Ancherani Sante

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Sante Ancherani

Biografia[modifica | modifica sorgente]

Sante Ciro Agide Ancherani nasce a Cotignola (RA) il 6 settembre 1882, da Francesco e da Lucchetti Silvia, ma quasi subito si trasferisce prima a Tuscania (VT) e poi a Roma dove giunge all'età di 4 anni. Piccolo di statura (m. 1,61 per 65 kg. di peso), ma agile e forte, studiava alle scuole tecniche con buon profitto. Amante dello sport e sopratutto della corsa, è solito allenarsi, dopo la scuola, nella zona di Piazza d'Armi, dove oggi sorge parte del quartiere "Prati", ma che allora era usato per le parate militari in quanto disabitato. Si era costruito un soprannome desunto dal suo nome di battesimo letto al contrario: Etnas. Risiedeva in via Lucrezio Caro n. 29.

La scoperta della Lazio[modifica | modifica sorgente]

Fu proprio qui che nel febbraio 1900 qualcuno, tra i fondatori della Società Podistica Lazio, notò questo ragazzo dai capelli neri correre senza mai fermarsi e lo avvicinò. Mario Pennacchia nella sua Storia della Lazio (1969) descrive l'incontro in maniera romanzesca ma forse non molto dissimile dalla realtà. Qualcuno gli chiese quanto facesse sui 100 metri ed egli, candidamente, rispose in dialetto romanesco: "Nun ce lo so, io corro e basta da quanno sto in piedi". Lo vollero cronometrare e il risultato fu di 13 secondi e 8 decimi, un gran tempo per l'epoca. "Ce semo sbajati, puoi riprovà?" gli dissero e Santino riprovò fermando il cronometro a 13 secondi netti! Stavolta nessun dubbio. Santino viene festeggiato e gli viene consegnata la tessera numero 6 che egli conserverà nel portafoglio gelosamente e orgogliosamente per tutta la vita. Ormai è un laziale a tutti gli effetti.

Pioniere e capitano[modifica | modifica sorgente]

Fino al 1901 a Roma nessuno sapeva cosa fosse il Football, gioco praticato in Inghilterra già dalla seconda metà del XIX secolo. Anche in Italia il nuovo gioco stava prendendo piede, sopratutto grazie ai marinai anglosassoni che sbarcavano nei porti di Genova e Palermo ed ai seminaristi scozzesi che venivano in Italia per studiare. Un giorno di gennaio del 1901 si presenta nella sede biancoceleste di Via Valadier 21 un certo Bruto Seghettini, chiedendo se in quella Società fosse praticato il Football. Ancherani risponde semplicemente che quel gioco loro non lo conoscevano e ne sentivano parlare per la prima volta. L'interlocutore non si perde d'animo e tira fuori un pallone di cuoio che cadendo a terra rimbalza.

Da quel momento il giuoco del calcio era giunto anche nella capitale del Regno d'Italia. Fu lo stesso Santino a farsi promotore, presso i compagni basiti, di questo strano sport inglese che lo entusiasmava a tal punto da iniziare a giocarci, ogni qual volta il tempo lo permette, in quello sterminato prato dietro Piazza della Libertà. Ancherani e compagni giocano sempre fra loro, mettendo due sassi come porte e delimitando il campo con un albero o un cespuglio. Ai piedi gli scarponi di guerra del Regio Esercito, rimediati chissà come e chissà da chi, ma ottimi per dare colpi alla palla. Le carrozze ogni tanto si fermano a guardare quei giovanotti scalmanati dare calci ad una sfera di cuoio e le dame benpensanti si chiedevano, inorridite, in che mondo ormai si vivesse.

Tra una corsa ed una partita trascorre ancora un anno; nel mentre i ragazzi biancocelesti perdono 11-0 contro i più esperti seminaristi scozzesi, ma non si scoraggiano, anzi prendono spunto dalla sconfitta per migliorare la tecnica e la tattica calcistica. Ancherani, di ritorno da un viaggio in Inghilterra, si porta dietro un paio di scarpini da calcio che fa smontare da un calzolaio di fiducia per riprodurli, cosicché tutti possono dire addio alle calzature di fortuna con cui si era finora giocato. Intanto, a far compagnia alla Podistica, è nata, ad opera di alcuni membri dissidenti della Lazio, la Virtus. Quale migliore occasione per cominciare a giocare contro avversari di un'altra società? Ancherani, che è ormai il centrattacco, il capitano e l'allenatore della Lazio, prende la gara sul serio e fa allenare i compagni con partite di 3 ore e con lunghe corse sul percorso Lungotevere, Viale Carso, Viale Angelico, Viale delle Milizie, per un totale di 3.884 metri ripetuti più volte.

