksson: "E' riuscito a mettere a posto le cose durante la stagione: prima attaccavamo in troppi, avevamo tanti difetti piccoli e grandi, ma il tecnico li ha corretti tutti. E' stato bravissimo".

Luca Marchegiani ieri ha compiuto 32 anni: li ha festeggiati con la vittoria sull'Inter e con il primato di portiere meno battuto del campionato. Festa completa: "E' stata una giornata meravigliosa - conferma raggiante il numero uno laziale - perché questa squadra, finalmente, ha dimostrato il suo valore. Era ora, aspettavamo la consacrazione da troppo tempo. Sono contento soprattutto per questo, oltre che per la vittoria. La difesa? è solida, quasi imperforabile, ma tutto è una conseguenza dell'atteggiamento di tutti noi, del modo in cui interpretiamo le partite, sempre raccolti e attenti. Alla Lazio è difficile far gol perché agli avversari non concediamo tiri in porta, a meno che non arrivino in mischia o da lontano, oppure su splendide giocate personali come quella che ha portato oggi alla traversa di Moriero. Adesso sarebbe sciocco non crederci, sono sincero: se la Juventus avesse vinto a Firenze, forse i giochi si sarebbero chiusi. Ma la sconfitta dei bianconeri riapre il campionato. Noi, per ora, pensiamo a difendere con i denti questo secondo posto, che è così importante. Poi si vedrà". Prima della partita c'era stato un bel gesto di Nedved, che è andato a inginocchiarsi sotto la curva nord: alcuni tifosi avevano esposto uno striscione in ricordo di Marco, tifoso laziale morto domenica scorsa in un incidente automobilistico mentre raggiungeva Bari per assistere alla partita della Lazio. Nedved era suo amico.


Dalla Gazzetta dello Sport:

"Se tutte le settimane fossero così". Quasi sospira Sven Goran Eriksson pronunciando la frase. Un concetto ribadito anche da Sergio Cragnotti, che parla più da tifoso che da finanziere che nel calcio ha investito. Battere la Juve in casa propria e l'Inter con tre gol (mai subiti in campionato dai nerazzurri) non capita tutti gli anni. Nelle parole di padrone e allenatore sembra di cogliere anche un desiderio sommesso: fermare il tempo. Troppo bello questo momento per la Lazio. Cragnotti però non trattiene l'euforia: "Aspettavo questo momento da sei anni, cioè da quando ho preso la Lazio. Questa è una settimana da sogno: abbiamo battuto prima e seconda della classe, non la dimenticherò facilmente, anche se mi auguro di poterne vivere delle altre ancora più importanti. Siamo ai vertici del campionato, ad un passo dalla finale di Coppa Italia, protagonisti in Europa nella Coppa Uefa. Finalmente stiamo dimostrando competitività". Dopo averla pronunciata in settimana, adesso anche Cragnotti si allinea al gruppo e non pronuncia la parola scudetto: "In corsa su tutto, questo era il nostro obiettivo. Lo stiamo mantenendo. Siamo nell'élite del calcio e ci resteremo. Alla fine potremo vincere o non vincere, ma questo non cancellerà ciò che siamo e stiamo diventando". Però poi quasi si tradisce: "Anche nelle coppe voglio portare a casa qualcosa". A fine partita il patron della Lazio è andato nello spogliatoio a complimentarsi con i suoi giocatori: "All'Inter non invidio alcuno dei suoi giocatori, neanche Ronaldo. Noi abbiamo Alen Boksic, un campione vero, uno che non si discute e sul quale ho creduto più di tutti. Poi c'è un gruppo straordinario, merito di Eriksson". Prima di lasciare lo stadio Cragnotti conclude: "Questa è la vera Lazio, quella che sognavo, in grado di riempire l'Olimpico. Questa è la Lazio che ho costruito".

