Domenica 18 marzo 1990 - Roma, stadio Flaminio - Lazio-Roma 0-1

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18 marzo 1990 - 2448 - Campionato di Serie A 1989/90 - XXIX giornata

LAZIO: Orsi, Bergodi, Sergio, Pin G., Gregucci, Soldà, Di Canio, Icardi (62' Troglio), Amarildo, Sclosa (11' F. Marchegiani), Sosa. A disp. Fiori, Piscedda, A.Bertoni. All. Materazzi.

ROMA: Tancredi, Berthold, Nela, Gerolin, Tempestilli, Comi, Conti (67' Piacentini), Di Mauro, Voller (83' Pellegrini III), Giannini, Rizzitelli. A disp. Tontini, Impallomeni, Baldieri. All. Radice.

Arbitro: Baldas (Trieste).

Marcatori: 30' Voller.

Note: ammoniti al 14' Tempestilli, 21' Di Mauro, 27' Di Canio, 33' Bergodi, 41' Nela, 71' Troglio, 74' Marchegiani. Espulsi: 85' Bergodi (doppia ammonizione) per aver trascinato fuori dal terreno di gioco Giannini infortunato, all'86' Troglio per fallo su Piacentini.

Spettatori: 14.318 paganti, incasso £. 506.900.000; abbonati 8716, quota-partita £. 293.020.000.

Il biglietto della gara
Incidenti sugli spalti
La rete di Voller
Rizzitelli al tiro
Bagarre in area romanista

Piangi, Di Canio, piangi. Adagiato sul campo a fine partita, il giovane leader della Lazio imita l'Occhetto bolognese e bagna le ginocchia sulle quali ha sconsolatamente appoggiato la testa. A 80 giorni dal Mondiale il calcio italiano esporta questa bella immagine di sé: un giocatore sconfitto che piange da solo in mezzo a uno stadio che va a pezzi, mentre in cielo roteano le pale degli elicotteri e sugli spalti i manganelli dei poliziotti. E' stato un bel derby, giocato con un'intensità che giustifica tutto, persino gli scatti di nervi che hanno propiziato un paio di parapiglia e di fallacci plateali, pagati da Bergodi e Troglio con l'espulsione; persino il raptus di Giannini che, dopo aver offerto a Rudi Voller il pallone del gol-vittoria, ha liberato il suo personale cocktail di rabbia e felicità spaccando con un calcio il cartellone pubblicitario del «Messaggero».

Derby a tinte forti, però non criminalizziamo i calciatori perché i veri colpevoli non stanno in campo ma altrove: poco lontano, lassù, sugli spalti. Sì, ancora un pomeriggio immondo. Ancora quei tipi lombrosiani, quelle facce patibolari che ormai sembrano essersi assicurati l'esclusiva dei nostri stadi per trasformarli in altrettanti quartieri di Beirut e giocarvi una loro personalissima e insulsa partita, fatta di falò che alzano verso il cielo un fumo sporco e puzzolente, di scontri all'arma bianca con la polizia, di oggetti scagliati sul prato attraverso uno squarcio della rete di recinzione, di macchie di ultra che retrocedono, aprendo una chiazza bianca sulle gradinate e pencolando pericolosamente verso i parapetti per poi riprendere l'avanzata e «caricare» la polizia in un allucinante scambio di ruoli. Una furia autodistruttiva e iconoclasta che non si modula in alcun modo con gli episodi del gioco. Baldas nega tre rigori ala Lazio, di cui uno piuttosto netto, eppure il gregge viene percorso soltanto da un debole fremito. Poi, 5 minuti dalla fine del primo tempo, si accende un fuoco in mezzo alla curva Nord e insieme alle fiamme prendono consistenza gli istinti bestiali di chi le ha appiccate.

Comincia una battaglia che non accenna a fermarsi neppure quando le squadre scompaiono per l'intervallo, a riprova dell'assoluto disinteresse che gli ultimi abitatori dei nostri stadi nutrono per l'evento agonistico. La fuga dal calcio della gente normale, che proprio ieri veniva denunciata su queste colonne, trova un'immediata e amara conferma. Dietro di noi un bambino di 6-7 anni guardava con occhi sbarrati un brutto film che non aveva mai visto: è un altro potenziale spettatore che il football del futuro ha già perso, a meno che crescendo non vada anche lui ad ingrossare le falangi del tifo demenziale. L'indice accusatore è puntato sugli ultra laziali, ma solo perché ieri i supporters romanisti, in trasferta, erano pochi e confinati in un angolo sorvegliatissimo dei popolari: la follia del gregge non ha bandiere e si propaga a tutti i club e a tutte le città. Le squadre erano state accolte da una coreografia complessa, impostata su un tripudio di cartoncini colorati, vessilli e banane di plastica. Non ci permetteremmo mai di affermare che non ci si può aspettare un comportamento sereno da chi durante la settimana dedica gran parte del suo tempo libero a organizzare siffatte espressioni artistiche per una partita di pallone. Ma sarebbe ora di finirla con l'esaltazione prona e ipocrita delle «magiche curve» da ringraziare dopo una vittoria o da giustificare in caso di guerriglia urbana, perché tanto la colpa è sempre di «un gruppuscolo che non ha nulla a che vedere con i veri tifosi».

C'è, ovviamente, anche una partita da raccontare, un derby palpitante che la Roma è tornato a vincere dopo sette anni di digiuno grazie ad una geniale giocata dell'indiavolato Giannini, che mai ha tirato indietro la gamba e, a dir il vero, neppure le mani, accapigliandosi con il suo omologo laziale Di Canio nelle due zuffe in cui era entrato con intenti riappacificatori. Sul gol, il suo delizioso cross è stato perfezionato da un'uscita a vuoto di Orsi e dal testone implacabile di Rudi Voller, che si è incaricato di depositare la palla in rete (30'). I giallorossi avrebbero poi potuto raddoppiare mille volte in contropiede, mentre la Lazio senza schemi di Pippo Materazzi affidava agli spunti dei suoi solisti e a una punizione di Soldà respinta dalla traversa le sue velleità insoddisfatte di rimonta.

Fonte: La Stampa