I ragazzi sono stremati ma felici e quando scendono in campo, il 15 maggio 1904 a Piazza d'Armi, per quella che tutti son d'accordo nel ritenere essere stata la prima gara ufficiale della storia della Lazio, sono determinati a vincere. La partita è maschia e combattuta e alla fine prevalgono per 3-0 e Santino, che segna tutte le reti, viene portato in trionfo dai compagni. Il carisma di Ancherani è ormai tale che i compagni lo adorano. Lui intanto, anche abile musicista, continua a suonare la tromba così bene da riuscire ad entrare nella banda comunale. Inoltre, a riprova del suo animo generoso, riesce a trarre in salvo, in vari periodi, almeno sette persone che hanno tentato il suicidio gettandosi nel Tevere. Degno di particolare lode il suo comportamento, tenendo conto che come nuotatore non era proprio impeccabile.

Il torneo di Pisa[modifica | modifica sorgente]

Passano gli anni e i giocatori biancazzurri sono sempre più bravi nel nuovo gioco che comincia ad insinuarsi presso tutte le classi sociali. Nel giugno 1908 la Lazio viene invitata a Pisa per disputare un torneo interregionale organizzato col patrocinio del comune toscano. Questa è la prova che la fama della Lazio sta uscendo fuori dai dai confini regionali. Per l'occasione Ancherani contatta due fratelli in forza alla Virtus: Corrado Corelli e Filiberto Corelli e chiede loro di aggregarsi alla squadra per la trasferta in Toscana. I due accettano senza remore facendo infuriare i dirigenti della loro ormai ex squadra e creando, senza saperlo, il primo trasferimento della storia della Lazio. Il sabato mattina, i giovanotti, capitanati da Ancherani, partono in treno per il capoluogo toscano. La mattina seguente, mentre stanno per recarsi a visitare la città da turisti, vengono avvicinati da alcuni esponenti del comitato organizzatore che li supplicano di giocare contro il Lucca una partita, non in programma, per le 10:00.

Ancherani guarda i suoi compagni ed accetta, tanto ci sarebbe stato tempo per recuperare la fatica. Così si gioca e la Lazio batte il Lucca per 3 reti a zero. Santino e compagni quindi si recano in trattoria per il meritato pranzo ma, quando stanno ancora al secondo piatto, ecco di nuovo gli organizzatori che ancora una volta chiedo loro di giocare, stavolta con la Spes Livorno che non vuole essere trattata in maniera diversa dalla Lucchese. Augusto Faccani, focoso e carismatico giocatore laziale, si adira fortemente ma poi viene presa la decisione di giocare davanti a un pubblico ostile. Si registra un'altra vittoria, stavolta per 4-0, che fa zittire tutti. Giusto il tempo di sdraiarsi a riposare un attimo sull'erba che ecco presentarsi la Virtus Juventusque per la finale. Ancherani, nonostante le proteste dei suoi compagni, suggerisce di far sfogare gli avversari e di contenerli: inventa, insomma, il catenaccio pionieristico. La partita sta quasi finendo sul pareggio a reti bianche quando, da un guizzo di Saraceni, la palla va a Corelli, questi crossa per Santino che, indisturbato e con i virtussini sbilanciati, mette in rete. E la Lazio vince la gara per 1-0. E' l'unico caso in Italia e nel mondo di una squadra che vince tre partite in un giorno. Un record ancora imbattuto.

Ricevute le medaglie, Ancherani e gli altri hanno l'idea di inviare un telegramma alla sede per comunicare la vittoria ottenuta. Il testo è il seguente: "Vinto Torneo 3-0, 4-0, 1-0". In sede nessuno ci capisce nulla su cosa significasse tale dispaccio, in fondo si sapeva che si doveva giocare una sola gara, non tre, e solo quando i giovanotti torneranno a Roma il mistero sarà svelato, con grandi risate di tutti. Ancherani e la sua Lazio diventano popolarissimi nell'Urbe intera.