Una felicità che Eriksson condivide, calandosi nel clima carnevalesco e mettendo la maschera. Quando si osserva che la Lazio non può più nascondere le ambizioni lui si diverte a rispondere: "Invece ci si può nascondere, proprio perché il momento è bellissimo. Da quando abbiamo smesso di parlare di scudetto è andato tutto bene. Abbiamo sbagliato a parlarne prima, non dobbiamo più ripetere l'errore". Il tecnico svedese, da acuto osservatore, non lascia nulla al caso: "Il momento è eccezionale, perché veniamo da tredici successi e due pareggi. Però è anche vero che la situazione è pericolosissima. Guai a farsi prendere dall'euforia. La squadra può andare in fondo in tutte le manifestazioni e non voglio lasciare nulla di intentato. Ma ancora non ci si può illudere, altrimenti ci ritroviamo fuori da tutto". I successi della Lazio sono a trazione posteriore. Proprio da ieri quella di Marchegiani è la porta meno violata del campionato: "Non è un caso, anzi nel calcio è quasi una regola che la squadra che prende meno gol vince qualcosa. Il nostro atteggiamento è cambiato moltissimo dopo le due sconfitte contro Udinese e Juve". I numeri dicono che in quelle 2 gare la Lazio subì 5 gol. Poi solo uno in più, 6, nelle successive 15 partite. Un dato eloquente che l'allenatore spiega così: "Abbiamo cominciato a difendere più stretti, ma soprattutto è cambiata la mentalità. Prima la squadra si sbilanciava in attacco, ora ha trovato equilibri diversi. Noi preferiamo l'azione rapida in contropiede che un possesso di palla fine a se stesso". Ecco, in questi ultimi tre mesi Eriksson è riuscito a trasmettere la sua filosofia di gioco, ben diversa da quella di Zeman che aveva caratterizzato le tre stagioni precedenti. In tribuna c'era anche Litmanen, attaccante finlandese dell'Ajax. E pure monsieur Roux, allenatore dell'Auxerre, prossimo avversario in Uefa: "Questa Lazio è troppo forte. Boksic meraviglioso".

"La milanese mette a letto mezza Italia ma alla Lazio fa benissimo". Battuta vera, firmata da Gigi Casiraghi. A sottolineare che, nonostante un bel gruppetto di influenzati in campo (Boksic, Fuser, Gottardi, Negro, Nesta, in ordine alfabetico non di temperatura), questa Lazio va come un direttissimo. "Come partecipazione di squadra questa è la mia stagione più bella - confessa Casiraghi, persino autoironico -. Quindici risultati di fila non li avevo mai fatti nella mia carriera. Siamo tutti più maturi. Possiamo davvero raggiungere qualcosa di più importante. Contro l'Inter abbiamo giocato davvero bene. Non è poco, successo a parte. E poi mi sono messo a segnare anch'io: è la mia prima rete dell'anno e cominciare fa sempre bene". Adesso non potete più nascondervi nella corsa allo scudetto: "Sicuramente la svolta c'è stata. La Juve ha perso a Firenze, ma quattro punti sono pur sempre tanti. Indubbiamente la solidità del gruppo, il valore tecnico ci porta a credere di poter vincere qualcosa. L'importante è restare in corsa su tre fronti. Bisogna restarci il più a lungo possibile. In ogni caso, statistiche a parte, dai sogni siamo passati alla realtà".

Ed Eriksson ha avuto delle parole di elogio vero proprio per Casiraghi, l'ha definito un vero leone. Un leone che appena può morde. L'attaccante ci scherza sopra: "Eriksson dice sempre lione. Gli ho spiegato che con il Lione abbiamo perso, non porta bene parlarne. Ma lui continua, imperterrito". Battute a parte, che cosa è cambiato nella Lazio? Trasformata da instabile sprecona a squadra cinica dei risultati in serie. "Prima attaccavamo in troppi e ci esponevamo. Con l'Inter abbiamo saputo aspettare e colpire". La risposta di una tagliente semplicità sul passaggio da Zeman a Eriksson è di Diego Fuser. Contro l'Inter ha realizzato il gol numero 50 in serie A e se lo gode: "Non credo siano tanti i centrocampisti a esserci riusciti". "Dovevamo trovare fiducia in noi stessi. Come valore dei singoli avevamo già poco da invidiare agli altri. Ora siamo maturati". Fuser tifa Eriksson, ovviamente, per come ha lavorato sulla macchina Lazio: "E' stato bravo a mettere a punto la squadra". Tempo di carnevale vero per la Lazio. Sorrisoni stampati sulle facce dei giocatori. Come quello di Marchegiani che ieri ha tagliato il traguardo dei 32 anni. "Che bel compleanno. Ci pensavo, di nascosto, perché sono un ottimista di natura", confessa il portierone persino un po' incredulo. A un tiro dalla Champions League. "Ci dobbiamo tenere stretto questo secondo posto - ammonisce Marchegiani -. Quattro punti sulla Juve sono tanti. Sabato a Bergamo contro l'Atalanta sarà dura".