Il racconto di Sante Ancherani sulle tre vittorie in un giorno tratto da "Il Messaggero" del 6 dicembre 1934

L'addio al calcio giocato[modifica | modifica sorgente]

Ancherani continua a giocare a pallone ed a suonare nella banda comunale. Dopo ogni partita c'è un calesse pronto a portarlo in fretta e furia sul posto di lavoro. Nel 1912 è costretto a prendere la decisione di diradare in parte i suoi impegni sportivi, in quanto ormai è divenuto per lui arduo giocare e lavorare. Non affigge gli scarpini al chiodo perché Santino continua a giocare diverse partite segnando ancora molti gol, ma non lo fa più a "tempo pieno" come prima e, al contempo, la musica è diventata una passione pari a quella che prova per la Lazio. Non si allontana, quindi, del tutto dalla società, come altri ragazzi tra cui il portiere Lorenzo Gaslini e Alberto Canalini che non torneranno più e molti altri suoi amici che periranno nell'osceno conflitto mondiale. Nella stagione 1914/15, pur restando socio della Lazio, allena per qualche tempo la Pro Roma. Ma anche per Ancherani arriva la temuta chiamata per il fronte, come recita il suo ruolino militare ritrovato all'Archivio di Stato. Già messo in congedo illimitato nel lontano 14 agosto 1902, Santino è richiamato nel 27° reggimento "Brigata Pavia" il 10 luglio 1916. Il 27° Reggimento in tempo di pace aveva la sede a Rimini e il 28° Reggimento a Ravenna provincia dove lui era nato (Cotignola), anche se sul suo foglio matricolare era registrato erroneamente come nato a Roma, città dove era arrivato da bambino.

Nell'ottobre dello stesso anno è in zona di guerra. Probabilmente fa parte di qualche fanfara militare, ma alla fine si farà comunque due anni in prima linea. Verrà esonerato dai servizi di prima linea solo l'11 giugno 1918, quattro giorni prima della "Battaglia del Solstizio" che vedrà il suo reggimento sull'Altipiano, per poi essere spostata sul Piave a sostegno del campo trincerato di Treviso, tra Zenson e Fagaré, pesantemente attaccato dagli austriaci. Verrà definitivamente congedato il 30 dicembre 1918 con la dichiarazione di aver tenuto buona condotta e aver servito la patria con fedeltà ed onore. Intorno agli anni venti apre una bottega di articoli per il calcio nei pressi di Via dei Prefetti a Roma. Ormai questo sport ha preso piede e sta diventando sempre più importante nel panorama nazionale. Fornisce palloni da gara per quasi tutte le partite giocate a Roma (a volte cucendoli lui stesso) e produce tutto ciò che serve ai calciatori, stando sempre all'avanguardia nella ricerca del materiale migliore che importa anche dal Regno Unito, patria indiscussa di questo sport.

Laziale fino alla morte[modifica | modifica sorgente]

Gli anni scorrono. La Lazio è ormai una realtà consolidata e Sante non manca mai ad una partita. Si commuove quando vede Silvio Piola portare la Lazio a sfiorare lo Scudetto nel campionato 1936/37. Poi gli anni bui della Seconda Guerra Mondiale, quando tutto sembra perdersi, e poi la rinascita. Alla fine degli anni '61 riceve uno smacco dall'allora presidente della Lazio Umberto Lenzini che, mal consigliato da qualcuno, gli toglie la tessera vitalizia. Santino prende allora il portafogli e si regala l'abbonamento in tribuna come un tifoso normale, lui che è stato l'eroe eponimo del calcio pionieristico romano. Se ne va il 9 settembre 1971 a 89 anni in una domenica in cui la Lazio non gioca, come per non dare eccessivo fastidio, e se ne va tre anni prima di coronare il suo sogno: vedere lo Scudetto cucito sulle maglie biancocelesti da lui amate visceralmente. Nella seduta del Consiglio della S.S. Lazio dell'11 marzo 1960 fu nominato Socio Benemerito.

Molti illustri storici dello sport concordano sul fatto che il vero padre della Lazio sia stato lui, perché il calcio, a Roma, ha preso piede grazie alla sua tenacia e al suo entusiasmo, assieme, naturalmente, ad un gruppo di scapestrati ragazzotti che con il loro gioco facevano inorridire le dame in carrozza della Roma di inizio novecento. Quella tessera numero 6 esiste ancora. Stinta, logora, umile, meravigliosa e sempre tenuta stretta sul suo cuore. Il più grande vanto della sua romanzesca vita. Riposa al Cimitero monumentale del Verano nella zona dell'"altipiano del pincetto", assieme ai suoi familiari.

Sulla sua lapide è inciso un verso della poesia "5 maggio" di Alessandro Manzoni

«chinati i rai fulminei / le braccia al sen conserte, / stette, e dei dì che furono / l'assalse il sovvenir!»







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